La vi­ta del­la di­ga

Serie: I 20 anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, la «Lectio» al Politecnico di Milano di Giovanni Lombardi in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in ingegneria civile, 2 marzo 2004; dal no. 2/2004. «Partendo da ingannevoli preconcetti ideologici, si crea di fatto un falso dilemma i cui termini sarebbero: “o la diga o l’ambiente naturale”, mentre i termini veri dell’alternativa sono “o la diga o un’opera che la possa sostituire” in modo da soddisfare gli stessi bisogni».

Data di pubblicazione
17-09-2018
Revision
07-03-2019

Prologo

Si dice che un potente Re dell’Antica Persia avesse incaricato i saggi del reame di studiare la vita dei suoi sudditi affinché potesse meglio capirli e regnare in modo esemplare. La commissione dei saggi si mise al lavoro, produsse numerosi studi, ma non riusciva a concludere. Il Re sentendosi invecchiare insisteva continuamente, ma senza esito. Dopo lunghi anni di vane attese convocò il presidente della commissione e lo implorò di concludere. «Sire» rispose questi «i vostri sudditi nascono, vivono, lavorano, soffrono, invecchiano e muoiono». A quel momento il vecchio monarca, felice di conoscere finalmente l’essenza della vita del suo popolo, spirò.

Rispettoso del limite di tempo concessomi, dovrò parlarvi della diga in termini altrettanto essenziali e riduttivi quanto quelli usati dal saggio presidente. Formulo tuttavia l’augurio che dopo aver ascoltato questa breve presentazione, abbiate moltissimi anni da vivere felici e prosperi.

La diga cosa è?

La prima domanda è a sapere cosa sia una diga. Possiamo dire che si tratta di un’opera d’ingegneria civile destinata a sbarrare una valle e a modificare - unitamente ad altri interventi - il deflusso naturale dell’acqua. Se l’opera è considerata precipuamente d’ingegneria civile, numerosi sono nondimeno gli specialisti che oggi contribuiscono alla sua realizzazione: dal geologo all’ambientalista, dall’ingegnere meccanico al chimico e al biologo, dal geotecnico algeofisico, dal geodeta all’instrumentalista, dall’idrologo all’economista, dall’informatico all’ingegnere in elettronica e a molti altri ancora.

La storia della diga s’intreccia continuamente e strettamente con la vita delle popolazioni e con la storia dell’umanità stessa. Di fatto, le più antiche tracce della costruzione di opere di questa natura si troverebbero sull’isola di Giava e risalirebbero a 5’500 anni fa; ovvero all’età del bronzo. Ogni epoca ha fatto uso in ogni regione di materiali e tecniche specifici, allo scopo di soddisfare i propri bisogni. Si possono osservare tendenze parallele o invece divergenti che finiscono però convergendo per effetto delle ferree leggi della natura. Ma su questo argomento non dirò oltre.

La diga nasce

Come tante altre opere, la diga nasce dall’incontro di un’idea con un bisogno (fig. 1 [Per le immagini e le didascalie cfr. il documento PDF scaricabile in basso]). Il desiderio richiede o il bisogno impone una modifica della gestione delle acque a favore della popolazione o di parte di essa. Col passare del tempo, il bisogno diventa impellente e l’idea si trasforma in progetto, passando da numerosi stadi intermedi. Sorvolerò quest’evoluzione che per numerose ragioni diventa purtroppo sempre più complessa e richiede sempre maggior impegno e tempo.

La tavola 1 indica la natura delle richieste formulate che spaziano dall’acqua potabile alla produzione di energia, e dalla navigazione alla protezione dalle piene. Spesso vari bisogni vengono soddisfatti per mezzo di un progetto comune (vedere file pdf).

Dal punto di vista fisico la costruzione della diga persegue l’uno di due scopi: ovvero la creazione di uno specchio d’acqua mantenuto costante oppure la regolazione delle portate, ossia l’accumulazione idrica che impone invece un livello d’invaso variabile (tav. 2).

Occorre segnalare che se nelle nostre regioni alpine la produzione di energia idroelettrica è generalmente il movente primo, ciò non vale per moltissime regioni del globo, dove bisogni differenti prevalgono, in particolare quello della messa a disposizione di acqua potabile o irrigua.

Quale diga

Come risulta dalla tavola 3 esistono dighe in materiali sciolti, muratura, calcestruzzo, armato o meno, a gravità o ad arco e recentemente anche opere in calcestruzzo compattato con rullo (si rimanda al file pdf).

Principali tipi di dighe:

Di materiali sciolti

  • «terra»
  • scogliera

Di muratura o di calcestruzzo vibrato - a gravità massiccia

  • alleggerite
  • ad arco
  • a volte multiple

Di calcestruzzo rullato - a gravità

  • a volta spessa

La figura 2 mostra l’imponente diga di El Chocón in Argentina, composta da parecchie zone di materiali sciolti di diversa natura adeguatamente addensati. All’altro estremo, nel senso della massima economia di calcestruzzo, possiamo ammirare la diga ad arco di Zimapan in Messico (fig. 3) o quella a volte multiple detta «barrage Daniel Johnson» in Canada (fig. 4). Si tratta di una tra le più importanti opere in calcestruzzo al mondo. Deve il suo nome al primo ministro del Québec che mori per infarto mentre pronunciava il discorso di inaugurazione; evento questo fortunatamente alquanto eccezionale.

La figura 5 rappresenta la diga di Urugua-I in Argentina, realizzata in calcestruzzo rullato. Abbiamo a che fare con una tecnica nuova, intermedia tra quella dei materiali sciolti tradizionalmente compattati e quella del calcestruzzo vibrato di tipo classico. L’aspetto estetico non è sempre particolarmente attraente, quello economico invece lo è assai.

La messa in opera del calcestruzzo risulta dalla seguente figura 6. A titolo di confronto si può osservare la messa in opera del calcestruzzo pervibrato secondo una tecnica ormai classica (fig. 7). Si nota immediatamente la differenza tra un lavoro meccanizzato e l’altro che lo è assai meno.

Qualunque sia la tecnica utilizzata, la costruzione di una grande diga rimane un’avventura che richiede intuizione, sensibilità, esperienza, moltissime conoscenze oltre ad un enorme impegno. Inutile aggiungere che in questo campo un controllo effettivo della qualità ha preceduto di molto e in modo più efficace quello assai formale entrato in uso di recente in altri campi.

La diga vive

La diga vive e lavora giorno e notte per servirci assolvendo i compiti a lei affidati, i quali possono tuttavia variare nel corso dei decenni. Per questa ragione c’è chi ha chiamato le grandi dighe «piramidi utili», e ciò s’intende bene se si considera l’enorme volume di lavoro e l’ingente investimento che ognuna di esse richiede, a compenso dei servizi resi. Tuttavia, anche in questo campo ci sono eccezioni; come quelle opere realizzate talvolta per il prestigio di una persona o di un regime senza eccessive preoccupazioni razionali.

La diga soffre

Come ogni essere vivente la diga può soffrire. Una particolarità è che le visite mediche avvengono sempre a domicilio, anche se essa risiede parecchio fuori mano. Ogni opera che si rispetti è permanentemente controllata per mezzo di un sistema strumentale che permette un monitoraggio completo e continuo del suo comportamento e dunque del suo stato di salute. L’anamnesi così ottenuta permette la diagnosi dell’eventuale patologia e pertanto la definizione della terapia consigliabile.

L’esperienza dimostra l’esistenza di problemi di salute assai diversi che richiedono interventi a volte alquanto speciali. La diga ad arco di Koelnbrein in Austria soffriva di un difetto che possiamo dire congenito che ha richiesto la costruzione di un importante massiccio di appoggio al piede di valle (fig. 8).

Non sempre però il punto debole risiede nella diga stessa, ma bensì nella sua fondazione e la figura 9 ci mostra i lavori di risanamento dell’appoggio roccioso della diga di Montsalvens in Svizzera. Sempre più frequente sembra diventare purtroppo una patologia di tipo «cancerogeno» dovuta a reazioni chimiche tra gli alcali del cemento e gli inerti utilizzati. Essa si traduce in un rigonfiamento della massa del calcestruzzo con effetti collaterali assai perniciosi. Interventi chirurgici possono essere richiesti come per la diga di Mactaquac in Canada (fig. 10) dove vengono eseguiti e ripetuti anno dopo anno tagli verticali realizzati con l’ausilio di un filo diamantato allo scopo di allentare lo stato di coazione, ovvero gli sforzi interni, generati dal predetto rigonfiamento.

Ci sono poi gli incidenti di cui la diga è vittima. Quella di Ferden in Svizzera fu investita da una grossa valanga. Un intervento incisivo si è imposto a riparazione dell’opera (fig. 11).

Nel caso della diga di Zeuzier pure in Svizzera (fig. 12), lo scavo di un cunicolo esplorativo in vista della costruzione di una galleria stradale ha causato un notevole assestamento della zona di fondazione oltre al restringimento della valle. Ne sono risultate le importanti fessure indicate nella figura. Il trattamento ha richiesto l’iniezione di circa 100.000 kg di resine epossidiche.

La frana del Monte Toc ha colpito il bacino del Vajont causando l’immane catastrofe a tutti ben nota in quanto il 40° del triste evento è stato recentemente ricordato. Questo evento ha procurato tuttavia solo danni minori all’opera che ha egregiamente resistito all’enorme impatto mostrando grosse riserve di resistenza. Ricordiamo infine gli eventi bellici come quelli che hanno colpito le dighe della Ruhr, bombardate e distrutte durante l’ultima guerra mondiale, oppure l’attentato rimasto fortunatamente senza grosse conseguenze alla diga di Peruca in Serbia pochi anni or sono.

La diga invecchia

La durata di vita della diga è di regola assai lunga. Si dice che quella detta della Regina di Saba nello Yemen abbia vissuto 2000 anni circa, per poi cedere ad una piena eccezionale. Lo sbarramento di Proserpina costruito dai Romani a Merida in Spagna svolge tuttora egregiamente il suo compito (fig. 13).

Ma anche le dighe invecchiano e possono in certe condizioni non presentare più sicurezza sufficiente. Interventi di risanamento sono allora necessari come per la diga della Maigrauge in Svizzera. Con i suoi 130 anni di età quest’opera presenta particolarità interessanti, in quanto mostra una qualità calcestruzzo tuttora assai soddisfacente, mentre la struttura stessa non corrispondeva più alle esigenze delle attuali normative (fig. 14). L’opera è degna di menzione anche per il fatto che l’energia prodotta dalla centrale e destinata ad una zona artigianale veniva inizialmente trasportata per via meccanica. A quell’epoca il trasporto della potenza delle turbine sotto forma di elettricità non era fattibile.

Numerose sono al mondo le dighe che richiedono, come questa, interventi anche gravosi da realizzare durante i prossimi decenni nell’intento di compensare gli acciacchi dell’età.

La diga muore

Sebbene viva a lungo, la diga finisce anche lei per morire. V'è dapprima il caso di morte che potremmo chiamare naturale quando, come per il laghetto sul Ticinetto, la diga viene eliminata con tutte le precauzioni volute (fig. 15). A volte invece essa finisce annegata in un nuovo bacino di accumulazione, sia per ragioni tecniche sia per ragioni economiche, nel senso che permette con il suo sacrificio un migliore e più razionale sfruttamento delle risorse idriche disponibili. In altre circostanze verrà realizzato un modesto rialzo della quota d’invaso, ad esempio trasformando uno sfioratore fisso per attrezzarlo con paratoie automatiche, come per la diga di Pueblo Viejo in Guatemala (fig. 16).

La cessazione di attività si produce talvolta quando la sedimentazione di materiali solidi nel bacino sarà tale da rendere impossibile l’accumulazione d’acqua inizialmente prevista. Infine potrà anche essere necessaria una completa trasformazione o ricostruzione dell’opera.

Purtroppo, la morte della diga può aver luogo, seppur raramente, in modo violento. Dobbiamo perciò tener conto del rischio di rottura dell’opera con conseguenze catastrofiche.

Menzionerò solo i casi di Bouzey, Gleno e Malpas- set di cui non starò a ricordare le tragiche conseguenze. In ognuno di questi terribili eventi la diga ha emesso un serio messaggio che, dopo l’inevitabile autopsia, è stato recepito dagli ingegneri come insegnamento fondamentale.

La diga in muratura di Bouzey in Francia, crollata nel 1895, ha indotto l’ingegner Lévy a fissare regole che mettevano in relazione la pressione interstiziale dell’acqua con le tensioni di compressione presenti nella muratura. Il disastro del Gleno, anche lui recentemente ricordato, avvenuto il 1° dicembre del 1923, ha attirato l’attenzione sul rischio di slittamento dell’opera sulla fondazione (fig. 17).

Il crollo del 2 dicembre 1959 della diga ad arco sottile di Malpasset, nel Sud della Francia, ha messo in evidenza la necessità di approfondite indagini sulla resistenza del massiccio di fondazione e ha dato un serio impulso agli studi di meccanica delle rocce in relazione alla stabilità degli appoggi (fig. 18). Il disastro del Vajont ha insegnato che le indagini geognostiche non possono limitarsi strettamente all’opera, ma devono estendersi a tutta la zona interessata dal bacino di accumulazione. Così come in molti altri campi dell’attività umana, quasi ogni incidente o disastro ha condotto a un miglioramento della tecnica.

La diga disturba

Malgrado la sua indiscussa utilità, la diga a volte disturba.

Impatto ambientale

La costruzione della diga può avere un impatto ambientale diretto più ampio ed incisivo di quanto possa risultare dalle semplici precedenti indicazioni. La tavola 4 ne elenca le principali forme. Menzionerò i deflussi a valle della diga che possono risultare ridotti se lo scopo dello sbarramento è quello di derivare acqua verso altre destinazioni per il tramite sia di gallerie sia di canali (vedere tavola 4 nel file pdf).

Tavola 4 - Impatto ambientale della diga

  • deflussi a valle
  • falde freatiche
  • fauna ittica
  • vegetazione acquatica - fattori patogeni
  • micro-clima
  • inquinamento

Detti deflussi possono al contrario risultare notevolmente regolarizzati e migliorati se una delle funzioni della diga è invece quella di proteggere le zone sottostanti da piene straordinarie e di assicurare all’alveo portate minime anche durante i periodi di siccità. Si può pure notare un indubbio influsso sulla fauna ittica tanto nel bacino a monte quanto nell’alveo a valle, con un impatto sfavorevole in certi casi, ma anche con conseguenze assai positive in altri. Nelle zone tropicali la creazione di un bacino può condurre alla proliferazione di vegetali acquatici con conseguenze spesso sfavorevoli legate a problemi di inquinamento d’altra origine. Nello stesso modo possono svilupparsi agenti patogeni perniciosi. La presenza di elementi minerali nell’ambito del bacino di accumulazione ha portato, in condizioni del tutto particolari ed eccezionali, a un inquinamento delle acque, ad esempio con metalli pesanti.

Un bacino di accumulazione importante può infine influenzare il micro-clima della regione.

È ovvio che le diverse forme di impatto saranno più o meno incisive, con effetti positivi o negativi, a seconda di numerose circostanze, tra le quali si possono menzionare il clima, la geologia, l’idrologia e la presenza di popolazioni. In molti casi, misure atte ad attenuare un impatto ritenuto troppo gravoso possono essere prese, come ad esempio la creazione di ascensori per i pesci.

Impatto sociale

Oltre agli impatti di tipo materiale appena menzionati, vi sono incidenze assai più sottili e delicate: quelle di natura sociale. Nella tavola 5 vengono menzionate le più importanti. Mi sono astenuto dall’elencare l’impatto politico in quanto esula chiaramente dal mio campo di competenza.

Tavola 5 - Impatto sociale della diga

  • espropriazione del territorio
  • spostamento di popolazioni
  • condizioni di vita
  • economia
  • storia e archeologia
  • psicologia

L’espropriazione di terreni ed edifici e lo spostamento di persone possono creare un trauma psichico, anche se il trasloco forzato è accompagnato da un netto miglioramento delle condizioni di vita, come: abitazioni più confortevoli, nuove strade o servizi potenziati. La perdita di oggetti di importanza storica o culturale e il loro eventuale salvataggio assumono talvolta grande importanza. Basti pensare ai templi di Abu Simbel salvati dalle acque del bacino di Assuan sul Nilo.

La diga nasce per soddisfare precisi bisogni della società. Difficoltà possono sorgere dal fatto che sono certe regioni, magari situate a distanza, ad approfittare dei benefici, mentre gli inconvenienti incombono sulla popolazione locale. Al contrario, in diverse valli alpine, la creazione di poli industriali intesi a sfruttare l’energia idroelettrica ha portato finalmente non pochi vantaggi ai vallerani, anche se dette zone industriali non sono sempre esempi di perfetto inserimento nell’ambiente e nel paesaggio, almeno secondo i criteri oggi in auge. L’impatto psicologico in relazione alla costruzione della diga può comportare ulteriori sfaccettature. V’è a volte una perdita della memoria storica del luogo o del paese sommerso, accompagnata dal rimpianto dei tempi passati. La modifica del paesaggio può anch’essa creare problemi, e non per ultimo può sussistere presso la popolazione il timore di un possibile evento catastrofico. Non v’è dunque dubbio che la diga possa disturbare! A volte invece crea un elemento interessante del paesaggio, fino a diventare un’attrazione per i visitatori (fig. 19). Anzi, ci si può anche innamorare della diga.

Commento finale

A conclusione rammento che la storia della diga s’intreccia intensamente con la storia dell’umanità e ciò da oltre 5 millenni. Sembrerebbe però che la diga disturbi oggi maggiormente che non in passato. Errori commessi da committenti, progettisti e costruttori - in particolare negli ultimi decenni di un’espansione forse troppo rapida - possono aver contribuito a generare una certa opposizione. Opposizione che viene però spesso strumentalizzata sulla base di una ponderazione tendenziosa dei vantaggi e degli inconvenienti connessi all’opera; inconvenienti che altro non sono che il prezzo da pagare quale contropartita dei grandi vantaggi e servizi offerti.

La campagna anti-dighe oggi in atto è particolarmente virulenta in alcuni paesi in fase di sviluppo; paesi che delle dighe avrebbero maggiormente bisogno! Partendo da ingannevoli preconcetti ideologici, si crea di fatto un falso dilemma i cui termini sarebbero: «o la diga o l’ambiente naturale», mentre i termini veri dell’alternativa sono «o la diga o un’opera che la possa sostituire» in modo da soddisfare gli stessi bisogni.

Se si vuole produrre energia, l’opera di sostituzione potrebbe essere una centrale termica. Rimane però da dimostrare che l’inquinamento atmosferico prodotto da quest’ultima sia preferibile agli inconvenienti più locali ma più direttamente percepibili legati alla diga. Quando si tratta invece della gestione delle acque ad altri scopi non esiste opera di sostituzione.

È certo che l’importanza e il valore dell’acqua sono destinati a crescere nel mondo e che i problemi dovuti alla limitata sua disponibilità andranno aggravandosi in varie regioni e saranno purtroppo fonte di conflitti. Ricordiamoci tra l’altro che ancora un miliardo di persone su questa terra non dispongono di acqua potabile e che in molti casi nuove dighe, anche se di dimensioni modeste, potrebbero contribuire a mitigare questo terribile problema.

L’anno dell’acqua si è appena concluso. Speriamo che si apra un decennio di nuove dighe destinate a risolvere gravi e urgenti problemi in modo ecologicamente più accettabile che non interventi di altro tipo.

Prendiamo esempio dal lungimirante Re dell’ Antica Persia che, 3000 anni or sono, fece costruire numerose dighe, senza aspettare il referto richiesto alla commissione dei saggi. Ne formulo il vivo augurio!

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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