Le om­bre so­no ne­ces­sa­rie quan­to la lu­ce

Editoriale archi 3/2015

«Gli occhi sono fatti per vedere le forme nella luce.» (Le Corbusier, 1928)

Data di pubblicazione
28-07-2015
Revision
31-08-2015

Henry Moore definiva la Pietà Rondanini di Michelangelo come la più commovente tra le sculture di ogni tempo. L’ultima opera di Buonarroti, scolpita, modificata, abbandonata, poi ripresa e non finita per la scomparsa dello scultore, ha rappresentato, fino ad aprile di quest’anno, il gran finale del percorso museale dei Musei Civici al Castello Sforzesco di Milano.

Sistemati dallo studio BBPR nel 1956, i Musei Civici sono uno degli esempi più insigni della museografia del dopoguerra, per la colta raffinatezza delle soluzioni spaziali e dei dettagli dell’allestimento, ancora oggi considerati un esempio magistrale, insieme al Museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa e al Tesoro di San Lorenzo di Franco Albini a Genova.

Il lungo percorso attraverso la scultura medioevale e rinascimentale si concludeva nella sala degli Scarioni, il cui spazio, scalinato per collegare la quota sopraelevata del museo a quella dell’uscita, ospitava la Pietà, protetta da un paramento curvo di blocchi di pietra serena e illuminata da uno dei grandi finestroni gotici del Castello.

Gli autori del progetto museale avevano capito che l’effetto drammatico era determinato dalla luce, che invadeva il manufatto lateralmente, esaltando le sue forme bianche, rispetto al grigio intenso del muro lapideo retrostante, e formando le ombre necessarie a percepire ogni dettaglio del modellato. Il visitatore, dopo una prima sosta sulla seduta collocata davanti all’opera, compiva immancabilmente un lento giro intorno alla Pietà per scoprire le altre viste, i lati abbozzati e non finiti, per cercare dove era generata una potenza espressiva così intensa. Chi ha visto i Prigioni, ospitati alla Galleria dell’Accademia di Firenze, che tentano di liberarsi dai blocchi di marmo riconoscibili come tali, può capire come in questo caso Michelangelo avesse intenzionalmente scelto la vista frontale per la percezione dell’opera, mentre nel caso della Pietà Rondanini il non finito era l’effetto della complessa e sofferta vicenda della sua concezione ed esecuzione, interrotta dalla morte dell’autore. Il non finito della Pietà andava scoperto dietro alla luce, con la lentezza e il raccoglimento necessari. E l’illuminazione artificiale, attivata alla sera, era direzionata e diretta, pensata per integrare e sostituire quella naturale, con le medesime caratteristiche della luce introdotta dal finestrone.

Il mirabile allestimento progettato dai BBPR ha cominciato ad essere criticato negli anni ’90, perché lo spazio non consentiva l’accesso a visitatori molto numerosi – se non dopo lunghe code – nonché ai disabili – per via delle scale che attorniavano il suo spazio. Alla fine degli anni ‘90 fu bandito un concorso per il progetto della sua ricollocazione, vinto da Alvaro Siza. Poi, dopo lunghi anni di silenzio, è stata l’Expo e la previsione della moltitudine di turisti a riportare di attualità la ricollocazione della Pietà, che dall’inizio di maggio si può visitare, nel nuovo allestimento progettato da Michele De Lucchi. Il nuovo sito, a poca distanza dai Musei Civici, è la sala dell’ex Ospedale Spagnolo, un edificio seicentesco addossato alle mura del Castello e originariamente destinato al ricovero dei soldati spagnoli appestati. Al posto della Pietà, nell’allestimento dei BBPR verrà collocata un’altra delle preziose sculture dei Musei Civici.

All’ex Ospedale Spagnolo, la scultura è stata posata al centro della grande sala voltata. I visitatori in fila entrano dal lato corto e vedono subito la scultura illuminata, collocata in modo da mostrare loro le spalle. La fila procede girando intorno alla Pietà, sosta alla vista frontale, e ritorna al lato dell’ingresso. Il pavimento della sala, dotato di un complesso marchingegno antisismico, è di doghe di legno. L’illuminazione a LED di ultima generazione impedisce l’abbagliamento ed è morbidamente uniforme, su tutti lati dell’opera.

Un grande successo di pubblico e di critica ha accolto il nuovo allestimento, salvo poche voci critiche, alle quali vogliamo aggiungere la nostra. Consapevoli delle democratiche esigenze dell’utenza di massa delle opere d’arte più eccellenti, ci è sembrato tuttavia sbagliato liquidare completamente i concetti spaziali che avevano informato il progetto dei BBPR. Nella nuova collocazione, la Pietà galleggia senza riferimento in mezzo a uno spazio troppo grande, allestito con un’eleganza che ci sembra estranea alla sua ruvida tragicità. Il percorso della lenta scoperta è annullato, tutto è esposto subito, a cominciare dal lato posteriore non finito. Ma il problema centrale è la luce, la sua uniformità riduce le ombre al minimo, appiattisce le tensioni espressive, arrotonda l’effetto drammatico. Lo spettacolo per tutti prevale sull’intensità della percezione. Ci chiediamo: non è possibile trovare il modo di coniugare le esigenze dell’utenza di massa con la appropriatezza culturale della fruizione delle opere d’arte?

Le ombre sono necessarie quanto la luce, come le pause nella musica, come i vuoti nell’architettura.

Le ricerche sulla tecnologia della luce artificiale e sulle sue applicazioni spaziali, delle quali in Archi 3/2015 documentiamo qualche esempio, sono molto avanzate e ci mettono a disposizione strumenti tecnici ed espressivi un tempo impensabili. Dobbiamo impadronircene e aggiornare la nostra cultura progettuale per controllarne gli effetti e dominarne gli esiti.

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