Manufatti della viabilità: estetica del movimento
«È probabilmente dalla convergenza di una rinnovata centralità del paesaggio urbano, come ambito di un’esperienza estetica determinata da una sovrabbondante offerta iconica, e dal contraddittorio e contemporaneo dissolversi dello stesso paesaggio nelle maglie decostruite della città diffusa che è nato, da qualche anno, un pronunciato interesse per le infrastrutture come unico elemento veramente in grado di resistere alla frammentazione visiva dell’ambiente costruito». – Franco Purini, 2006
Anche se l’argomento dei ponti pedonali è già stato affrontato in passato (cfr. Archi 5/2004 e Archi 1/2014), in questo caso è il concetto di versatilità la chiave di lettura dei contributi delle prossime pagine. È infatti questa attitudine di apertura conoscitiva che predilige Jacques Gubler, riprendendo un articolo di Diego Peverelli degli inizi degli anni Ottanta (Solution technique – Proposition architecturale), in cui l’elogio della passerella partiva dalla constatazione che – nonostante l’essenzialità del programma – il tema permetteva un ampio raggio di sperimentazione progettuale. Il saggio di Gubler cerca di individuare il grado zero più uno di questo oggetto architettonico, soffermandosi sui connotati di celebri passerelle urbane. Pone così una serie di interrogativi che toccano la dimensione pubblica di questa tipologia attraverso un itinerario che si dipana tra noti esempi storici fino a raggiungere le soglie della contemporaneità. In questa personale promenade architecturalesulle passerelle, l’autore accenna ad alcuni aspetti peculiari che interessano il tema, tra cui l’ipotesi del suo uso come strumento di ricerca di plusvalore urbano in esempi localizzati a Ginevra, Losanna e Basilea: la successione delle cartoline presentate coglie – con la cifra ironica che caratterizza la sua narrazione – la forza evocativa di ogni singolo intervento.
Indubbiamente questi artefatti della tecnica fanno parte dell’implementazione infrastrutturale del territorio, ma le passerelle sono innanzitutto manufatti architettonici complessi che incidono nella conformazione dei centri abitati e del paesaggio, condizionando la percezione dello spazio attraversato dal camminante. La loro realizzazione coinvolge figure professionali dai profili specifici in una collaborazione interdisciplinare che evolve dal progetto al cantiere, travalicando le questioni meramente tecniche e funzionali.
Un dialogo epistolare tra Georges Descombes e Jürg Conzett – relativo alla riqualificazione del vecchio ponte di Certoux con l’aggiunta di un ponte pedonale all’interno del piano di rivitalizzazione dell’Aire – risulta in questo senso particolarmente illustrativo delle considerazioni insite nell’arte di costruire (Kunstbauten) passerelle in sinergia con le preesistenze e il paesaggio: «Anche a Certoux si sarebbe dovuto trovare il giusto rapporto tra il vecchio ponte e il nuovo [ ... ]».
D’altronde Tullia Iori affronta criticamente il processo tramite il quale, nel passaggio al XXI secolo, le passerelle ciclopedonali sono spesso diventate delle «pop structures»: city bridges come icone capaci di stupire il grande pubblico tramite le prodezze dell’ingegneria strutturale. Sebbene alcuni progettisti abbiano mantenuto «i principi etici ed estetici fondamentali dell’ingegneria classica», a suo avviso, l’orientamento che è prevalso è stato paradossalmente quello «barocco»: cioè un approccio trasgressivo delle nozioni fondanti dell’ingegneria moderna, che privilegia l’indipendenza della forma rispetto al comportamento statico, esasperando la sperimentazione.
Alejandro e Jorge Bernabeu invece, attingendo alla propria esperienza professionale, registrano «la rilevanza delle principali azioni che le passerelle consentono» (attraversare, guardare, connettere …) e con grande precisione enumerano i diversi aspetti da considerare nella loro progettazione: dai vincoli da stabilire con il sito all’articolazione spaziale, dalla definizione dei limiti ai giochi scalari, senza trascurare le condizionanti morfologiche, geotecniche, climatiche e idrologiche del terreno su cui poggiano, i criteri di durabilità e la dimensione simbolica.
Fanno da corollario a queste riflessioni una serie di passerelle costruite nella Valle Maggia, a Bellinzona, Ecublens e Zurigo presentate nella seconda parte del numero. Se la differenza principale tra un ponte e una passerella risiede nella possibilità di fermarsi e indugiare tra le due sponde, tante sono ancora le motivazioni per continuare a indagare la questione della sosta in quanto trait d’union di molteplici sollecitazioni che raccontano la natura stessa di questo elemento architettonico.