Il ruo­lo del co­lo­re nel­la co­stru­zio­ne

Il colore è connaturato con l’architettura. Non può esistere prodotto di quest’arte privo di colore. Il motivo è semplice. Poiché l’uomo percepisce il suo intorno sinesteticamente, fra i cinque sensi di cui è dotato vi è la vista, che insieme al suono è un tele-senso (che non necessita del contatto fisico per attivarsi). I due sono i primi ad attivarsi nella percezione dell’intorno.

Data di pubblicazione
30-04-2014
Revision
19-10-2015
Pietro Zennaro
Professore associato settore scientifico-disciplinare IUAV/Tecnologia dell’architettura

Colore dell’architettura

Vedere, per l’uomo, significa discriminare e interpretare un contesto ambientale attraverso colori, forme e movimento. Pertanto ogni architettura, avendo poco a che fare con il suono, aspetto fortemente secondario nel progetto di architettura, non può che essere colorata. 

Il mondo del progetto di architettura non si è mai stabilizzato e contiene in sé la necessità della mutazione, dell’adattamento continuo, pur non disdegnando un certo grado di resilienza. Evidentemente si tratta di un mestiere dotato di regole e di variabili spesso indefinibili. Ciò può essere colto analizzando il contenuto e la quantità di trattati, manuali, scritti che hanno cercato di fissare aspetti ritenuti degni di nota dai rispettivi autori. In analogia vi è la presenza di innumerevoli trattati, manuali, ricettari, scritti sul colore. Anche questi si perdono nella storia ed iniziano ad apparire per opera dei primi filosofi. Ogni autore riporta il pensiero del suo tempo, fissandone i principi ritenuti essenziali per il periodo storico. È indubbio che ogni opera filosofica, d’arte o architettonica è tale solo se rappresenta il proprio tempo. Chi ci ha preceduti ha tentato di cogliere lo «spirito del proprio tempo», l’hegeliano Zeitgeist, e di trasferirlo nelle opere, prima attraverso il pensiero, il progetto, e poi nella realizzazione. 

Per poter individuare l’attuale Zeitgeist da trasferire nel progetto è utile dotarsi di alcuni filtri interpretativi, pena il disorientamento e il depistaggio. In società come le attuali, dove l’informazione è sovrabbondante e fuorviante (spesso il fine ultimo di se stessa), il wayfinding non è sicuramente facile, pur sapendo che nel mestiere del progettista nulla è agevole. Uno dei modi di districarsi è quello di scegliere adeguati filtri. Un filtro privilegiato, soprattutto in questa epoca, risulta essere appunto il colore. «Il nostro ambiente è saturo di colori che, di giorno e di notte, negli spazi pubblici e in quelli privati, stridendo o sussurrando, esigono la nostra attenzione. (…) Noi siamo letteralmente immersi in colori carichi di significato, e veniamo programmati con i colori. Essi costituiscono un aspetto del mondo codificato in cui dobbiamo vivere» (V. Flusser, p. 3).1 

Viviamo immersi in luoghi che fanno largo uso del colore per inviare messaggi. A sua volta l’architettura ha necessità di comunicare in quanto opera d’arte e non può evitare di rapportarsi con il colore. D’altronde in natura questo aspetto è necessario: l’assenza di colore ci priverebbe di una dimensione discriminante di grande efficacia. Va da sé che «certi mestieri richiedono una sottile distinzione dei colori e un lessico altrettanto raffinato, mentre altri non ne richiedono alcuno» (R. Arnheim, p. 269).2 Chissà se il progetto contemporaneo di architettura opta per una capacità di selezione cromatica grossolana, oppure se si addentra in territori più ricercati?

Ogni ragionamento intorno al ruolo del colore in architettura può comportare approcci diversi. Nella storia questo tema ha avuto fasi alterne, ma non ha mai smesso di essere presente, anche quando si pensava di subordinarlo in favore della luce, e quindi dei colori acromatici (la scala dei grigi con le terminazioni bianca e nera). Per i nostri occhi-cervello-mente colore e luce sono tutt’uno. Non si dovrebbe mai dimenticare che in architettura il colore è sempre stato un aspetto culturale, significante, mai gratuito. Se un certo Newton e i suoi successori ci hanno dimostrato che il colore è dovuto a un fenomeno elettromagnetico ondulatorio o corpuscolare poco interessa a chi opera nell’ambito del pensiero e dell’arte, se non in termini esclusivamente strumentali.

Funzione del colore

La radice latina da cui proviene la parola colorare è coprire, nascondere, celare, mascherare, occultare. Dovremmo quindi intendere l’atto di applicazione di un colore su un substrato come azione di rivestimento. Ovviamente il senso di questa operazione e i significati possono essere molteplici.

Approfondire il ruolo del colore nella produzione di architettura contribuisce a capire meglio quali indicazioni possono essere di una certa utilità per il progettista. Molteplici sono le classificazioni possibili e quindi le risposte alla domanda che un ideatore si pone nell’approccio a questo tema. La risposta più semplice riguarda gli aspetti funzionali. Il colore, nel senso di coloritura, può svolgere una funzione protettiva. Protegge gli strati superficiali del supporto su cui si va a depositare. In linea con il Donghi (D. Donghi, p. 299):3 «La tinteggiatura e la coloritura dei muri dei fabbricati ha per iscopo tanto la conservazione di essi quanto il miglioramento del loro aspetto». Alla funzione puramente protettiva, quindi, è sempre connaturata una funzione estetico-percettiva.

Si può intenderlo come confinamento di ciò che è sgradevole, ma anche tutela di qualcosa di altissimo valore, sia materiale che metafisico. Saper comunicare la preziosità di qualcosa non è mai stato semplice. Infatti, il colore serve ad impreziosire, camuffare, far sparire l’oggetto rivestito così come, se usato senza criterio, rendere volgare. Operare in termini cromatici sugli edifici è divenuto un mestiere specialistico, che esula dai gusti personali, prassi che ancora è praticata in buona parte dei manufatti. La scelta del colore in architettura è capace di nascondere e nello stesso tempo privilegiare il contenuto, così come può essere non-estetico, anti-estetico ed estetico. Ovviamente dipende dal messaggio che il progettista, o il suo committente, desidera trasmettere e dal tipo di «pelle» che hanno usato. 

Oggi il ruolo del colore nelle architetture non sembra essere proprio marginale, derivato dalle economie di fine lavoro, quando tutto l’edificio è stato realizzato e al termine si decide, secondo i vari gusti dei soggetti coinvolti nelle decisioni, quale tinta dare alle pareti dell’opera. Pur resistendo ancora questa prassi si è pian piano giunti a capire che è meglio che se ne occupi qualcuno dotato di qualche competenza in materia. Difatti la figura del colour consultant sta prendendo sempre più piede. 

Già nel 1901 l’architetto tedesco Fritz Schumacher sosteneva che la «economia estetica globale di un edificio dovrebbe concentrarsi sin dall’inizio sul colore». Approccio senz’altro interessante, ma di rado praticato anche in progetti che fanno grande uso di pareti colorate. Il colore delle superfici delle architetture dipende da alcune scelte: se si desidera manifestare il colore intrinseco del materiale da costruzione, oppure se si intende rivestirlo mediante uno strato pittorico, oppure se vi è necessità di effettuare una particolare lavorazione superficiale per ottenere un certo effetto, oppure se si desidera che sia la luce illuminante lo strato visibile a risaltare il limine. 

È noto che ogni edificio è rilevato attraverso le sue superfici. Esse riportano di una geometria, che è «lo strumento col quale noi delimitiamo, tagliamo, precisiamo, formiamo lo spazio» (L. Quaroni, p. 146).4 La geometria, così come la dimensione, la struttura superficiale e la posizione nello spazio, condizionano il colore che si percepisce. Un’architettura connotata da superfici lisce, persino a specchio, sono rilevate cromaticamente in maniera diversa rispetto a una con la superficie ondulata, diamantata, sbozzata ecc. Si pensi alle pareti bugnate del palazzo dei Diamanti di Ferrara (Fig. 2). Se la pietra che ne caratterizza la parete esterna fosse stata perfettamente liscia non sarebbe più quel manufatto architettonico. Anche il colore delle ruvide pareti blu del Forum de la Cultura di Barcellona (Fig. 1) degli architetti Herzog & de Meuron è un originale esempio di espressività parietale.

Tra gli architetti contemporanei la coppia anglo-tedesca Sauerbruch Hutton esemplifica un approccio al colore che parte dalla concezione iniziale. Ogni loro edificio si basa su una sorta di idea cromatica pixelata, multicolore, dove le pareti sono trattate per ottenere un risultato complessivo leggibile a distanza (Fig. 3). Altri architetti adottano composizioni cromatiche sempre originali e mai ripetute come fa Will Alsop (Fig. 4) o preconfezionate e spesso ripetute, al di là dei materiali impiegati. È il caso ad esempio del rosso mattone in alcuni interventi di Renzo Piano, ma anche la predilezione per il rosso e bianco di Dominique Coulon, o della listratura bicroma di Mario Botta (Fig. 5). 

L’uso del colore ha un rapporto diretto con l’espressività, con il messaggio che il progettista intende trasmettere tramite la sua opera. Si ritorna quindi al discorso che il colore possiede fondamentalmente una funzione culturale, di rappresentazione della contemporaneità, in accordo e a completamento degli altri strumenti in dotazione di ogni serio progettista. 

Il colore, però, è anche complice di operazioni speculative supportato dalle vernici recentemente immesse sul mercato, dalle forti saturazioni e dai colori sgargianti, a similitudine di ciò che avviene sugli schermi televisivi, dei wearable, portable, smart phones/tablets, computers e su ogni schermo interconnesso. Insomma, il mondo ipertecnologico nel quale viviamo chiede espressamente all’architettura di adeguarsi/adattarsi alle nuove configurazioni elettroniche. 

L’architettura, che dovrebbe essere in grado di controllare la qualità di ciò che progetta e realizza sembra essersi lasciata sedurre, grazie all’eccesso di specialismo necessario al controllo dei materiali, delle tecnologie e soprattutto delle superfici, sopraffatta da richieste che spesso non le appartengono, ma che vedono spesso il colore come interfaccia decisiva tra lo statuto disciplinare e i nuovi modi di vita dei soggetti che la frequentano.

Classificare, organizzare, interpretare

Una classificazione cromatica non manca mai quando si deve operare cromaticamente. Si sa che vi sono stati moltissimi tentativi di mettere a punto sistemi cromatici capaci di descrivere il fenomeno, oppure organizzarlo nello spazio o ancora renderlo utile agli operatori (Munsell, CIE, RAL, NCS ecc.). La loro definizione non sembra ancora terminata. A un sistema cromatico ne subentra sempre un altro che parte da presupposti o con finalità quasi mai convergenti con gli altri, seppure in qualche modo intercambiabili. Tono, luminosità e saturazione o croma (Hue, Lightness, Saturation) sono i dati di partenza che riescono in qualche modo a mettere d’accordo molti studiosi nel distinguere un colore da un altro e la tentazione scientifica di rinchiudere all’interno di una gabbia numerica il fenomeno è molto forte.

Ma v’è da dire che nel momento in cui vi è necessità di soggettivizzare o interpretare il colore l’operazione diventa fortemente difficoltosa. Vi è un’elevata probabilità che uno stesso colore sia percepito in maniera diversa da soggetti diversi. Inoltre, la sensazione che ogni colore produce in colui che lo guarda è ancora più aleatoria, nel senso che si possono ottenere varie sensazioni pur di fronte a medesime combinazioni cromatiche. Difatti, se analizziamo il colore degli edifici distribuiti fra il bacino del Mediterraneo e il mare del Nord scopriamo che c’è un graduale passaggio di predilezione per colori chiari, spesso acromatici nei paesi caldi, per saturarsi quanto più si sale verso paesi dove l’intensità luminosa è più bassa. Qui la popolazione fa largo uso del colore. Il nord espone all’esterno il colore, mentre il sud lo introietta, forse perché abbellire l’esterno implica un investimento economico.

Se fosse vera questa constatazione si avrebbe un sistema di lettura semplice, ma sicuramente errato. Tant’è che in India, dove non si può dire che vi sia poca luce o grande disponibilità economica, o nei paesi dell’America latina, le costruzioni sono coloratissime. Quindi, vi è una grande probabilità che il colore, perlomeno in architettura, nell’arte, nell’abbigliamento e in qualche altro settore, dipenda fortemente dalla cultura dei luoghi, indipendentemente dalle condizioni climatiche. Queste sicuramente influiscono sul carattere e sul comportamento degli abitanti, ma l’uso del colore si è formato lungo un filo conduttore millenario, basato sulla cultura e le tradizioni dei luoghi. Sono dell’opinione che nessuna civiltà contemporanea, riuscirà a cambiare definitivamente questa sorta di DNA cromatico che è inoculato nelle popolazioni. 

Presso gli umani il colore è interpretabile e condiviso. Il colore è un veicolo di messaggi. Andrebbe considerato come un segnale, prodotto dalla natura o dall’artificio, e indirizzato verso qualcuno capace di recepire e interpretare la colorazione. Quando la superficie è colorata, fra l’osservatore e il suo sistema di decrittazione si instaura un processo di causa-effetto che può essere di tipo individuale o condiviso. Ognuno di noi si può creare un proprio codice di lettura dei messaggi cromatici. Questi dipendono dalle propensioni naturali, da fattori ereditari, e dalle esperienze condotte nell’ambiente in cui si è nati e cresciuti. Perché un messaggio sia adeguatamente compreso è necessario che più soggetti siano disposti a condividere il linguaggio. Pertanto l’interpretazione condivisa richiede una lingua comune mentre un’interpretazione individuale può essere solipsistica. Un’interpretazione indotta, invece, proviene da un condizionamento esterno.

Non esiste una reale interpretazione solipsistica, poiché ognuno di noi è il risultato di condizionamenti biologici e ambientali. Si presume che ogni membro delle società a capitalismo maturo abbia ricevuto un’istruzione di base, che appartenga ad un gruppo sociale che condivide e impone ai propri membri certe regole e conoscenze: culturali, sociali, economiche, religiose ecc. Un soggetto di questo tipo è stato istruito per capire e interpretare una serie di messaggi il più possibile univocamente. Il condizionamento imposto da queste società obbliga a leggere i segnali cromatici in un determinato modo (il nero è simbolo del lutto, il vestito bianco della sposa immacolata, il rosso simboleggia l’amore ecc.).

Gli edifici tendono a loro volta a obbedire a determinate usanze, anche cromatiche, identificandosi con la cultura locale. Le casette tirolesi sono decisamente diverse da quelle bianche dei paesini greci o del sud spagnolo. A sua volta ogni gruppo tende all’imitazione, riunendosi attorno a coloro che focalizzano i propri interessi su precisi ambiti ambientali, geografici, sociali, culturali. Ogni localismo distingue questa capacità di lettura e integrazione in ogni territorio specifico.

La contemporaneità

Come viene oggi intesa, la massificazione è un’interpretazione del mondo interconnesso, dove le informazioni sono omologate e rese disponibili nell’intero globo. Dal momento in cui la comunicazione planetaria è divenuta alla portata di tutti, o quasi, si è parallelamente resa necessaria una drastica semplificazione e l’adozione di un linguaggio comune, capace di operare una socializzazione a un livello il più basso possibile. È nata così una strana lingua, fatta di pochissimi vocaboli (globish = global english), che ha consentito comunicazioni di livello basico, essenzialmente pragmatico. In questa nuova lingua sono banditi i pensieri complessi.

Anche il fattore tempo è stato fortemente ridotto a causa della velocità di interconnessione, l’ipertachia rilevabile nei social network. Così la comprensione lascia ampi margini di indeterminatezza. In questo tipo di società, dove il linguaggio è povero e bisogna comunicare velocemente vi è un solo modo di esprimersi: usando essenzialmente immagini. Si sta quindi vivendo in una sorta di nuovo medio evo dove l’uso del colore che compare sugli schermi, sulle pareti degli edifici e su ogni screen è capace di trasmettere emozioni, diventando fondamentale e necessario. 

L’architettura, dovendosi adeguare a queste nuove sfide, ha formalizzato nuove tipologie finalizzate a trasmettere immagini sulle sue pareti. Sono nati così i media building, la media architettura, l’urban screen, la kinetic architecture, i video wall e così via. Pertanto il colore ha assunto sempre più il ruolo di interfaccia fra il pensiero progettuale e la comunità che percepisce i segnali delle pareti esterne degli edifici. In un certo senso è tornata a dare maggiore valore alla comunicazione sociale piuttosto che a quella privata. Le pareti delle architetture, quindi, sono diventate sempre più tecnologiche, dovendo trasmettere il senso di una società che è in bilico fra tecnologie di punta, smart, che sfruttano fenomeni elettrici, termici, luminosi, meccanici (pareti elettrocromiche, foto cromiche, termo cromiche, dinamiche), e la necessità del rispetto per l’ambiente mediante la realizzazione di pareti verdi, in legno, in terra cruda, da materiali di riciclo, rivestite di pannelli fotovoltaici e così via, secondo il paradigma green. In ogni caso il colore è sempre testimone delle varie fazioni che si fronteggiano a suon di soluzioni tecnologiche. 

Tutto ciò sta comportando la nascita di nuove figure di progettisti. L’architettura, trascinata in questa sfida della contemporaneità, sembra aver scelto la strada dell’inusuale, dell’eccezione fine a se stessa. Per una volta ancora il colore, che riduce la fatica della lettura, propone nuovi paesaggi, servendosi anche del lighting, che viaggia in sintonia con il messaggio più condiviso e comprensibile a livello planetario.

Il colore, di conseguenza, torna ad assumere il suo ruolo determinante il cui messaggio permane immutato, seppure declinato in diversi modi. Non vi può essere architettura senza colore. 

Die Rolle von Farbe beim Bau
Es gibt keine Architektur ohne Farbe. Diese historische Gewissheit hat in der heutigen Gesellschaft eine enorme Bedeutung gewonnen. Wir leben in einer Welt, in der die Farbe für viele Branchen eine strategische Rolle spielt. Wie können sich Fachleute vor diesem Hintergrund auf der Suche nach der besten Lösung im Dschungel der Farben zurechtfinden? Genauso wie Architekturprojekte immer komplexer werden und Leistungen unterschiedlichster Experten erfordern, so ist auch die Farbe ein Instrument, das nicht mehr ohne Vorbereitung nur nach dem persönlichen Geschmack ausgewählt werden darf. Zu viele Wechselwirkungen hängen davon ab. Früher war die Farbe eine Schutzschicht an der Gebäudegrenze oder ein ästhetischer Faktor, heute hingegen bildet sie eine Schnittstelle zwischen Planer, Nutzer und Gesellschaft. Da die Architektur ein Kunstwerk ist, das seine eigene Zeit widerspiegeln soll, kann sie nicht auf die Auseinandersetzung mit dem technologischen Fortschritt der flächendeckenden globalen Kommunikation verzichten, bei dem farbige Bildschirme eine wichtige Rolle spielen. Dank den von Lack- und Farbherstellern auf den Markt gebrachten Produkten sind Gebäude heute farbenfroh gestaltet. Parallel dazu sind neue Ansätze zum Umgang mit Aussenwänden entstanden, die die Bauarten der Medienarchitektur, der urbanen Projektionsfläche, der kinetischen Architektur, der Videowand usw. formell umsetzen. Es vollzieht sich also ein Übergang von der Farbe sichtbarer, mehr oder weniger traditioneller Materialien, die dann mit Farbschichten verkleidet werden, hin zu Wänden, die sich durch elektrische und mechanische Signale oder Lichtsignale usw. verändern. Die früher eher statische Farbe ist nun zu einem dynamischen, instabilen, veränderbaren, sich entwickelnden Element geworden, das dem Geist unserer Zeit entspricht. 

Note

  1. Vilém Flusser, La cultura dei media, Mondadori, Milano 2004.
  2. Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano ed. 1984.
  3. Daniele Donghi, Manuale dell’architetto, vol. I, parte II, cap. IV,Lavori da decoratore e da tappezziere, Utet Torino 1925, p. 299.
  4. Ludovico Quaroni, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Mazzotta, Milano 1977.
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