Peppo Brivio (1923-2016) – Casa d’artista
A Savosa, in un quartiere abitativo di case unifamiliari, Peppo Brivio progetta negli anni Cinquanta una casa d’artista, creando spazi interni introversi e protetti dal mondo esterno. Accanto alle planimetrie del Fondo Brivio, nell’archivio della Fondazione Archivi Architetti Ticinesi sono presenti numerose lettere testimoni della fitta corrispondenza intrattenuta dall’architetto con il proprietario, le quali fanno da filo conduttore alla progettazione. Luciano Sgrizzi, famoso pianista, si delinea infatti da subito come un committente ansioso di costruire la propria casa in tempi brevi, insistente nei confronti dell’architetto e molto attento a ogni evoluzione progettuale.
Linee tracciate a matita su carta quadrettata: è così che prendono forma i progetti di Brivio, e anche per la casa d’artista lo studio di varianti planimetriche segue questa scala ortogonale e precisa. Nel primo schizzo progettuale il piano superiore si sviluppa con una doppia assialità: una fascia nord traversante, con cucina e sala da pranzo, alla quale si dispongono ortogonalmente due spazi di identiche proporzioni separati tra loro dalla circolazione verticale del vano scale, entrambi affacciati sullo spazio esterno della lunga terrazza verso sud. Questo primo studio è il diretto risultato del peculiare fronte prospettico della parcella verso sud, caratterizzata inoltre da una forte pendenza del terreno e racchiusa nel tornante di una strada.
Il committente risponde però prontamente, esprimendo per lettera i suoi desideri. Casa Sgrizzi viene così in seguito modellata attorno al pianista, sulla base del desiderio di un’abitazione «protetta dal rumore e dalla vista della strada sottostante»,1 sviluppata attorno allo spazio a lui più caro, il suo studio, come sottolinea in più lettere lo stesso Luciano Sgrizzi: «il resto non mi importa molto».2
Gli schizzi seguenti presentano così una negazione dell’apertura verso sud, portando il progetto a uno stadio introspettivo.
Nell’avanzamento del progetto, il volume della casa si fa sempre più introverso, diminuisce la permeabilità con l’esterno, il programma si sviluppa in spazi volumetrici e le planimetrie presentano un concatenarsi di volumi chiusi. Il soggiorno e lo studio si uniscono e formano un’unica area che occupa tutta la fascia ovest del piano superiore, mentre la fascia est ospita la cucina a nord, nel mezzo gli spazi secondari, e verso sud la camera padronale. La terrazza viene posta perpendicolarmente al dislivello del terreno. Le superfici delle facciate presentate in precedenza lasciano spazio a una vera e propria articolazione di volumi compatti, con superfici in cemento armato a vista, corrispondenti all’introspettivo programma interno, presentanti una complessa articolazione volumetrica plastica, «quasi puntuale nella sua interpretazione cubista».3 Le aperture, scorci vetrati in legno di abete, sono pensate come semplici fessure intraposte tra i compatti prismi intatti, senza alcuna continuità con gli spazi esterni.
Questo progetto rappresenta la ricerca e l’architettura di Peppo Brivio nei primi anni Cinquanta, risultante da uno schema radicale, simbolico e, facendo seguito al suo primo progetto di Casa Albairone a Massagno, segna l’inizio del legame con il neoplasticismo.
Note
1 N. Baserga, L’interpretazione dei modelli storici nell’opera di Peppo Brivio, «Archi», 2013, n. 4, p.71.
2 Lettera di Sgrizzi a Brivio, agosto 1957, Archivio AAT, Fondo 041.049.
3 R. Pedio, Una proposta neoplastica: Opere dell’architetto Peppo Brivio, «L’architettura. Cronache e storia», febbraio 1961, anno VI, n.10, pp. 684.