Il me­stie­re che cam­bia

Serie: I 20 anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, l'articolo di Paolo Fumagalli dal no. 1/1998. «...ma questo ruolo che l'architetto assume comporta anche una responsabilità pubblica e culturale verso la società».

Data di pubblicazione
28-05-2018
Revision
07-03-2019

L'indipendenza dell'architetto

L'architettura si è sempre fondata su di un triangolo, ai cui vertici sono tre attori: il committente, l'architetto, il costruttore. In altre parole: il promotore, l'ideatore, l'esecutore. Ognuno con un ruolo preciso e identificabile. Ed è su questo concetto, sulla base dei rapporti e delle responsabilità esistenti tra i vertici di questo triangolo che l'architetto ha organizzato e codificato la propria professione, ha elaborato le proprie strategie di lavoro, i propri obiettivi progettuali, le proprie normative professionali. Non solo, ma per difenderne e per promuoverne le singole specificità sono nate le associazioni professionali, che in Svizzera sono essenzialmente tre: la SIA, che si preoccupa soprattutto dei problemi deontologici e normativi; la FSAI, che si preoccupa soprattutto dei problemi legati alla professione; la FAS, che si preoccupa essenzialmente dei problemi legati alla qualità e alla cultura architettonica. E dove, è importante sottolinearlo, i confini tra le specificità delle tre associazioni e dei loro tre ambiti di attività sono labili e talvolta si fondono: per garantire la qualità (compito della FAS) sono necessarie adeguate normative (compito della SIA) e un'ottimale organizzazione della professione (compito della FSAI).

La base comune che queste tre associazioni si sono date è comunque chiara e precisa: l'architetto è indipendente economicamente e moralmente, egli difende la qualità e la correttezza della costruzione, è il garante della perfetta esecuzione negli interessi del committente. Egli quindi, per assicurare tali obiettivi, dirige, segue ed è responsabile di ogni tappa del processo costruttivo, da quella ideativa a quella esecutiva, compreso il controllo economico dei costi di costruzione. Non solo, ma questo ruolo che l'architetto assume comporta anche una responsabilità pubblica e culturale verso la società, perché dal risultato del suo lavoro dipende la qualità dello spazio in cui l'uomo vive e lavora. Un dovere morale: di difesa dell'etica, della responsabilità e dell'impegno sociale che il suo lavoro comporta.

Una nuova organizzazione del lavoro

Le profonde trasformazioni oggi in atto nel mondo della costruzione stanno tuttavia mettendo in crisi questa chiara struttura, e in particolare rimettono in discussione le competenze e i rapporti tra i tre attori che formano quel triangolo di cui si parlava prima, tra committente, architetto ed esecutore. Trasformazioni dettate soprattutto dalla permeabilità sempre maggiore dei mercati tra paese e paese, da quell'apertura economica, sociale e culturale che va oltre le frontiere politiche e coinvolge tutta l'Europa: che la Svizzera politicamente ne faccia parte o meno non ha tanta importanza. Ma perché questo triangolo è in crisi?

Le ragioni sono diverse, ma fondamentalmente (e forse un po' semplicemente) esse si possono ascrivere alla progressiva e radicale trasformazione in atto nell'organizzazione economica del mondo del lavoro, e in particolare della costruzione. Dove progressivamente i confini e la netta distinzione di ruoli, di competenze e di responsabilità vanno affievolendosi tra i tre attori: tra chi commette, chi progetta (e controlla), e chi esegue. Primo esempio, l'avvento delle Imprese generali. Dove innanzitutto una sola ditta è responsabile dell'intero processo esecutivo ed è l'unico interlocutore dell'architetto. Prima - e grave - conseguenza è che l'architetto perde il contatto diretto con colui che manualmente esegue il lavoro, con l'artigiano: ciò che significa non solo non partecipare alla sua scelta, non solo non poterne controllare l'operato, ma soprattutto significa non poter stabilire quel fondamentale colloquio diretto che è alla base dello scambio di esperienze e di sapere costruttivo. L'architetto perde inoltre il coordinamento e la responsabilità dell'organizzazione del cantiere, nonché il controllo della gestione economica del processo esecutivo. Dove quindi l'assioma "costi + esecuzione qualità" non è più sotto la sua responsabilità e la sua verifica. L'unico suo ruolo è quello di fornire le informazioni di dettaglio sui modi esecutivi (i disegni) e di verificare e controllare la loro esecuzione. Inalterati, per contro, rimangono i rapporti tra committente e architetto. Secondo esempio: l'Impresa totale. Dove l'Impresa non è solo l'unica interlocutrice per quanto concerne l'esecuzione, non è l'unica responsabile per quanto concerne i costi di costruzione, ma è addirittura essa stessa responsabile della progettazione dell'opera.

Un solo attore svolge i due ruoli chiave del processo del costruire, è sia progettista sia esecutore: una situazione dove l'architetto rischia di restare isolato, chiuso in un contesto in cui finalità progettuali e interessi economici si confondono, e in cui ha evidenti difficoltà nel trovare una corretta collocazione. Corretta soprattutto nel garantire quell'etica, quel ruolo, quella responsabilità che la sua professione gli impone. Diventa insomma difficile risolvere il dilemma posto da quel "deve fare gli interessi del committente" sancito nelle normative deontologiche: quali interessi, se progettista ed esecutore sono la stessa persona?

La perdita della responsabilità totale

In entrambi i casi l'architetto non svolge più quel ruolo professionale che si riteneva fosse necessario per assicurare il raggiungimento degli obiettivi professionali e morali che la sua professione comporta: dirigere, seguire ed essere responsabile di ogni tappa del processo costruttivo, da quella ideativa a quella esecutiva. A fronte di queste trasformazioni, di cui i due esempi riportati, anche se maggiori, non sono gli unici, l'architetto e le associazioni professionali sembrano reagire in due modi diametralmente opposti: o quale opposizione contro le eventuali trasformazioni all'interno della professione che il nuovo assetto del mercato sembra prospettare, e di conferma quindi dei propri antichi principi, oppure di apertura, accompagnata dalla ricerca di un nuovo profilo e un nuovo ruolo e responsabilità dell'architetto. Per i primi, insomma, a fronte della riorganizzazione dell'industria della costruzione deve essere ribadito il ruolo centrale dell'architetto, con la difesa ad oltranza delle attuali specificità professionali, che si ritengono essere le uniche atte a garantire i valori etici e morali della professione e a costituire la premessa per la buona qualità del prodotto. Una prerogativa, questa della qualità, che è ritenuta specifica della Svizzera, qualificante la sua storia, e che deve essere difesa ad oltranza.

Una qualità che può essere garantita solo se l'architetto conserva la propria indipendenza e il controllo di ogni fase del processo produttivo. L'azione dell'architetto deve essere dunque di resistenza contro quelle forze economiche e finanziarie che minacciano con i loro interessi la qualità dell'architettura. Per i secondi il nuovo assetto del mercato edile è innanzitutto un fatto ineluttabile, e in secondo luogo non è necessariamente una tragedia. Essi constatano: primo, che in altre nazioni da anni il mercato è già organizzato in questo modo da tempo, in Europa, negli Stati Uniti; che la qualità non è una prerogativa solo della Svizzera, ma è presente anche in quei paesi dove il mercato è organizzato diversamente; terzo, che anche da noi, da anni, malgrado l'assetto normativo e ogni possibile controllo, una grossa fetta del mercato edilizio sfugge al controllo e alla responsabilità dell'architetto. Meglio quindi seguire le trasformazioni in divenire del mondo del lavoro, senza però subirle passivamente: capirle, interpretarle, e organizzarle in modo tale che all'architetto sia garantito un proprio ruolo preciso e moralmente indipendente. E per far sì che anche l'Impresa generale, o totale, possa divenire il partner - e non l'antagonista - dell'architetto, così come ieri lo era l'artigiano.

Il dibattito sull'indipendenza

l dibattito scatenato da questi due modi di valutare le trasformazioni in atto si è poi coagulato attorno ad un termine preciso: quello dell'indipendenza dell'architetto. Indipendenza da difendere ad ogni costo, in quanto ritenuta la premessa fondamentale perché l'architetto possa svolgere con serietà e competenza il proprio compito: indipendenza e obiettività nel valutare e determinare gli imperativi funzionali; indipendenza nell'ideare e determinare i rapporti tra l'oggetto progettato e il suo contesto urbano; indipendenza nel decidere l'impostazione e la "filosofia" che regge il progetto; indipendenza dagli imperativi economici e dagli interessi finanziari in gioco; indipendenza finanziaria e morale rispetto a chi realizza l'opera architettonica. Per poter essere garanti dell'onestà e della qualità del lavoro. In realtà su questo concetto di indipendenza si è molto equivocato. Perché mai nella storia dell'architettura, nemmeno in quella scritta con la A maiuscola, l'architetto è o è stato indipendente.

Anzi, è proprio nella sua "dipendenza", e nel modo in cui è capace di svolgerla, che risiedono le qualità del suo operato. L'architetto è dipendente dal contesto sociale in cui lavora, deve anzi essere sensibile e attento alle sue richieste ed esigenze, se vuole che la sua architettura sia coerente con l'impegno che si è assunto verso la comunità. Il contesto sociale in cui egli opera, la società con la sua storia, la sua cultura, le sue necessità deve essere capita e ascoltata, interpretata per offrire un "prodotto" che sia funzionale agli interessi della collettività. L'architetto è dipendente dal luogo in cui opera, deve saperlo interpretare nelle sue diverse angolature, siano esse gli imperativi urbani o quelli contestuali, deve far propria la storia di quel luogo se vuole che la sua architettura si inserisca in modo corretto nel luogo prescelto. L'architetto è dipendente dal committente, dalla sua volontà e disponibilità, dalla sua cultura: premessa fondamentale per la qualità dell'architettura. Sia esso il committente privato, il committente pubblico o il committente-imprenditore. Non solo, ma dipende anche dagli obiettivi economici che tale committente si prefigge: sicuramente vuole guadagnare (come tutti), importante è che non voglia anche speculare. L'architetto è dipendente dai mezzi economici disponibili e dagli obiettivi finanziari del committente: essi detteranno e condizioneranno le sue scelte architettoniche, da quelle squisitamente formali e volumetriche a quelle sulle scelte dei materiali costruttivi. L'architetto è dipendente anche dai modi costruttivi e dalla tecnologia, che dettano strutture e forme in funzione della cultura edile esistente.

Modi costruttivi che riguardano non solo i materiali che in quel luogo sono disponibili e che gli artigiani sanno adoperare, ma anche gli imperativi di fisica della costruzione. Se nel secolo scorso l'avvento di nuovi materiali come il calcestruzzo armato o l'acciaio hanno provocato (oltre al divaricamento professionale tra architetto e ingegnere) una rivoluzione anche formale dell'architettura, oggi l'imperativo di risparmio energetico, a cui l'architetto deve essere attento (dal quale quindi dipende), ha comportato nuovi modi di costruire e nuove forme architettoniche.

L'architetto è dipendente anche dall'organizzazione del mondo del lavoro, che ha spesso regole e sviluppi propri. Una volta l'architetto era confrontato con il lavoro dell'artigiano, e dalla sua più o meno buona abilità dipendeva la qualità dell'architettura. Poi è subentrato il prodotto industriale, il prefabbricato, e l'architetto ha dovuto dipendere dal prodotto disponibile sul mercato, dal suo costo, dai suoi tempi di fornitura, dalla sua reperibilità. Al colloquio con l'artigiano si è sostituito il consultare il catalogo del fornitore. Oggi il mercato del lavoro sta di nuovo cambiando, si sta riorganizzando diversamente: oggi il discorso verte sull'Impresa generale, sull'Impresa totale, su nuove organizzazioni del lavoro a cui l'architetto bene o male deve dipendere, e che sta a lui riuscire a gestire. L'indipendenza dell'architetto è invece da intendersi in altro modo. Nel senso che, al di là dei rapporti e delle condizioni di lavoro, al di là delle "Randbedingungen" che lo circondano, al di là dei compiti che è chiamato a svolgere, egli deve saper salvaguardare la qualità del suo lavoro e del prodotto che ne deriva.

È in questo senso che l'architetto deve essere indipendente: nel senso morale e intellettuale. Così come Michelangelo dipendeva dai voleri e dai capricci dei Medici a Firenze e del Papa a Roma, ma ne era intellettualmente indipendente nel fare l'architettura e nello scolpire il marmo, così l'architetto di oggi deve tutelare e difendere la propria indipendenza morale e intellettuale per garantire la qualità dell'architettura e soddisfare quella responsabilità pubblica e culturale che si è assunto.

Una professione da ristudiare

Il dibattito allora che l'architetto deve affrontare, e con lui le associazioni professionali, diventa un altro e si profila in una nuova luce. Non si tratta di accettare o meno il modo in cui si sta ristrutturando e riorganizzando il mercato della costruzione, perché esso agisce per spinte economiche e di razionalizzazione che l'architetto sicuramente non riesce a controllare né a dirigere, anche perché dettate da obiettivi strategici che non sono solo locali o regionali, ma sovranazionali (e da ascrivere, tra l'altro, ai processi di concentrazione che avvengono anche in altri settori economici). Il compito dell'architetto è un altro: è quello di capire che se il mondo della costruzione cambia, deve anche cambiare il suo modo di lavorare, deve cambiare la sua professione. L'architetto, per difendere il proprio spazio progettuale e le proprie specificità culturali, deve saper stabilire nuove basi su cui poggiare il progetto e inventare nuovi modi nella geometria dei suoi rapporti con il committente e con l'esecutore. È sul proprio lavoro che l'architetto deve riorganizzarsi, nel senso di inventare quegli obiettivi progettuali capaci di correttamente esplicitare verso il committente i concetti dell'architettura, rispettivamente trasmettere all'esecutore i modi della costruzione. Il progetto di architettura deve essere elaborato tenendo conto che l'architetto, oggi, ha a che fare con il committente "astratto" rappresentato da un Consiglio di amministrazione, e ha a che fare con un esecutore altrettanto "astratto" che è l'Impresa generale. Se questo è vero, egli deve allora riorganizzare su altre basi le diverse tappe in cui si divide il progetto, affinché sia difeso il momento dell'invenzione culturale e garantito il momento della sua traduzione nella materia: trovare lo spazio e i tempi per elaborare i concetti architettonici, e per fissare e chiarire, fino all'ultimo "chiodo", i criteri che stanno alla base dell'esecuzione. L'architetto deve anche, diciamolo onestamente, ritrovare un modo più corretto e trasparente per giustificare verso l'esterno il suo lavoro: progetto di massima, progetto definitivo, preventivo, studio di dettagli, piani esecutivi, eccetera, sono fasi di lavoro (previste nelle normative SIA) che appartengono ad un mondo che sta scomparendo.

E dettate soprattutto da motivi di fatturazione dell'onorario.

(da Werk Bauen+Wohnen no. 11/1996)

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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