L'Au­di­to­rio Ste­lio Mo­lo di Lu­ga­no

Un esagono dell'acustica perfetta

Data di pubblicazione
09-04-2018
Revision
18-04-2018
Nicola Navone
Vicedirettore dell’Archivio del Moderno e docente all’Accademia di architettura di Mendrisio, Università della Svizzera italiana

Lo Studio della RSI
Una cittadella per la cultura ticinese

La genesi del progetto per lo Studio della Radio della Svizzera italiana a Lugano-Besso prende avvio il 9 settembre 1951, quando la CORSI (Cooperativa per la Radiodiffusione nella Svizzera italiana) assegnò il mandato ad Alberto Camenzind, Augusto Jäggli e Rino Tami.1

Riuniti per ragioni politiche piuttosto che per propria volontà,2 i tre professionisti faticarono, all’inizio, a trovare un’intesa: e se appare comprensibile la scelta di elaborare individualmente i primi «progetti di massima» (due per ciascun architetto, presentati il 3 febbraio 1953 insieme a una relazione tecnica comune: una strategia volta a individuare i vantaggi di ciascuna variante per combinarli in una nuova configurazione, e al tempo stesso una sorta di concorso interno ai tre progettisti), è pure evidente come la prima proposta firmata collettivamente, datata 31 luglio 1953,3 rispecchi, nella sua composizione paratattica, la non agevole collaborazione in seno all’inedito consorzio. 

Risulta dunque decisivo, ai fini della riuscita dell’opera, il repentino mutamento di direzione che si registra nella tarda estate del 1954, quando l’impianto nel frattempo consolidatosi viene accantonato in favore di uno schema planimetrico fondato sul principio della «cellula esagonale» (come la definirà l’allora direttore della RSI, Stelio Molo, che fu il principale interlocutore degli architetti). Una scelta coraggiosa, ascrivibile a Rino Tami e innescata dalle critiche mosse al progetto del 31 luglio 1953 e alla successiva rielaborazione del 2 luglio 1954 dai servizi tecnici della RSI e dall’ingegnere acustico Willi Furrer, responsabile della Forschungs- und Versuchsanstalt delle Poste federali (PTT). 

La serie di «schemi planimetrici» presentati dagli architetti il 9 e il 29 settembre, e infine il 27 ottobre 1954,4 costituiscono un esempio di convergenza tra l’insorgere di accidenti esterni (le critiche dei tecnici) e la dinamica interna alla riflessione progettuale, vale a dire la necessità di trovare una «regola» compositiva che permettesse di conciliare le istanze talvolta discordanti dei tre architetti, oggettivando almeno in parte il procedimento progettuale e al tempo stesso garantendo «una maggiore fluidità e naturalezza dei percorsi e dei collegamenti, una più ampia possibilità di adattamento delle scatole murarie che definiscono gli studi in relazione alle esigenze acustiche; […] una più spontanea e vivace fluidità spaziale […], nonché una disposizione più concentrata del pubblico attorno al palco della grande sala».5  

E così, nel giro di poche settimane, il progetto assume l’impianto definitivo: l’ampio e articolato programma, incardinato attorno a otto studi di registrazione, due dei quali aperti al pubblico (la sala da concerti per 450 spettatori e uno studio destinato alla musica leggera), viene suddiviso fra un corpo allungato, situato a ponente, dove sono collocati gli archivi, i servizi, gli impianti tecnici e gli uffici, e la sequenza degli studi e delle regie, impostata su un ordito esagonale e innervata da una trama di percorsi diagonali che mira a differenziare le circolazioni: gli artisti verso levante, i tecnici e gli altri collaboratori sul lato opposto, nel corridoio che disimpegna gli uffici e le regie. Questo partito compositivo consentì agli architetti di frammentare e articolare in profondità l’imponente volumetria, conferendo all’edificio un carattere civico, che ne manifesta la destinazione pubblica (trattandosi, negli intendimenti della committenza, di una vera e propria cittadella della cultura ticinese), e al contempo, in alcuni suoi brani (come la corte-giardino), quasi domestico. 

Malgrado alcuni infelici interventi di rimaneggiamento, non ascrivibili agli autori del progetto, lo Studio della RSI a Lugano-Besso rimane una delle maggiori opere di architettura realizzate in Svizzera e in Europa tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo: un patrimonio comune, oggi soggetto a tutela cantonale, di cui è bene avere cura.

 

Luogo: Lugano Besso, via Guglielmo Canevascini 3
Committenza: Cooperativa per la Radiodiffusione nella Svizzera italiana 
Architettura: Alberto Camenzind, Augusto Jaeggli, Rino Tami 
Fotografia: Marcelo Villada Ortiz
Date progetto: 1951-1958, realizzazione: 1958-1962

 

Note

  1. Cfr. N. Navone, L’aristocratico empirismo di Rino Tami. Lo Studio della Radio della Svizzera Italiana di Camenzind, Jäggli e Tami, in K. Frampton e R. Bergossi (a cura di), Rino Tami. Opera completa, Mendrisio 2008, pp. 115-135 e N. Navone, Nuovi studi della Radio e della Televisione della Svizzera Italiana, ivi, pp. 294-301 (con bibliografia precedente).
  2. Secondo una prassi instaurata dalla politica consociativista praticata in Ticino negli anni Venti, che avrebbe poi conosciuto ampia applicazione. Fu merito del direttore della RSI, Stelio Molo, se la scelta poté cadere sui tre maggiori architetti attivi nel Cantone all’inizio degli anni Cinquanta.
  3. Cfr. Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, Fondo Augusto Jäggli, AAT 002.083.042, 045, 046, 047, 048, 049.
  4. Archivio RSI, raccoglitore «Nuovo Studio ARSI 2», «Nuovo Studio R.S.I. schema distributivo 39”, 29 settembre 1954 e «Nuovo Studio R.S.I. schema distributivo 40», 27 ottobre 1954.
  5. Carloni (a cura di), Rino Tami. 50 anni di architettura, Lugano 1984, p. 96.
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