Lo sport: in­di­ca­to­re cul­tu­ra­le di ri­ge­ne­ra­zio­ne fi­si­ca e so­cia­le

Architetture, paesaggi, lineamenti

Data di pubblicazione
14-06-2023
Emilio Faroldi
Arch., PhD, prorettore vicario POLIMI e direttore del Master in Sport Design and Management

La storia delle civiltà e dei luoghi è testimone del significato e del ruolo che la cultura dello sport e la gestione colta del tempo libero hanno avuto nella definizione dell’identità delle comunità e dei popoli.

«Luogo» per antonomasia e presenza tipologica forte e riconoscibile all’interno del tessuto urbano, l’architettura dello sport si eleva a contenitore di molteplici dinamiche emotive. Icona della città policentrica e multiscalare, essa è oggetto di studi e sperimentazioni interni al dibattito e alle azioni che coinvolgono i sistemi territoriali e i loro assetti. Il rapporto sport-cultura, in forme sostanzialmente immutate rispetto a duemila anni fa, è facilmente rintracciabile in ogni ambito della società contemporanea e ne influenza gusti, costumi, tendenze. Condivisione, interattività e realtà virtuale: in un clima di ibridazione e contaminazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, lo sport e la sua architettura sono anche espressione sincera delle necessità delle nuove generazioni.

Identificare ed eleggere tali comparti a beni culturali da valorizzare, analizzando le ricadute che questi elementi imprimono alla trasformazione della città e del territorio, significa, dunque, promuovere un’azione di manifesta attualità, interprete di una visione che traduce l’atto politico-decisionale in strumento culturale dalle evidenti potenzialità sociali ed economiche.

In termini urbani, inoltre, le infrastrutture sportive costituiscono una preziosa «riserva» necessaria a favorire quell’equilibrato grado di mixité funzionale attualmente richiesto da una città compatta che miri a essere intelligente, competitiva e capace di mantenere il passo con una società dalle istanze mutevoli. È in questo quadro che sono da leggersi i numerosi fenomeni di trasformazione di impianti esistenti o la realizzazione di nuove strutture, che sempre più assumono ruoli determinanti e strategici nel disegno delle città e dei loro articolati paesaggi.

In continuità con i cambiamenti introdotti dall’evoluzione dell’apparato normativo, dalla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e dalle rinnovate modalità di partecipazione pubblico-privato, le infrastrutture per lo sport identificano un genere di struttura destinata ad accogliere, oltre all’evento sportivo, molteplici attività organizzate per lo scambio di beni o servizi; veri e propri motori di impulsi economici, traducono in entità spaziali i temi sociali e culturali al centro delle strategie di pianificazione, organizzazione e valorizzazione dei contesti. In tal senso, il termine infrastruttura rimanda al concetto dinamico di «integrare» – o integrato – che, dal latino, significa completare, aggiungere qualcosa per rendere compiuto e funzionante un sistema. Accostare a tale sostantivo la parola «sport» implica, dal punto di vista semantico e operativo, un nuovo approccio, orientato alla rivisitazione del ruolo delle attrezzature sportive nella società. Significa, altresì, far interagire e connettere spazi e luoghi tra loro spesso non dialoganti, definendo sistemi insediativi innovativi, riordinando frammenti sparsi di città, creando nuovi livelli esperienziali.

Le azioni di sensibilizzazione e promozione, finalizzate alla valorizzazione progettuale dell’impiantistica sportiva, esistente o da programmarsi ex-novo, riconoscono lo sport e le sue strutture quale bene culturale, espressione di esigenze proprie della società post-moderna, stimolando in modo proattivo l’analisi dei fattori fisici, immateriali e delle figure che gestiscono l’organizzazione del processo di progettazione, costruzione e gestione.

Negli ultimi decenni si è diffusa una nuova generazione di strutture sportive dinamiche e articolate, tese a garantire qualità ambientale, sicurezza e multifunzionalità. Lo sport ha trovato la sua idonea collocazione in prossimità del tessuto urbano consolidato o nelle immediate aree periferiche della città: spesso fulcro di complessi dotati anche di attrezzature minori, esso alimenta una polarità in grado di ricucire gli spazi marginali con l’armatura storica del tessuto urbano e con i sistemi infrastrutturali. Nei contesti di matrice anglosassone, ad esempio, gli stadi sono sovente collocati all’interno del tessuto consolidato, favorendo la costruzione di isolati direttamente relazionati con le dimensioni del quartiere interessato da tali interventi e per questo capaci di ridisegnare il profilo di un determinato ambito della città e di conferirgli identità. In questi casi, la misura della città costituisce il limite dimensionale e tecno-tipologico delle strutture destinate allo sport, dal momento che esse si costruiscono integrandosi alla maglia urbana e alle giaciture esistenti: architetture che divengono «elementi primari» all’interno della continuità morfologica e funzionale della città. Il rapporto tra manufatto e contesto si definisce prioritariamente per mezzo della corretta sovrapposizione e interferenza tra opera architettonica e spazio pubblico, identificando nel limite e nell’architettura il medium dialogico con la città e la sua trama. Una tendenza, questa, ormai acquisita dai fenomeni di rigenerazione e valorizzazione dell’ambiente costruito, volta a indirizzare la progettazione degli edifici sportivi verso organismi compatti e multifunzionali di media dimensione, che mostrino un forte carattere urbano e garantiscano elevati livelli di accessibilità e fruibilità, in modo che la loro ideazione, progettazione e realizzazione si trasformi in un’occasione di rivalutazione strategica delle città e dei territori.

L’infrastruttura sportiva si rivela essere anche un’importante occasione di sperimentazione architettonica, progettuale e tecnologica: valorizzarne le potenzialità rappresenta, quindi, una valida opportunità per innescare un livello di competitività territoriale di straordinaria efficacia, nonché uno stimolante campo d’azione per la cultura del progetto.

La compresenza di aspetti di natura linguistica ed elementi di carattere immateriale rende il ruolo delle infrastrutture sportive pregnante e originale: edifici complessi, espressione tangibile di modelli sociali, riferimenti artistici, narrativi e culturali di vario genere.

Va sottolineato come disquisire di edifici per lo sport in termini esclusivamente morfo-tipologici o attraverso schemi di carattere esigenziale e prestazionale – azione di per sé utile e spesso compiuta in passato – rappresenti oggi un esercizio limitante e autoreferenziale. I temi e gli ambiti disciplinari direttamente coinvolti dal mondo dello sport, del tempo libero e del vivere sano sono infatti notevolmente più articolati che in passato. L’ormai datato concetto di impianto sportivo, nella sua classica accezione terminologica, congiuntamente al suo significato, rimanda infatti a un oggetto autoreferenziale di cui si valutano principalmente le qualità prestazionali endogene, disgiunte dal valore e dall’energia del contesto. Al contrario, il concetto di infrastruttura sportiva si riferisce a un nodo che interagisce attivamente con il territorio e del quale diviene motore di trasformazione ed espressione dinamica. Specularmente, il termine infrastruttura, sebbene tradizionalmente associato al tema della mobilità, va inteso, nel suo valore materiale, come elemento di connessione tra specifiche funzioni urbane e al contempo simbolo delle relazioni che tra esse si instaurano.

Attualmente lo sport, infatti, è inequivocabilmente uno dei collanti sociali, funzionali e morfologici più efficaci rispetto alle molteplici relazioni che si instaurano nell’organismo urbano e proprio per questa sua capacità può essere inteso come struttura portante di un sistema fisico e sociale dinamico in costante divenire. In tal senso, assegnare ai manufatti e alle architetture per lo sport il medesimo ruolo e valore delle infrastrutture tradizionalmente intese implica inserire anch’essi, e a pieno titolo, all’interno dell’articolazione complessa dello spazio contemporaneo.

L’evoluzione e la varietà delle realtà architettoniche connesse allo sport, inclusi i relativi processi gestionali, economici e sociali, hanno favorito la diffusione di nuove generazioni di impianti multi e polifunzionali in grado di garantire qualità ambientale, sicurezza e funzionalità. Le infrastrutture sportive, soprattutto quelle di medie e grandi dimensioni, sono sempre più assimilabili a sistemi complessi: luoghi del benessere, dello spettacolo, della socialità e della produzione, innestati nel più ampio scenario dei paesaggi del contemporaneo. Tali manufatti devono essere concepiti come vere e proprie «case dello sport», per le quali tale dicitura si identifica con un’idea di condivisione, aggregazione e inclusione sociale, capace di generare energia, opportunità e creatività d’uso. Solo se inteso in questo senso, lo «stadio-casa» può essere un vero e proprio hub preposto a erogare servizi personalizzati e flessibili, rivolti a un pubblico più ampio rispetto al passato, non più limitato ai soli tifosi fidelizzati, bensì allargato all’intera comunità.

La nostra epoca, attraverso i processi di smaterializzazione delle informazioni e della loro agevole condivisione, trasforma i grandi eventi sportivi in modelli massmediatici di straordinaria valenza socioculturale a scala universale. Di conseguenza, le architetture di recente generazione debbono strutturare e de-strutturare l’ambiente circostante, intercettando ambiti connessi a diverse territorialità.

Fulcro strategico di nuovi interventi, gli spazi per lo sport definiscono community building proiettati a migliorare l’assetto funzionale dei contesti esistenti, valorizzando il proprio inserimento all’interno delle comunità di appartenenza e promuovendo nuove modalità di gestione. Il contemporaneo, con maggiore insistenza che nelle epoche passate, si costruisce attorno all’archetipo dello sport, dei luoghi a esso deputati e degli eventi a esso connessi: lo sport materializza il tempo della socializzazione, dei momenti ludici e dell’ibridazione delle sfere d’azione, confermando la trasversalità di significato che attualmente assumono il consumo, lo svago, il tempo libero, la comunicazione, l’informazione e il turismo.

In tale quadro, dal punto di vista procedurale, l’articolazione, la complessità e le criticità della fase decisionale e autorizzativa, che coinvolge il processo di programmazione e realizzazione di uno stadio o di una struttura sportiva, risultano particolarmente accentuate dai molteplici attori coinvolti. Siamo in presenza di stakeholder portatori di interessi connotati da differenze di natura giuridica, sociale e culturale: tutto ciò coinvolge questioni di natura etica, civica, sociale, culturale, identitaria, ambientale, di salute pubblica e di consenso politico, stimolando forme integrate di partenariato pubblico-privato. Un quadro, questo, che non può prescindere da un continuo aggiornamento e affinamento degli strumenti, ormai sempre più sofisticati, di governance integrata a cui si associano complessi processi di raccolta, gestione e condivisione dei dati. La varietà degli attori in gioco, all’interno dei processi di trasformazione che coinvolgono intere comunità alla scala territoriale, suggerisce inoltre un ripensamento dei nodi e delle reti dei percorsi decisionali, introducendo nuovi statuti atti a regolare le decisioni pianificatorie, in parallelo all’affermarsi di avanzate tecnologie di analisi, organizzazione e condivisione di un numero sempre maggiore di informazioni in tempi sempre più ridotti.

Inoltre, in un’epoca caratterizzata dalla crescente presa di coscienza della scarsità di risorse, la fase di gestione, se idealmente considerata all’interno dello schema circolare del ciclo di vita di un edificio, dovrà inevitabilmente essere collocata all’inizio del processo ideativo, in quanto contenente seppur in forma embrionale tutti gli elementi critici del progetto. In tale logica, il concetto di sostenibilità dovrà permeare qualsiasi scelta e indirizzare qualsiasi operazione: lo stadio per il calcio, ad esempio, e in generale tutti i manufatti connessi alla pratica sportiva, in questa aggiornata condizione culturale, comportano un alto grado di complessità tecnologica, del prodotto e del processo, sottesa a qualunque genere di processo integrato, ma anche all’ideazione, alla programmazione, alla progettazione e alla costruzione, per ottenere un efficace modello di gestione, che si occupi di tutte le scale di intervento ed estenda la propria efficacia all’intero ciclo di vita dell’edificio.

Lo sport deve essere inteso quale elemento promotore di hub attrattivi: concentratore, catalizzatore, incubatore di risorse umane ed economiche, accomunate da un consapevole investimento del tempo e dalla condivisione di emozioni, capace, altresì, di modificare i consolidati bacini d’utenza, trasformando i tradizionali confini geografici e geopolitici in veri e propri distretti fondati sui valori, le regole e i riti che esso, da sempre, promuove e governa. Ne risulta così un prodotto territoriale allargato, collocato in relazione con altri all’interno di un sistema multilayer, potenzialmente in grado di contribuire attivamente alla valorizzazione di uno specifico luogo. In tal modo l’architettura diventa un attivatore sociale, che accoglie e interpreta le esigenze della collettività, ribadendo la relazione con la realtà di riferimento, aumentandone il valore e potenziandone il livello di gradimento rispetto alla fruizione dei suoi spazi.

Le strutture dello sport ambiscono così a divenire luoghi rappresentativi di un’epoca, ideati, progettati, costruiti secondo modalità inclusive, innovative e multimediali: significativi segni architettonici, di matrice, al tempo stesso, locale e globale, capaci di auto-eleggersi, contemporaneamente, a icona territoriale e a luogo esperienziale. In conformità con tali obiettivi, la cultura progettuale dovrà introdurre nuove formule in grado di concepire ambiti e forme sempre meno rigide e quanto mai flessibili sia nel medio sia nel lungo periodo.

Molteplici risultano essere gli esempi presenti nel contesto europeo che, proprio a partire da un nuovo approccio progettuale, coinvolgono ampie aree urbane fragili; queste vengono restituite alle comunità cittadine con elevati livelli di qualità ambientale e architettonica, in funzione di una loro fruizione spazialmente allargata e temporalmente dilatata. Altri casi identificano punti di aggregazione e di incontro in accordo con le più significative tendenze in atto, nei quali il tempo libero e l’intrattenimento sono fattori costantemente in crescita. I complessi destinati allo sport offrono da questo punto di vista notevoli opportunità alle pubbliche amministrazioni, che riconoscono a essi un rilevante ruolo infrastrutturale, a livello centrale e locale, in funzione delle dinamiche di marketing territoriale strategico, nell’ambito di una consolidata competitività tra governi locali. In particolare, sembra ormai consolidato il loro valore urbano: da oggetti estranei ai tessuti consolidati a elementi facenti parte della città contemporanea, abbandonando la logica «oggettuale», caratterizzata dall’idea dell’utilizzo eccezionale e sporadico, per favorire un principio di rete all’interno del quale essi assumono un ruolo strutturante, connesso con le attività quotidiane.

In tale scenario, il confronto con la memoria storica rappresenta la principale fonte di difficoltà e, al tempo stesso, la maggior risorsa in fatto di opportunità progettuali. Ciò significa che le proposte avanzate dovranno farsi interpreti di tale eredità, accollandosi l’onere di individuare una chiave di lettura originale e personalizzata attraverso cui possa essere avviato un non più procrastinabile processo di ammodernamento delle strutture esistenti, per garantire il medesimo livello di competitività delle realizzazioni di ambito europeo, sia dal punto di vista infrastrutturale sia in relazione all’offerta specificatamente sportiva.

Utilizzando una metafora, il destino degli stadi e delle infrastrutture sportive in generale, sembra riconducibile a due delle città mirabilmente descritte da Italo Calvino. Da una parte Zora, città «obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata» e, per tale motivo, destinata a scomparire; dall’altra Zaira, indescrivibile e mutevole in quanto costituita «di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato». All’interno di tale dicotomia, risiede il destino di molte architetture per lo sport consegnate dalla storia alla contemporaneità. I contesti europei sono dunque chiamati a operare scelte a cavallo tra memoria e innovazione, storia e trasformazione, conservazione e valorizzazione. Infatti, prendendo atto della difficoltà di adeguamento delle strutture esistenti, caratterizzate da una evidente rigidità morfo-tipologica e da scarsi livelli di resilienza, è ormai diffusa la consapevolezza che le infrastrutture per lo sport condizionano in modo sostanziale le strategie di pianificazione e trasformazione dei luoghi su ampia scala.

Digitalizzazione, sicurezza, flessibilità e adattabilità: questi i quattro cardini attorno a cui agire per mettere nelle condizioni ogni singolo cittadino di «ri-familiarizzare» con il mondo dello sport, dello spettacolo e del tempo libero, in un ambiente moderno, sicuro e confortevole. Stadi, quindi, e infrastrutture per lo sport come luoghi integrati nel contesto di riferimento, da leggersi quali elementi che connettono il continuum urbano e divengono espressione tangibile di un’intenzione architettonica, di un articolato setting funzionale e di una specifica spazialità, valorizzando, attraverso la loro presenza sul territorio e la loro riconoscibilità fisica e funzionale, il senso di appartenenza e d’identità di una determinata comunità: impianti concepiti come veri e propri «pezzi di città», perfettamente integrati nel tessuto urbano, paradigma del costruire contemporaneo.

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