Lo spes­so­re del­l'in­vo­lu­cro

Otto domande

La rivista Archi intende dedicare un numero al tema della facciata in architettura, dal titolo “lo spessore dell’involucro”. Il titolo manifesta il desiderio di informare e far riflettere i lettori sulla condizione dell’involucro che racchiude gli spazi architettonici. 

Publikationsdatum
13-10-2016
Revision
13-10-2016

«Gentili colleghi,

la rivista Archi intende dedicare un numero al tema della facciata in architettura, dal titolo “lo spessore dell’involucro”. Il titolo manifesta il desiderio di informare e far riflettere i lettori sulla condizione dell’involucro che racchiude gli spazi architettonici. 

Si tratta del limite che separa il “dentro” dal “fuori”, un limite che si offre allo spazio pubblico, che dunque viene a caratterizzarlo. Un limite che allo stesso tempo deve rispondere a delle prestazioni specifiche: non può disperdere calore, conviene che sia in grado di raccogliere l’energia esterna del sole, oppure che sappia difendersene, quando conviene nel ciclo stagionale; deve consentire la vista del mondo esterno, del paesaggio, costruito o naturale che sia, consentire l’entrata di luce, sostenere, tradizionalmente, in molti casi, le solette; non ultimo dovrebbe comunicare alla collettività l’istituzione pubblica o privata che rappresenta, essere il volto che un committente pubblico o privato intende offrire a quella stessa collettività; deve infine riscuotere l’approvazione dei colleghi, e quella dei cittadini di un luogo per i quali ogni edificio è come la tessera di un mosaico che compone la patria artificiale che abitano.

Il tema è molto vasto, vi convergono questioni culturali e tecniche. Per renderlo plausibile come materia di riflessione da condensare nello spazio di un solo numero della rivista, ovvero per offrire al lettore una sorta di immagine dello stato attuale dell’arte relativa al “problema facciata”, abbiamo creduto che potesse essere di aiuto chiedere a un gruppo selezionato di professionisti di rispondere, anche brevemente, a una serie di domande. Le domande ruotano intenzionalmente su un aspetto tecnico del tema “involucro”, legato alla fisica della costruzione e al risparmio energetico. Un aspetto fondamentale (tra altri) per la determinazione dello spessore di questo confine tra dentro e fuori, e forse anche un aspetto in ragione del quale taluni cercano di aprire nuove strade di breve o più durevole fortuna.

Per rendere la comunicazione nella rivista più eloquente e didattica chiediamo che le risposte siano riferite a una serie di esempi o di immagini che vi chiederemo dunque gentilmente di fornirci insieme alle risposte stesse.»

Negli ultimi anni chi opera nel campo della costruzione, progettisti e specialisti dell’involucro ma anche coloro che si occupano di impianti, è stato l’attore principale di una transizione epocale. Le esigenze sono mutate in maniera sensibile: leggi e normative oggi richiedono uno sforzo supplementare in termini di attenzione alle prestazioni energetiche e delle maggiori garanzie di comfort termico per gli edifici, siano essi di nuova realizzazione o ristrutturati.

Il tutto si inserisce in un ambito più vasto di efficientamento del parco edilizio, spinto dagli obiettivi di riduzione delle emissioni e dei consumi di energia, complementari alle richieste di sostenibilità che coprono tutti gli ambiti del costruito. 

A marzo 2016 è stato pubblicato il rapporto sulle ricadute effettive delle politiche che hanno riguardato il miglioramento energetico degli edifici (Erfolgskontrolle Gebäudeenergiestandards 2014-2015, BFE), che ha dimostrato l’efficacia degli strumenti utilizzati nel raggiungere gli obiettivi di efficienza.

A livello svizzero le nuove prescrizioni MoPEC 2014 (vedi Archi 5/2014), e a livello europeo la seconda revisione della direttiva UE sulla prestazione energetica degli edifici, elevano ulteriormente gli obiettivi, e i loro effetti sulla progettazione edilizia saranno visibili nei prossimi anni.

Contemporaneamente vengono adeguati anche altri strumenti pianificatori e regolatori, nazionali e locali, nell’ambito delle costruzioni. Esempi tipici sono gli incentivi finanziari, la valutazione parziale dello spessore dell’involucro nel calcolo di superfici, distanze e altezze o i bonus sugli indici di costruzione per gli edifici più efficienti. Tali soluzioni liberano il progettista da alcuni vincoli e offrono un’opportunità che rende economicamente più vantaggiosa una progettazione volta all’efficienza dell’utilizzo di energia e risorse.

L’aumento dello spessore dei pacchetti di isolamento non é il solo tema riguardante la modifica allo spessore dell’involucro. La maggiore attenzione alla protezione termica estiva, un tempo trascurata dai progettisti, ha aggiunto un’ulteriore elemento di complessità. Il mercato dei prodotti e dei sistemi per l’edilizia è in costante evoluzione e cerca di promuovere soluzioni nuove e con una varietà che permetta maggior libertà ai progettisti garantendo prestazioni migliori – anche in questo ambito è necessario un aggiornamento rapido e continuo di progettisti e specialisti, come mai è successo in precedenza.

Le facciate o gli involucri degli edifici sono però la parte di un tutto che deve integrare, con intelligenza e buon senso, gli elementi dai quali è composto, che deve integrarsi al contesto urbano, culturale e climatico che lo accoglie, sfruttandone altrettanto intelligentemente il potenziale, valorizzandone le specificità.

La costruzione della nostra patria artificiale e di un ambiente più propizio alla vita sono compiti complessi e di alta responsabilità che occorre svolgere con competenza critica nei riguardi di mode culturali, cliché e ideologie. Occorre che chi svolge questo compito sappia interrogarsi sempre sulla pertinenza dei fini e sulla conformità dei mezzi per raggiungerli.

Per offrire materia di riflessione su di un tema così importante e attuale abbiamo rivolto, dunque, a un gruppo di architetti e specialisti che si distinguono per la qualità del loro impegno professionale, le domande riportate qui di seguito.

Del prezioso contributo che gli invitati ci hanno fornito e che qui pubblichiamo siamo profondamente grati.

Ringraziamo Pia Durisch e Aldo Nolli, Doris Wälchli e Ueli Brauen, Lorenzo Giuliani e Christian Hönger, Sergio Tami, Adrian Altenburger, Markus Knapp e Valentina Zanotto e gli specialisti di facciate di Feroplan Engineering AG.

Le otto domande

1. In che modo secondo lei l’evoluzione delle richieste energetiche e di «comfort» ha cambiato negli ultimi vent’anni il modo di concepire una facciata? 

2. Ad una «Podiumdiskussion» tenutasi nel corso dell’ultima edizione della Swissbau, qualcuno dei partecipanti sosteneva che tra i fenomeni evolutivi negativi ai quali stiamo assistendo, ci sarebbe l’abuso del ricorso alle facciate interamente vetrate, indifferenti e uguali tra loro. Gli edifici realizzati in questo modo e ripetuti ovunque nel mondo, sarebbero poco a poco responsabili della perdita di identità e specificità dei luoghi. Condivide questa tesi? O come la declinerebbe? Le pare invece che siano nate nuove specificità locali negli ultimi anni?

3. È una tipizzazione grossolana ma la concezione di una facciata può, in fondo, contare su un numero relativamente ristretto di tipi, ovvero:

  • la facciata interamente vetrata.
  • la facciata a «cappotto», o isolata esternamente, con l’aggiunta di sottili rivestimenti applicati direttamente allo strato isolante (intonaco, tessere in mosaico, in qualche caso elementi più consistenti come mattoni o pietre)
  • la facciata ventilata, che tra lo strato isolante e lo strato «visibile» (più o meno consistente o pesante, che potrebbe arrivare ad essere anche un collettore di energia) prevede una camera d’aria.
  • la facciata isolata internamente rispetto allo strato portante. Cioè una facciata che prevede che l’appoggio delle solette avvenga con giunti speciali in grado di evitare il ponte termico (Tipo «Shöckdorne»), oppure che l’isolamento venga risvoltato per qualche metro all’interno, sopra e sotto la soletta. Questa costruzione consente di mostrare e rendere visibile all’esterno lo strato portante normalmente in beton faccia a vista.
  • la facciata sandwich, ad elementi prefabbricati, sia in legno sia di elementi pesanti in beton.
  • Il beton isolante

Le sembra che l’elenco vada ampliato? Tra queste varianti (sempre che non ne voglia aggiungere qualcun’altra mancante) si è fatto un’idea precisa dei vantaggi, del potenziale economico, della pertinenza architettonica, culturale o espressiva di ciascuna di esse? Ovvero nella sua prassi professionale che ruolo gioca ciascuna di queste diverse possibilità? Ce le potrebbe commentare o criticare dal suo punto di vista?

4. In che modo nella composizione di una facciata o più in generale nella definizione del limite che separa il dentro dal fuori, si riesce ancora a istituire un legame con la tradizione storica o, se vogliamo, con gli esempi di alcuni maestri del passato? 

Per spiegare meglio il tema sul quale le chiediamo una riflessione, prendiamo un elemento architettonico specifico, ad esempio il «marcapiano» o la griglia strutturale. Negli edifici degli anni Cinquanta ma anche precedenti (pensiamo ad esempio al municipio di Göteborg di E.G.Asplund) questo elemento segnava in facciata la presenza della soletta «portante», separata dagli elementi di tamponamento «portati». Un riferimento contemporaneo a questa immagine dovrebbe realizzarsi necessariamente in modo costruttivamente diverso. 

E dunque, è ancora possibile, nel concepire facciate, un riferimento alla storia, oppure le nuove necessità costruttive devono farci rinunciare ai tentativi di istituire analogie con il passato?

5. I sistemi di facciata sviluppati negli ultimi anni sono secondo lei esclusivamente soluzioni «tecniche» per conciliare architettura e requisiti di legge (termici/acustici -di comfort) o stanno creando una nuova architettura? A metà Novecento si è passati dalle facciate rivestite a quelle in calcestruzzo «faccia-vista», ritiene che ci sarà una nuova proposta architettonica che creerà una nuova «scuola» dell’architettura?

6. Come giudica la spinta più tecnologica verso le facciate «attive» in grado di produrre energia? È una moda passeggera o ci sono i presupposti per rendere l’integrazione dei sistemi solari una soluzione di massa, accettabile dal progettista e adattabile alle diverse soluzioni?

7. Le normative sul fabbisogno energetico stanno tecnicizzando notevolmente il processo di progettazione della facciata; le pare che il mondo dei progettisti sia assente dalla discussione, e dunque che si stia andando verso l’iper-specializzazione dei compiti nell’edilizia, oppure l’architetto possiede realmente ancora tutte le leve di progetto?

A suo giudizio gli architetti si stanno svincolando dallo studio di nuove soluzioni di facciata demandando il compito a specialisti, produttori di sistemi, fisici della costruzione? Se sì, secondo lei, perché?

8. Le nuove tecnologie di involucro sono spesso ritenute «non realmente sostenibili» (a causa della quantità e qualità del materiale utilizzato e dell’energia grigia in esso contenuta – non sempre in linea con l’obiettivo della riduzione degli impatti energetici delle nuove costruzioni). Ritiene siano possibili dei miglioramenti in questo ambito in termini legislativi, normativi, tecnologici?

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