Ero­sio­ne e bel­lez­za

A colloquio con Peter Zumthor

L’opera di Peter Zumthor è considerata senza tempo. Per individuare il rapporto tra progetto, realizzazione e qualità dell’edificio, Danielle Fischer e Hella Schindel sono tornate a visitare alcune delle sue opere più significative costruite tra il 1985 e il 2007 e, nell’aprile scorso, hanno intervistato Zumthor nella sua casa di Haldenstein.

Publikationsdatum
14-06-2019

L’architetto progetta un’opera facendo uso di determinate proporzioni, forme e materiali. Come e dove impiega e combina i singoli elementi fa parte del processo creativo. L’inaugurazione dell’edificio è un momento importante per l’architetto e per il committente. Se un elemento non funziona o si discosta dalla norma estetica, ad esempio si scolorisce più del previsto, il difetto va riparato attraverso interventi in garanzia. I difetti che non possono essere sistemati, in genere, sono considerati errori. Alla fine del cantiere, l’edificio dovrebbe rappresentare esattamente l’idea iniziale e somigliare il più possibile al disegno originale.

Dopo questo primo momento di messinscena del fabbricato, ogni architetto reagisce a suo modo ai futuri mutamenti della costruzione. Egli può scegliere se rallentare o addirittura evitare l’invecchiamento dei materiali oppure se accettare i segni del tempo senza contromisure. Di solito si dà meno peso al processo d’invecchiamento diretto, lento e quotidiano. L’aspetto che una facciata avrà dopo 20 o 30 anni solo raramente è inserito nel progetto iniziale, o al massimo è menzionato come fenomeno marginale. Visto il continuo sviluppo di nuove composizioni di intonaci, vernici e materiali edili e data l’assenza di studi a lungo termine, è infatti molto difficile affrontare la questione. Per cosa conviene optare? Il processo inizia immediatamente: la luce, la pioggia, il vento e gli utenti cambiano la superficie dell’edificio. La sua immagine muta lentamente, e tale mutamento riguarda praticamente l’arco di tutta la sua esistenza.

Alcune tracce dell’invecchiamento, come ad esempio le facciate tradizionali in legno che esposte alle intemperie cambiano colore, in genere vengono semplicemente accettate. Altre, invece, sono meno gradite, si pensi ai sedimenti di alghe o alle tracce del tempo sulle facciate. In futuro varrebbe la pena tornare a guardare regolarmente dopo 10, 20 o 50 anni gli edifici elogiati all’inizio della loro esistenza. Cosa c’è di più duraturo di una costruzione che invecchia bene e mantiene la sua bellezza? Che aspetto hanno i muri, l’intonaco, le finestre o i pavimenti? L’edificio e stato riattato, e se sì, come? In che modo si articolano le varie tracce? Disturbano o lo rendono migliore?

Naturalmente anche nel caso del processo d’invecchiamento la percezione dell’osservatore è soggettiva: sta a lui decidere cosa è bello e cosa no. Ma deve esserci qualcosa che ci permette di considerare estetico o piacevole un edificio e che va oltre l’opinione personale, come succede per i volti delle persone. Gli edifici di Peter Zumthor sono famosi per il loro invecchiamento estetico e dignitoso; in questo siamo d’accordo quasi tutti. Ma cosa sta alla base di questa impressione? [...]

Le Terme di Vals 1990-1996

Dall’esterno le Terme di Vals hanno praticamente mantenuto l’aspetto di 29 anni fa, al momento della loro apertura. La struttura in calcestruzzo è rivestita da uno strato interno ed esterno di gneiss locale che conferisce al complesso un che di stoico e contenuto: grazie all’aspetto massiccio e monolitico l’età sembra essere più quella della pietra che quella dell’edificio stesso. All’interno l’acqua riflette una luce diversa a ogni ora del giorno e l’atmosfera di alcuni spazi è determinata dall’oscurità. L’opera rimanda al comportamento dei bagnanti, alle vie dell’acqua e dei suoi minerali. Dettagli che nella luce acquisiscono un’aria misteriosa. Alcuni bisogna andarli a cercare e volerli scoprire, altri invece saltano subito all’occhio.

Molte tracce si creano attraverso la sedimentazione. Le pareti sotto le fontane davanti agli spogliatoi sul corridoio che porta al bagno turco sono ricoperte da una crosta di minerali di diverse tonalità luminose che vanno dal giallo al marrone. Sulle pareti delle sale da bagno, lungo la superficie dell’acqua, brilla una fascia cristallina.

Un brillio che cambia di stanza in stanza e che probabilmente dipende dal tipo di intonaco, dalla temperatura e dalla composizione dell’acqua, diversa per ogni vasca. In una stanza la calce cresce delicata e si innalza dall’acqua formando dei disegni che ricordano delle fiamme e che incorniciano la vasca come una corona di filigrana. Le tracce sono condizionate anche dal colore dell’intonaco: nella stanza rossa, dove regna una temperatura di 43 °C, i rivoli rugosi appena sotto la superficie dell’acqua sembrano tracce di sangue coagulato. Mentre nella vasca dei petali, negli anni, sott’acqua i minerali si sono accumulati sulle pareti formando degli strati che ricordano la madreperla. Cambiando la prospettiva, l’acqua rompe il candido biancore che si contrappone alla pietra grezza. Sui gradini che fungono anche da panche subacquee, laddove i visitatori si appoggiano alla parete, si riconoscono dei punti ovali in cui gli strati di minerali sono stati consumati. Quindi alcune tracce si distinguono anche per la mancanza di materiale. Le pareti dei corridoi, nei punti dove vengono sfiorate dai gesti dei visitatori, sono leggermente unte. Sul pavimento in gneiss, attorno alla vasca centrale, alcune conche piatte sono impronte che testimoniano il passaggio di innumerevoli piedi. Le parti consumate si perdono nelle venature della pietra e sono più percettibili al tatto che alla vista. Alcune armature e ringhiere sono segnate dall’usura e dall’acqua, e sotto l’ottone si intravvede il rame rossastro.

L’immenso muro di pietra che scende nella vasca esterna è attraversato da crepacci che attestano la solidità del muro più che la sua debolezza. Questo si nota anche sulla parete di scale della vasca esterna: l’efflorescenza bianca e sfaldata sembra emergere letteralmente dall’interno delle pareti in pietra; la forza non proviene dalla superficie, ma dalle viscere del materiale. [...]

Semplicità, storia e cura

Considerando anche altre opere dell’architetto come la Cappella di Sogn Benedetg a Sumvitg 1985-1988, la Kunsthaus di Bregenz (Austria) 1989-1997 e la Cappella sul campo Frate Klaus a Wachendorf (Germania) 2001-2007, emergono dei punti di riferimento ricorrenti dell’invecchiamento dignitoso degli edifici di Zumthor. Il tutto ha inizio con la grande scala architettonica: le strutture, nelle loro linee di composizione, nel materiale e nell’orientamento stanno in un attento rapporto con l’ambiente e i suoi elementi. La Cappella di Sumvitg, ad esempio, ha una facciata volutamente esposta alle intemperie e un’altra protetta.

Inoltre i materiali sono impiegati in modo discreto e nella loro forma grezza. Conosciamo bene il legno, la pietra, il cuoio, la ceramica, ma anche il calcestruzzo in varie forme e condizioni. Essi sono radicati nella nostra cultura edilizia. Li conosciamo attraverso edifici recenti e antichi; li abbiamo già visti in montagna, esposti al sole, sulle vie di traffico, nella corte di un castello. E con il tempo sono entrati a far parte del vocabolario collettivo del materiale. La poesia di questi elementi appare inalterata. La loro autenticità risveglia in noi una fiducia istintiva e a volte addirittura il desiderio di proteggerli. Un materiale prodotto in modo sintetico di solito non è in grado di creare questo legame, poiché nella nostra misura temporale non ha una storia ed è continuamente sostituito da nuovi materiali; non è quindi prevedibile l’aspetto che avrà dopo alcuni anni.

Negli edifici di Zumthor non sono solo i materiali ad essere ridotti al minimo ma anche i dettagli della costruzione. La facciata della Kunsthaus Bregenz o le cerniere della botola nella cappella di Sumvitg sottostanno a una logica meccanica comprensibile e familiare. La semplicità materiale e costruttiva, insieme alla composizione architettonica, porta alla percezione del corpo architettonico come un tutt’uno su un lungo arco temporale.

L’attenzione supplementare necessaria per la progettazione e il processo di costruzione spesso è molto costosa. Questo ha già spaventato diversi committenti. Col senno di poi si può però confermare la correttezza di questo approccio. Gli edifici che abbiamo visitato non hanno perso nulla della loro funzionalità e della loro presenza. La costruzione non è un episodio che termina con la consegna dei lavori, ma un processo che continua: se gli aggiustamenti materiali e d’usura sono possibili senza dover intervenire nella sostanza dell’edificio, esso rimane una parte valida degli avvenimenti contemporanei e cresce insieme al cambiamento.

La presenza espressiva delle opere, il loro rapporto con la cultura della costruzione e le storie che ci raccontano sono la base di una forte identificazione. Il loro perdurare sostenibile e completo dipende fortemente dal comportamento di chi è coinvolto nella loro creazione, nella cura e nell’utilizzo. Questa ci sembra la premessa più importante perché un edificio continui ad essere apprezzato nel tempo. In questo modo nascono testimoni della propria epoca la cui fine non è prestabilita.

«Ancorare le cose nel tempo»

Una delle qualità che caratterizza gli edifici di Peter Zumthor è l’estetica del loro invecchiamento. Con lui abbiamo parlato dell’architettura che rimane per secoli, delle tracce del tempo, di materiali naturali e sintetici e del ruolo della storia nella costruzione.

TEC21 – Architetto, la settimana scorsa abbiamo visitato alcune delle sue opere passando dai Grigioni, all’altopiano dell’Eifel fino a Bregenz. Alcuni di questi edifici sono ormai diventati delle icone. La maggior parte degli architetti li ha visitati o almeno visti in fotografia. Eravamo curiose di vedere in che modo fossero cambiati dalla nostra prima visita. Con nostra grande sorpresa non sono invecchiati molto. In quale modo lei integra il processo d’invecchiamento di un edificio nel progetto iniziale?
Peter Zumthor – So abbastanza bene come trattare o non trattare i materiali da costruzione naturali. So come invecchiano, questo mi ha sempre interessato. Acciaio, legno, calcestruzzo e pietra sono i materiali che utilizzo maggiormente. Si aggiungono la ceramica, l’argilla, il mattone e altri laterizi.
Mi piace lavorare con questi elementi. Già solo i legni offrono un ampio ventaglio di possibilità. Si tratta del materiale stesso e di come lo si impiega, sono soddisfatto di come si sviluppa nei singoli casi. Ad esempio lo studio qui accanto è costruito in larice: oggi è così come me lo immaginavo mentre lo progettavo negli anni Ottanta: argentato sul lato nord e bruciato sul lato sud.

Il processo di invecchiamento contribuisce alla bellezza degli edifici?
Certo, è come per le persone, anche noi dovremmo invecchiare bene.

Cosa significa esattamente invecchiare bene? Per le persone si tende a dire piuttosto «invecchiare dignitosamente».
Non credo che si tratti di un declino. Il legno che diventa nero stando esposto al sole per 300 anni, con gli anelli annuali più morbidi dilavati e quelli duri più sporgenti, acquisisce una bellezza particolare. Il materiale si decompone, ma si decompone in modo dignitoso. Le vernici si scrostano, il legno no.

Ma non può essere bella anche la vernice scrostata?
Sì, lo può essere, ma in genere evito le vernici. Non voglio che gli edifici debbano essere mantenuti, voglio che invecchino bene per quel che sono. Sulla facciata della mia nuova casa studio, per la prima volta ho fatto qualcosa che mi è riuscito mica male: per evitare di dover aspettare dieci anni prima che il legno naturale di quercia diventi guardabile abbiamo trattato il legno con una sostanza caustica e lo abbiamo esposto alle intemperie come si fa con la lamiera di zinco. Il liquido caustico è idrosolubile. Con gli anni si dilaverà. Questo processo si sovrappone al processo naturale d’invecchiamento che farà emergere la tipica tonalità di grigio della quercia.

Possiamo provare a rallentare l’invecchiamento, o ad anticiparlo, come nel caso del legno di quercia, o addirittura a impedirlo. Cosa ne pensa?
Sicuramente non lo voglio impedire. Tra l’altro dipende anche dal materiale. L’idea di prendere in mano il processo di invecchiamento del legno di quercia dipende dal fatto che per dieci anni questo legno non ha un bell’aspetto. Se si è pazienti però riacquisisce la sua bellezza.
Ma nel caso della ceramica o del mattone non bisogna cambiare nulla; questi sono materiali perfetti sin dall’inizio che possono essere impiegati in modo ragionevole. Può chiedere a mia madre, lei ha sempre saputo come impiegare i singoli materiali in casa: il legno qui, là la ceramica. In fondo è il bello dell’architettura: si può motivare la scelta del materiale con l’uso che se ne fa, così la scelta diventa naturale e bella.

Cosa le piace del processo d’invecchiamento della sua casa? Alcuni luoghi diventano migliori di altri che devono essere rinnovati; ci sono materiali che le provocano particolare piacere?
Sono estremamente soddisfatto. Proprio di questo soggiorno. È di acero svizzero, che è giallo (tavolo), mentre qui alle pareti e sul pavimento abbiamo l’acero canadese. Quest’ultimo diventa rossiccio e più scuro, è una scelta voluta. La superficie è stata trattata con olio e sapone.

Di solito lei lavora con materiali naturali, e noi tutti siamo in grado di immaginarci come invecchia il legno o la pietra. Però ci manca l’esperienza per i nuovi materiali ibridi, di cui non sappiamo esattamente come cambiano nel corso dei decenni.
Sì, è così. Però sappiamo abbastanza della plastica. La plastica che riempie i nostri mari. E non voglio contribuire anch’io. Faccio fatica col fatto che in sole dieci generazioni consumiamo le riserve biologiche che si sono accumulate in bilioni di anni. Nella massa biologica è conservata tanta di quella energia. Ogni tanto però non posso farne a meno. La tenda da sole qui fuori è anche lei fatta di tessuto di nylon, così da poter resistere per un po’ alle intemperie e alla luce. Certo, in alcuni casi bisogna fare dei compromessi. Per il Memoriale di Steilneset in Norvegia, una costruzione simile a una tenda, volevo usare la tela olona. Ma mi hanno detto che andrebbe sostituita ogni sette anni. Quindi abbiamo deciso di utilizzare un tessuto di nylon con un rivestimento in Teflon. In questo caso abbiamo dovuto fare così, ma cerco di mantenere al minimo l’impiego di questo tipo di materiali.

La sedimentazione e l’erosione sono due tipi di tracce diverse del processo d’invecchiamento. Nelle Terme di Vals entrambe ci accolgono in un’esperienza sensoriale e nella Cappella di Frate Klaus troviamo tracce di elementi che non ci sono più. L’odore e la fuliggine del cassero bruciato?
Non ci avevo mai pensato, ma ha ragione. Oltre alle sedimentazioni e alle erosioni c’è anche il colore che cambia. Nel calcestruzzo si tratta chiaramente di un processo chimico, attraverso il quale il materiale si autodepura e diventa più chiaro. Le pareti della mia casa erano così scure che mi sentii depresso quando tolsero il cassero. Ora sono chiare e diventano sempre più chiare. In altri casi sono invece addolorato dallo schiarimento. Nella Cappella di Frate Klaus è in corso un processo di mineralizzazione: c’è qualcosa che sale in superficie e che sovrasta il nero. Il calcestruzzo è vivo. Si mangia la fuliggine. Un giorno non ci sarà più. Purtroppo! L’interno della cappella era nero come la pece, ed era così che lo desideravo.

Sì, una cosa simile ce l’ha confermata anche il direttore tecnico della Kunsthaus di Bregenz. In un processo lento si possono lavare via tracce di colla dalle pareti degli spazi espositivi. Il calcestruzzo continua a spurgare colla che può regolarmente essere lavata via dai muri fino a quando non ce ne sarà più. Ma per il pavimento di terrazzo alla veneziana a quanto pare è stato aggiunto un additivo che lo rende elastico per evitare che si crepi. Perché non vuole accettare queste crepe così tipiche per quel tipo di pavimento?
Questo mi è nuovo. Sicuramente non ho mai voluto evitare le crepe. Se è così, i motivi sono da chiedere alla ditta esecutrice. Ma cavillature ce ne sono.

Quindi ogni tanto i materiali non sono così puri come li vorremmo?
No, ma si tratta di aspetti pratici, ad esempio per facilitare il lavoro. Anche i vetri della facciata di Bregenz sono securizzati da una pellicola plastica posta tra gli strati che impedisce che in caso di rottura si stacchino pezzi grossi di vetro; queste sono situazioni in cui la plastica è in grado di fare molto. Ma non succede spesso.

Nel caso della facciata della Kunsthaus il dettaglio d’incastro delle lastre di vetro è un’idea astuta. Così non si sono resi necessari dei fori che avrebbero rappresentato un punto debole per l’invecchiamento della pellicola.
Sì, abbiamo voluto assolutamente risolverlo così facendo in modo che i vetri fossero appoggiati in modo tradizionale e che non fossero perforati.

Con l’esperienza il suo rapporto con l’età dei materiali è cambiato rispetto ai primi anni?
L’invecchiamento mi è sempre piaciuto. Lavoro con questa idea. D’altronde in passato mi è capitato di non curarmi di aspetti troppo specialistici; quando ad esempio volevo un dettaglio particolare o volevo provocare un determinato effetto estetico. Col senno di poi devo dire che alcune cose sono inutili. Ad esempio la porta impiallacciata del mio studio, che ho dovuto sostituire già ben due volte, sarebbe di nuovo necessario rimpiazzarla poiché l’impiallacciatura si stacca. Ho dovuto cambiare anche altre cose che avevo un po’ forzato: accanto alla casa studio c’era un palo di quercia appoggiato di testa su una lastra di metallo. Ho dovuto prendere atto che così marcisce. Mio padre, un mastro falegname, diceva sempre che con il legno di quercia si può fare tutto; ma evidentemente si sbagliava. Ora prendo sul serio questi dettagli, sono diventato più scrupoloso con i materiali.

E come si comporta di fronte a importanti danni di un edificio?
Non esiste una ricetta per tutti i casi. Nel caso del Kolumba a Cologna la parete è composta da una muratura monostrato. Dopo otto anni sul lato ovest ci sono state infiltrazioni d’acqua e all’interno si è formata una macchia di umidità. L’impasto era probabilmente troppo denso e si sono create cavillature nei giunti. La pioggia battente con la forza del vento ha poi portato l’umidità nell’interno che non è riuscita a seccare durante l’estate. Ci è voluto molto per trovare una soluzione. Ora il capomastro della cattedrale ha stuccato e sigillato ogni fuga della parete. Ma questi sono difetti nascosti, lavori in garanzia che non hanno molto a che fare con il vero e proprio processo di invecchiamento.

Esiste un edificio che ama particolarmente per il suo modo di invecchiare?
Trovo fantastici i paesaggi ancestrali, l’arte antica, i vecchi edifici; questo vale per la cattedrale di Coira come per il monastero di Müstair. Voglio esserne parte e creare qualcosa che possa invecchiare. Non so se i miei edifici diventeranno mai così vecchi che la gente avrà dimenticato il nome di chi li ha progettati e costruiti e vi riconoscerà solo un’opera fatta dall’uomo. Più divento vecchio più mi affascina l’inserimento in un contesto storico.

La storia che avvolge un edificio non è sempre visibile; si tratta comunque di una traccia della vecchiaia?
Sì, è bello avere un tavolo a cui si sedeva già il nonno. È anche bello fare un oggetto o un edificio che continui ad essere utilizzato, modificato, ricostruito ma che comunque, o forse proprio per questo, rimane. Questo ci collega al luogo da dove veniamo. Non è così in un nuovo complesso residenziale da quattro soldi dove tutto si disfa dopo sette anni, dove la plastica si stacca dal soffitto e dalle facciate. Io voglio costruire in modo che qualcosa rimanga, non per me, ma perché qualcosa rimanga nel mondo e ne possano essere partecipi diverse persone. È importante ancorare le cose nel tempo.

Com’è qui a Haldenstein, nel Süsswinkel, dove abita?
È un progetto a lungo termine. La mia famiglia, i miei amici e io siamo proprietari di una gran parte della case della via. Senza di noi sarebbero già state sostituite da tempo da edifici pseudo-storici. Pratichiamo una specie di protezione del patrimonio architettonico attraverso la proprietà.
Ora l’ufficio tecnico vuole rinnovare tutte le strade. Hanno cominciato nella parte alta del villaggio e hanno messo dei cordoli e marciapiedi ben delimitati che si separano dalla strada, qui si cammina, là si guida. Poi alcuni di noi del Süsswinkel siamo andati dal sindaco e gli abbiamo detto che desideravamo qualcos’altro: tradizionalmente da noi lo spazio pubblico attraversa la strada fino alla soglia della porta di casa. La delimitazione tra spazio pubblico e privato non è visibile. Ne ha preso atto e ora abbiamo una «strada residenziale», così con un’espressione moderna siamo tornati alla vecchia idea.

 

Traduzione di Anna Allenbach

 

Questo articolo, scritto per TEC21 20/2019, è stato riproposto in Archi 3/2019, L'acqua del benessere. La versione originale tedesca dell'articolo (con la gallery fotografica completa) si trova qui, mentre qui è pubblicata parzialmente la versione originale tedesca dell'intervista. 

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