Se­zio­ni di stra­de, se­zio­ni di edi­fi­ci

Alcuni manuali di urbanistica di fine Ottocento, e in particolare quello di Stübben,1 affrontano con rigore il problema della costruzione della grande città offrendo un repertorio di immagini che fa largo uso della sezione come strumento analitico e progettuale. Nel manuale di Stübben (la cui prima edizione risale al 1890) si trova una serie di sezioni stradali (Straßen Querprofil) di molte città europee che restituiscono un panorama articolato della cultura urbanistica dell’epoca. 

Data di pubblicazione
26-04-2017
Revision
26-04-2017
Luca Ortelli
Architetto, professore al Politecnico Federale di Losanna

Animato da un’autentica passione tassonomica, Stübben illustra le strade di molte città europee: Berlino, Bruxelles, Strasburgo, Stoccarda, Budapest, Copenaghen, Milano, Zurigo, Ginevra, per citarne solo alcune. Le strade delle città prese in considerazione sono rappresentate facendo ricorso alla sezione trasversale che costituisce lo strumento che permette il più alto grado di comparabilità degli oltre 100 esempi scelti. La grafica essenziale e l’utilizzo della stessa scala metrica rendono questo repertorio particolarmente utile e efficace. Naturalmente, fra gli esempi illustrati da Stübben, figura anche Parigi con una decina di sezioni stradali, tutte relative ai grandi boulevards della ville lumière. Queste arterie costituiscono il segno più immediatamente tangibile degli interventi voluti da Napoleone III e messi in pratica dal barone Haussmann. La loro presenza è rinforzata dagli edifici che le bordano e che furono interpreti delle aspirazioni degli abitanti della nuova Parigi adattando alcuni schemi degli hôtels particuliers alla forma che diventerà tipica della casa di affitto o immeuble de rapport.

Il testo che accompagna l’illustrazione del Magasin pittoresque2 qui riprodotta descrive le funzioni dei vari locali e le occupazioni degli abitanti.

«Questo disegno è la sezione di una casa situata in un quartiere ricco […]

Un ascensore indica che ci troviamo nella nuova Parigi. Al piano terreno, un caffè dove le persone si accalcano: c’è più di un fannullone, ma ci sono anche dei commercianti, degli industriali che si danno appuntamento per discutere dei loro affari.

Al mezzanino un ristorante. Il primo piano ci mostra l’interno di una modista elegante. Al secondo, un personaggio serio ascolta due visitatori che sembrano discutere con vivacità: si tratterà, a vostro piacimento, dello studio di un ausiliario di giustizia, di un avvocato o di un notaio. Ed ecco, al terzo piano, un sarto alla moda.

Al quarto, un professore dimostra qualche teorema di geometria a dei giovani che stanno preparandosi all’ingresso al Politecnico o alla Scuola Centrale. Il quinto piano è diviso in due abitazioni: da una parte la cameretta di un’operaia con dei fiori su un piccolo balcone; dall’altra l’alloggio di un domestico».

Questa illustrazione, con il testo che la accompagna, rende conto della tipica organizzazione degli edifici haussmanniani e fornisce un ritratto della vita quotidiana della capitale francese sotto il Secondo Impero e durante la Terza Repubblica. 

La rappresentazione accurata degli spazi interni rende la sezione perfettamente comprensibile, più di quanto lo sarebbe una pianta in cui gli arredi fossero disegnati con la stessa precisione. La pianta – sezione orizzontale – presenta infatti qualche difficoltà supplementare per essere «decifrata» dai non addetti ai lavori, priva com’è dell’immediatezza dei quadretti animati che compaiono nella sezione in questione.

In Espèces d’espaces, Georges Perec ha raccontato che nella moltitudine delle fonti da cui è nato il romanzo La vie mode d’emploi figura anche un disegno di Saul Steinberg.

«J’imagine un immeuble parisien dont la façade a été enlevée […] de telle sorte que, du rez-de-chaussée aux mansardes, toutes les pièces qui se trouvent en façade soient instantanément et simultanément visibles. 

Le roman - dont le titre est La vie, mode d’emploi - se borne […] à décrire les pièces ainsi dévoilées et les activités qui s’y déroulent, le tout selon des processus formels […] 

Les sources de ce projet sont multiples. L’une d’entre elles est un dessin de Saul Steinberg, paru dans The Art of Living en 1952…»3

Il disegno di Steinberg si rifà esplicitamente a un tipo di rappresentazione in voga alla fine dell’Ottocento. Si tratta di illustrazioni di carattere popolare che mostrano gli interni delle case d’affitto parigine, mettendo in risalto la «stratificazione» sociale che le caratterizzava.

Lo stesso tipo di rappresentazione veniva utilizzato per pubblicizzare il grado di comfort che quegli stessi edifici offrivano agli abitanti, particolarmente per quanto riguarda gli impianti idraulici o di riscaldamento.

Il carattere «utilitario» della sezione rende la rappresentazione di facile comprensione a un pubblico allargato. Questa «facilità di accesso» è sostenuta dalla possibilità di mostrare diversi interni domestici simultaneamente. In questo senso, le sezioni parigine sono più efficaci delle prospettive delle Zimmerbilder, più realistiche e più ricche di dettagli ma incapaci di offrire la visione simultanea di numerose stanze e dunque prive della dimensione «narrativa» che scaturisce dalle sezioni degli immeubles de rapport. Non è dunque un caso che Perec abbia subìto il fascino del disegno di Steinberg e che l’edizione tascabile del suo romanzo porti in copertina una di queste rappresentazioni. 

La sezione come strumento di concezione e rappresentazione dell’architettura diviene in questo caso accessibile grazie all’integrazione di due codici diversi. Il primo è quello astratto che consiste nel rappresentare gli elementi costruttivi dell’edificio come apparirebbero se lo stesso venisse «tagliato» secondo un piano verticale, il secondo è di tipo figurativo e consiste nel presentare gli interni che il «taglio» ha reso visibili, con gli arredi, gli elementi decorativi e i personaggi che consentono di descrivere o immaginare la vita che si svolge all’interno dell’edificio.

Naturalmente l’uso della sezione finalizzato a rivelare l’interno di un edificio possiede una tradizione disciplinare prima di divenire strumento di comunicazione popolare come nel caso degli esempi parigini. 

Come detto, questi disegni si riferiscono agli immeubles de rapport che si moltiplicavano in quegli anni a Parigi, in relazione con gli interventi haussmanniani. Per quanto riguarda la progettazione e l’esecuzione di edifici di questo tipo, la sezione, intesa come strumento tecnico, riveste un’importanza limitata. Infatti, al di là delle variazioni dell’altezza dei diversi piani, gli immeubles de rapport sono rigidamente codificati nella loro composizione verticale: piano terreno e mezzanino (entresol) ad uso commerciale, piano nobile seguito da altri piani di abitazione, ultimo piano e sottotetto per lo più occupati da appartamenti più piccoli e destinati alle camere dei domestici. La stratificazione sociale che ne deriva risulta, nella realtà dei fatti, meno evidente di come appare nei disegni di cui abbiamo parlato. In ogni caso, nella progettazione di questi edifici, l’organizzazione della pianta riveste un’importanza molto maggiore rispetto alla sezione. Le numerose pubblicazioni che illustrano questo tipo di edifici si limitano infatti a presentare le piante, il fronte su strada ed eventualmente qualche elemento decorativo. La qualità dell’immeuble de rapport derivava dalla capacità dell’architetto di «annullare» le deformazioni geometriche prodotte dagli interventi haussmanniani producendo la tipica enfilade di locali rappresentativi quanto più possibile regolari e controllati. Questa capacità specifica, detta «art du rachat», che consisteva nell’assorbire le irregolarità geometriche all’interno dei locali di servizio, giustifica l’importanza della pianta, a scapito della sezione. 

L’illustrazione di copertina del romanzo di Perec,4 realizzata da un illustratore caricaturista noto con lo pseudonimo di Bertall, presenta, non senza tenerezza ironica, «cinque piani di vita parigina». Le scenette rappresentate nei vari locali mostrano le diverse condizioni in cui le case d’affitto venivano abitate, dal grande appartamento borghese alla fredda soffitta occupata da artisti e famiglie operaie. Nonostante l’accuratezza di alcuni dettagli tecnici come la canna fumaria o il profilo delle modanature di facciata, lo scopo principale di questo disegno non ha nulla a che fare con l’architettura: da un punto di vista tecnico/costruttivo, questa casa «non può esistere» (l’accostamento di appartamenti diversi e la posizione del vano scala determinano l’impossibilità che gli spazi rappresentati siano effettivamente distribuiti). La sezione è qui utilizzata per quella sua speciale capacità di rappresentare simultaneamente le situazioni più diverse e offrire al lettore tredici «quadri» che, nel loro insieme corrispondono a uno spaccato della società dell’epoca. In questo caso lo spaccato riunisce, all’interno di una cornice grafica verosimile, diverse scene di vita quotidiana e proprio l’intrecciarsi delle storie degli abitanti sarà l’elemento chiave del romanzo di Perec che dell’immeuble de rapport costituisce una sorta di radiografia poetica.

Si noti poi che l’espressione «spaccato», utilizzata per indicare la restituzione sintetica di una realtà più o meno complessa deriva dallo «spaccato» architettonico che altro non è che una sezione.

La vignetta di Bertall, pubblicata nel 1845, anticipa di un secolo le sinistre sezioni «dal vero» prodotte in molte città europee dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, restituendo al termine «spaccato» il significato di azione forzosa, in questo caso violenta, che ne costituisce la radice. In tutta l’Europa, gli eventi bellici hanno mostrato edifici i cui interni, drammaticamente messi a nudo, offrivano «l’immagine di quelle case sventrate dove tra le macerie rimanevano ferme le sezioni dei locali familiari con i colori sbiaditi delle tappezzerie, i lavandini sospesi nel vuoto, il groviglio delle canne, la disfatta intimità dei luoghi» descritte, fra gli altri, da Aldo Rossi.5

Poché

Nell’architettura neoclassica tedesca o nella tradizione Beaux-Arts, la sezione come strumento progettuale risulta più adeguata, se non necessaria, agli edifici pubblici – i teatri, in questo senso, ne costituiscono l’esempio più esplicito. La sezione viene utilizzata per illustrare le qualità spaziali interne piuttosto che per fini tecnici. L’unica eccezione riguarda le carpenterie dei tetti che vi sono rappresentate con dovizia di particolari, mentre gli elementi murari e i solai sono in genere indicati come elementi omogenei, senza attributi particolari, secondo le convenzioni del «poché». Jacques Lucan ha scritto che la parola «poché» indicava, in ambito Beaux-Arts, «ciò che non necessitava di essere esplicitato con precisione, in quanto privo di dimensione teorica particolare».6 Questo procedimento, che si applica tanto alle piante che alle sezioni, era reso possibile dalle pratiche costruttive correnti e dalla natura stessa della muratura intesa come «massa» i cui unici connotati degni di interesse erano le modanature e i rilievi e la loro partecipazione alla definizione dello spazio interno o dell’articolazione dei fronti. 

Va però ricordato il fatto che il poché è attualmente praticato non solo come tecnica di rappresentazione ma anche come illustrazione della dimensione concettuale su cui si fonda il progetto. Anche se gli esempi citati da Lucan si riferiscono principalmente alle piante di celebri edifici contemporanei, le sue riflessioni possono applicarsi anche alle sezioni (anche se, in realtà, è curioso che la maggior parte di coloro che si sono occupati di poché si siano concentrati a studiare questo procedimento in riferimento esclusivo alla pianta). Per verificare l’importanza e la forza espressiva del poché nelle sezioni, basti pensare a quelle elaborate da Peter Zumthor per il Kolumba Museum di Colonia nelle quali le installazioni tecniche e gli elementi costruttivi sono campiti in nero, in perfetta continuità con il suolo o con l’edificio adiacente. Il risultato, coerentemente con la poetica di Zumthor, è un disegno in cui vengono esaltate le qualità delle sale espositive come vere e proprie «cavità», riproponendo una definizione di spazio descritta da Giedion7 e decisamente opposta alla nozione di assemblaggio che caratterizza molta architettura contemporanea. 

Nei progetti sette-ottocenteschi, la sezione possiede un ruolo importante come strumento di comunicazione, spesso accompagnata da vedute prospettiche. Nei confronti di queste ultime, la sezione architettonica rappresenta l’edificio progettato con maggior precisione, offrendo la possibilità di misurarne i diversi elementi, a differenza delle rappresentazioni «popolari» viste all’inizio di questo scritto. Le sezioni con interno sono utilizzate nel caso di edifici pubblici e, nell’architettura domestica, sono riservate a dimore prestigiose, presentando spesso un unico ambiente o a una sequenza limitata di spazi. 

Per la qualità grafica e architettonica, nella vasta produzione del XVIII e XIX secolo, oltre alla vasta produzione Beaux-Arts, si possono citare, fra gli altri, Weinbrenner e Klenze, senza dimenticare Schinkel, ma anche Quarenghi o Fossati, questi ultimi attivi in Russia, a dimostrazione del fatto che questo tipo di rappresentazione è di fatto internazionale e possiede il valore di un vero e proprio codice espressivo condiviso. Non è dunque sorprendente ritrovare queste belle sezioni in tutti i Paesi europei, compresi quelli più lontani dai centri di elaborazione dei nuovi canoni architettonici. Fra questi figura la Svezia, caratterizzata, fin dall’inizio del XVII secolo, da una cultura decisamente cosmopolita e dalla presenza di architetti stranieri di prestigio, fortemente voluta da diversi sovrani. Nicodemus Tessin il giovane (1654-1728), autore del Palazzo Reale di Stoccolma, aveva visitato la Francia, l’Inghilterra e l’Italia prima di assumere importanti incarichi in patria. Il suo lavoro incarna il passaggio, o meglio l’ibridazione, di tematiche e motivi barocchi con i nascenti stilemi neoclassici. Fra i suoi progetti, ce n’è uno che colpisce proprio per il modo in cui viene elaborata la sezione. Si tratta del progetto di un edificio per spettacoli equestri dedicato a Carlo XII e datato 1713. Oltre alle qualità del progetto, la sezione longitudinale presenta un particolare «inquietante». Fra i personaggi che animano il disegno facendone un vero e proprio quadro animato, alcuni, seduti sulle gradinate disposte intorno all’invaso, sporgono le gambe al di là del piano di sezione, altri vi spingono le vesti. In altri termini, questi personaggi «invadono» lo spazio virtuale che si immagina speculare a quello rappresentato e che, per convenzione, non deve e non può far parte della figurazione architettonica. È difficile trovare una più efficace illustrazione dell’artificio concettuale che ogni sezione comporta. L’effetto – si potrebbe dire – è «magrittiano» e ci invita a riflettere sullo statuto della rappresentazione architettonica, scardinandone le convenzioni. Non mancano certo gli esempi di affreschi in cui i personaggi si pongono al di qua degli elementi architettonici dipinti per produrre l’effetto di una maggiore profondità spaziale ma nel caso della sezione di Tessin, la finalità non è il trompe l’œil. Il registro, in questo caso, non è dettato dalla volontà di aumentare il realismo della rappresentazione ma è piuttosto di ordine concettuale. 

Strumento concettuale

Al di là di questo esempio estremo, la sezione come strumento progettuale e di rappresentazione rivela sempre un aspetto concettuale che può trascendere i limiti della verosimiglianza. La tecnica del poché ne è la dimostrazione in quanto possibilità di restituire criticamente gli elementi del progetto rendendone più evidenti alcuni a scapito di altri. La sezione ha vocazione analitica e descrittiva, ma in senso completamente diverso rispetto a una prospettiva o a una rappresentazione pittorica e questo suo carattere la allontana dal realismo stucchevole dei rendering oggi in voga.

Per alcuni architetti, la sezione – sia essa verticale o orizzontale – è lo strumento più adeguato alla comprensione e alla concezione dell’architettura. Per altri si tratterà piuttosto della visione sintetica offerta dalla prospettiva o dall’assonometria anche se è chiaro che, in fase di realizzazione, pianta e sezione occupano un ruolo fondamentale e irrinunciabile.

In alcuni casi la concezione dell’opera sarebbe impensabile senza il ricorso sistematico alla sezione come strumento progettuale. Uno degli esempi più noti è il cosiddetto Raumplan di Adolf Loos. Le case Moller, Rufer e Moissi mostrano con apparente semplicità lo «scheletro» della costruzione con i cambiamenti di livello delle solette che rendono possibile la caratteristica articolazione volumetrica loosiana. La semplicità è solo apparente come ben sa chiunque abbia provato a combinare mentalmente tutti i «tagli inferti» all’oggetto architettonico o, in altre parole, a dare coerenza logica e spaziale a piante e sezioni. 

L’altra ragione che rende emblematico il caso di Loos è l’utilizzo della sezione verticale come strumento di comprensione e aggiustamento non solo degli spazi interni e delle loro relazioni ma anche del rapporto dell’edificio con il suolo. Si veda, a tale proposito, la sezione della casa per Tristan Tzara. Qui è evidente che la concezione generale del progetto prende le mosse dal confronto diretto con le condizioni morfologiche del terreno e questo, potremmo dire, è un aspetto che caratterizza l’architettura del XX secolo. 

Ovviamente, anche in passato il rapporto tra edificio e suolo ha occupato una posizione di fondamentale importanza, ma senza diventare «tema di progetto». Le sostruzioni pur necessarie alla realizzazione di innumerevoli edifici rinascimentali o neoclassici, per rimanere nell’ambito delle presenti osservazioni, non costituivano un fenomeno meritevole di essere mostrato e spiegato «in quanto privo di dimensione teorica particolare». In altri termini si potrebbe dire che è come se tutte le opere di preparazione del terreno finalizzate a renderlo più propizio all’edificazione venissero sistematicamente «inghiottite» da una sorta di invisibile… poché.

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