Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, ot­to­bre 2015

Bravi architetti, anzi bravissimi, ma pessimi pianificatori

La guida: inaspettati temi comuni. E un vuoto assordante.

Data di pubblicazione
10-12-2015
Revision
10-12-2015

Ticino Guide-Architettura e ingegneria-Canton Ticino 2000-2015 ha il pregio non solo di segnalare le migliori architetture degli ultimi 15 anni, ma anche di evidenziare un valore per certi versi inaspettato: dentro le oltre 130 opere pubblicate si infilano temi progettuali tra loro analoghi, una comune tensione verso obiettivi condivisi, poi declinati nei modi che il singolo vuole o sa sviluppare. Ma questa guida è anche impietosa nelle sue pagine rimaste bianche, su quello insomma che non pubblica o giustamente ignora: un vuoto che fa male. Quelle che seguono sono la sintesi delle mie – molto personali – osservazioni: sui temi che emergono sfogliando la guida, e su quei vuoti che nasconde.

Primo tema: le architetture «territoriali»

«Territoriali»: quelle architetture che non solo hanno un valore proprio, ma anche la capacità di dare qualità al territorio circostante, al paesaggio. Alcuni esempi. Da sempre molti colleghi italiani che varcano il confine mi ripetono ammirati che non esiste – al mondo! – un ingresso a una nazione di tale impatto e qualità: sono i ripari fonici dell’autostrada a Chiasso di Mario Botta. Altro che riparo fonico: è architettura, è spazio, è struttura, è luce filtrata dalle parti vetrate, è scorcio verso il paesaggio, è inclusione nel territorio urbano. Opera ahimè mai diventata prototipo per altri analoghi interventi – ma sostituita invece da angoscianti corridoi in quel di Bissone e Melide, che del paesaggio se ne infischiano. Anche il lungo muro e la grande rotatoria a Locarno di Aurelio Galfetti è un intervento «territoriale»: perché il territorio non lo modifica, ma lo crea. È l’asse che conduce dentro città e ne configura la porta, capace anche di qualificare il quartiere a monte, altrimenti perduto.

E poi, e poi occorre omaggiare il lavoro di Flora Ruchat per Alptransit. Ha tutto diretto e controllato, o disegnando lei stessa o lavorando a fianco degli ingegneri o ancora determinando gli esiti dei concorsi: ponti e viadotti e terrapieni e riporti di terra e portali e edifici. Si vada a vedere il viadotto di Camorino, straordinario per il concetto architettonico e strutturale, per la proporzione dei singoli elementi, per l’attenzione agli appoggi e snodi e sostegni, per la cura dell’esecuzione, quasi fosse il mobile di un salotto. Finché morte non l’ha fermata, è riuscita a dare un taglio unitario lungo tutto il tracciato ferroviario dentro un paesaggio che si snoda da Erstfeld a Vezia, e che un giorno le sarà riconosciuto così come oggi si riconosce l’apporto di Tami per l’autostrada in Ticino.

Tema: le architetture «urbane»

«Urbane»: quelle architetture capaci di incidere sul contesto urbano circostante. Come – ancora di Mario Botta – il suo Palazzo Fuoriporta, che più che «fuori porta» costituisce e disegna il luogo di accesso al centro di Mendrisio, perfetto nel costituire il fronte conclusivo alla fragile maglia urbana che ha alle spalle e nell’opporsi allo strazio urbanistico che gli sta di fronte. E poi lo Stabile amministrativo 3 a Bellinzona del mai domo Luigi Snozzi, qui affiancato dai ben più giovani Groisman-Snozzi. Edificio preciso nella sua forma e volumetria, originale nelle soluzioni tipologiche, ma soprattutto sensibile nell’adagiarsi sul terreno con i suoi pilotis: un’ottimistica apertura verso l’altrimenti sciatto divenire dello spazio urbano di via Zorzi, una lezione per chi invece lo spazio lo chiude fino a terra nella successione di banali vetrine di negozi e che verso l’urbano della strada offre solo le piccole finestre di retri e depositi e gabinetti.

Così, anche il controverso Centro Ovale di Elio Ostinelli è un’opera che merita più rispetto: perché costituisce il più bello shopping center realizzato non solo in Ticino ma probabilmente in Svizzera. Forma conclusa ed exploit costruttivo, è capace di disegnare un luogo e dare qualità a un desolante vuoto urbano – tra svincoli e rotatorie.

Tema: l’architettura «della disciplina»

E poi vi è l’architettura, l’oggetto. «Disciplina»: nel senso che dalla guida affiora trasversale ciò che vi è in comune tra gli architetti, e che poi si traduce se non in originalità in qualità: rifuggono dallo Starsystem. Rifuggono dalle esplosioni formali che ovunque invadono le riviste di architettura, non si sognano di andare a imitare i Gehry o i Koolhaas o gli Herzog de Meuron e tanti altri – bravi, per carità, ma costretti dentro un girone infernale che chiede sempre un progetto più clamoroso dal precedente. Sono invece attenti a una certa disciplina, alla logica del processo dall’ideativo, al concreto del costruito, attenti anche a quegli architetti – a quei Maestri – che fanno del controllo formale ed espressivo e costruttivo il tema del loro lavoro. In questo senso si può anche affermare che rimangono fedeli a una certa tradizione storica dell’architettura in Ticino, cui si sono sommate ovvie (e opportune) incidenze contemporanee, ci mancherebbe. E si può anche aggiungere un’ulteriore osservazione: quanto realizzato in Ticino è un’architettura che non è poi molto diversa – pur con le ovvie specificità – da quella realizzata nel resto della Svizzera. Le differenze regionali, che decenni fa erano molto marcate, si sono oggi attenuate, e le architetture a Zurigo o Basilea o Ginevra non sono poi molto diverse da quelle realizzate al sud delle Alpi.

Tema: architettura e ingegneria

E poi questa guida dell’architettura in Ticino dal 2000 al 2015 fa giustizia di chi è troppo dimenticato da tempo: l’ingegnere. Non solo perché pubblica opere – diciamo – specifiche dell’ingegneria, ma anche perché rende evidente quanto l’architettura sia debitrice dell’ingegneria, e viceversa. O se si vuole dei metodi progettuali che le accomunano. In definitiva la definizione «opera d’arte» sarebbe ben più azzeccata rispetto alla discriminante differenza tra «opera architettonica» e «opera d’ingegneria». Vi sono in Ticino architetture e ponti e passerelle dove l’integrazione delle rispettive competenze ha dato risultati notevoli, come la collaborazione degli ingegneri Pedrazzini con Baserga e Mozzetti nella Palestra doppia di Chiasso, nel risanamento del ponte sul Brenno, nel ponte sulla Melezza (in collaborazione con De Giorgi). Ma anche la qualità architettonica e strutturale del Centro Ovale di Chiasso di Elio Ostinelli non sarebbe stata possibile senza gli ingegneri Lurati e Muttoni, così come l’edificio Ferriera di Livio Vacchini senza lo studio Andreotti, e il ponte stradale sulla Verzasca di Grignoli e Muttoni senza Michele Arnaboldi. E le opere di altri ingegneri meriterebbero attenzione, di Passera e Pedretti, e Balmelli e Filippini, e Pini associati, e Giorgio Masotti e altri ancora.

Non tema: pianificare

Mi spiace terminare queste mie osservazioni in tono negativo. Ma come fare altrimenti: questa guida dell’architettura in Ticino, se è indicativa della qualità progettuale degli architetti ticinesi in questi ultimi quindici anni, è però impietosa per quello che nasconde, che non pubblica. A parte qualche raro esempio – che so, il Campus USI a Lugano o gli interventi nel nucleo di Curzütt o la sistemazione della Foce del Cassarate a Lugano per opera di Sophie Ambroise o altri già citati in precedenza – la guida è zeppa unicamente di edifici singoli. Tutto il resto è introvabile: l’urbano, il territorio, il paesaggio. Non un progetto di quartiere abitativo, di un quartiere industriale, di un quartiere per la vendita (shopping center), non un parco o la creazione di un luogo, nessun intervento urbanistico.

In Ticino, all’urbano inteso come città che si rinnova sembra che nessuno si interessi. Dove sono i temi fondamentali della città, come il quartiere, come l’integrazione di architettura e spazio e relazioni sociali, come le connessioni tra l’abitare e la mobilità, come gli equilibri tra il commerciare e l’abitare e il produrre? Dove sono i progetti? Tutto sembra fluttuare negli interessi privati, ognuno dentro i suoi pezzi di terra e gestiti (si fa per dire) da labili norme. Di tutto questo ovviamente, i primi a essere assenti – o colpevoli, guardate voi – sono i Comuni.

Ma solo i Comuni? Quanti, tra gli oltre 100 architetti che affollano la guida, si occupa di urbanistica? Quasi nessuno. Perché? Perché non interessa? O forse perché non ritengono si possa fare qualcosa di buono con le procedure dei Piani Regolatori? Forse perché temono di essere fagocitati dentro un complesso sistema normativo che pare senza sbocco? Forse perché ritengono che sia un ambito già occupato da «altri» professionisti, che operano con metodi e regole a loro estranee? O forse perché, semplicemente, preferiscono i tempi veloci e più sicuri dell’architettura?

Fatto sta, come mi disse di recente un architetto romando, che il Cantone dove si costruisce peggio in Svizzera è il Ticino. Ad onta della qualità delle 137 opere pubblicate nella guida. Eppure, eppure come ha affermato Lio Galfetti a un dibattito pubblico, non è vero che il territorio, che il paesaggio del Cantone è irrimediabilmente compromesso. I temi non mancano, occorre affrontarli però nel modo dovuto: che sia per costruire dentro le città, che sia per incidere dentro vuoti o errori nell’esistente, che sia per affrontare i nuovi temi che sono alle porte, come la densificazione, l’ancora incompiuta Città Ticino, i quartieri che non ci sono, il verde, la progettazione del territorio. Altrimenti, all’odierno enorme scandalo della distruzione del Pian Povrò a Lugano si aggiungeranno altri Pian Povrò. E altri ancora.

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