Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, mag­gio 2012

12 maggio 2012

Data di pubblicazione
11-02-2013
Revision
19-08-2015

Un «Quaderno» per Paolo Mariotta
Assieme agli architetti Angela Riverso Ortelli e Lorenzo Cotti sto preparando un libro sull’architetto Paolo Mariotta (1905-1972), che si aggiunge ai «Quaderni» pubblicati dalla Fondazione Archivi Architetti Ticinesi, finora dedicati rispettivamente a Giovanni Bernasconi, Franco Ponti, Augusto Jäggli e Oreste Pisenti. L’entità del Fondo Mariotta conservato negli archivi della Fondazione conferma il tanto che questo architetto di Locarno ha progettato e costruito, dapprima le opere degli anni Trenta, soprattutto numerose ville realizzate prevalentemente nel locarnese e alcuni pochi lavori di maggior importanza, in seguito nel dopoguerra edifici per appartamenti e uffici e grandi magazzini e centri commerciali, questi ultimi non solo in Ticino, ma anche in Svizzera a Zurigo, a Lucerna, a Basilea, fino a raggiungere luoghi più lontani come Madrid, Barcellona, Zaragoza, Lisbona, Lima.

Il passato storico
L’architettura di Mariotta rivela in primo luogo l’interesse e l’amore e il piacere per la storia del passato, soprattutto nei suoi aspetti regionalistici, ritenuti depositari di identità, di cultura, di sapere costruttivo e artigianale della gente. È soprattutto nelle ville che colonne e archi delimitano gli ampi porticati, la gronda in alto è sagomata in molteplici volute, le falde dei tetti ricoperte con coppi, mentre intrecci e sagome in ferro battuto caratterizzano balconi e cancelli. Elementi storicistici che appaiono anche in lavori più importanti posti nei centri storici. Per Mariotta riferirsi a stilemi storici costituisce il legame con un passato per lui imprescindibile, sia quando immerge l’architettura domestica della villa nel verde sia quando è posta nei centri storici delle città. Non è oltretutto un’architettura di tipo citazionistico come quella di un Giovanni Muzio, ridotta a volumi puri, asciutta e quasi «metafisica». No, è piuttosto di scrittura quasi vernacolare, di simpatia per il nostrano. Furono proprio questi suoi edifici a renderlo da un lato famoso - soprattutto con la clientela d’Oltregottardo – d’altro lato a rendere sospetti i suoi colleghi ticinesi, tutti lanciati al contrario verso l’avanzare della modernità. Ma Mariotta, come detto, la storia la conosceva, e la amava. E sapeva ritrarla in magnifiche prospettive e approfondirla, come nel restauro della chiesa di San Nicolao a Giornico (progetto iniziato nel 1942), dove per risolvere l’appoggio delle travi in legno del tetto si recò in Toscana e Umbria per studiare e disegnare le chiese romaniche e gli analoghi dettagli costruttivi e strutturali.

L’attualità del presente
Nel dopoguerra, l’architettura di Mariotta abbraccia le forme, la geometria e i materiali del «moderno», oramai avanzante anche in Ticino. Ma ne riesce ad evitare le trappole e le facili scorciatoie che comporta. Così come in definitiva ha manipolato con intelligenza e mestiere la storia e i suoi elementi tipologici nelle ville degli anni Trenta e Quaranta, così è capace con la stessa intelligenza e mestiere a lavorare con il pilastro (invece della colonna), la trave (invece dell’arco), la maglia strutturale (invece del muro pieno), la vetrata continua (invece della finestra), il tetto piano (invece del tetto a falde), l’alluminio (invece del ferro battuto). E non dimentica di curare – sempre – il dettaglio costruttivo con un sapiente uso del materiale, un piacere che lo porta a schizzare e approfondire il rivestimento in marmo dei pilastri in acciaio o il gradino della scala elicoidale – e quante scale elicoidali ha realizzato! – o il corrimano che accompagna la mano di chi da queste scale sale. Non solo, ma di schizzo in schizzo, di prospettiva in prospettiva, di variante in variante vi è un costante approfondimento ora del volume, ora della facciata, ora della pianta, un lavoro di ricerca della giusta soluzione che emerge sfogliando i molti disegni conservati in archivio. E che costituiscono un’imprevista e felice scoperta.

Contraddizioni e coerenze
Certo, l’architettura di Mariotta è contraddittoria. È conservativa e abbraccia stilemi storicistici, ma prima o dopo o in contemporanea si colloca su un binario di stretta geometria e modernità. Sembra per lui indifferente lavorare con colonna e capitello o con pilastro e trave. Ma se si riesce a superare il primo approccio rivolto al capitello o alle ferratine, quando si spazzano via certi preconcetti e si va oltre e più in profondità, si scopre di opera in opera, di progetto in progetto, come abbia perseguito con coerenza e intelligenza alcuni temi progettuali. Quelli che danno valore alla sua opera. Sono tre in sintesi questi temi: primo, l’approfondimento funzionale e tipologico. Nelle ville ad esempio, spesso disposte in tre parti aggregate, da un lato la zona giorno, dall’altro la zona notte e al centro un portico o un atrio per l’ingresso e di relazione tra gli interni e l’esterno. Un altro esempio è l’edificio amministrativo Ofima a Locarno (progetto del 1965), la sua opera più conosciuta e tra le sue opere migliori, organizzato costruttivamente, funzionalmente e spazialmente in modo impeccabile, dalla pensilina che copre l’ingresso all’atrio d’entrata con la scala elicoidale che sale, posta davanti all’ampia vetrata, fino all’organizzazione dei piani superiori con i corridoi centrali delimitati dagli armadi che conducono ai singoli uffici. Del secondo tema progettuale già si è detto: l’interesse per il materiale costruttivo e il suo dettaglio, ritenuti essere elementi qualificanti l’architettura e di puro piacere per chi questa architettura la abita. Ma non solo rivestimenti o ringhiere o corrimani: cosa dire dell’invenzione del vetro color verde nello stabile Ofima, non solo mirato ad attenuare il riverbero del sole, ma soprattutto elemento formale di grande impatto che qualifica l’architettura di questo edificio.
Infine, il terzo tema è il rapporto dell’edificio con lo spazio esterno, con il territorio circostante, con il paesaggio. Qui risiede a mio parere il maggior valore della sua architettura. Occorre visitare villa Gioia a Ascona (progetto del 1938), posta su alti muri in pietra, e ammirare con quale sapienza è disegnato il giardino e il limite determinato dalle sinuosità del parapetto, a strapiombo sul lago. Oppure ammirare come Mariotta ha sistemato gli spazi esterni dello stabile Ofima, i verdi prati e la loro delimitazione, le alberature, i giochi d’acqua o – immagino con estremo piacere – come ha disegnato le sinuose volute «alla brasiliana» della pavimentazione che conduce all’ingresso.

Il capolavoro
Il capolavoro di Paolo Mariotta è il cimitero di Locarno, concorso vinto nel 1961. È qui che convergono quei tre temi accennati prima. Il lunghissimo e alto muro in pietra posto a monte costituisce l’elemento fondante del progetto, un gesto coraggioso che determina il netto diaframma tra il mondo naturale del bosco soprastante e il mondo delle tombe che sta sotto, e ne definisce lo spazio complessivo. Questa lunga muraglia in sasso è anche il luogo dei loculi, sprofondati nei sottostanti meandri coperti dalla volta e costituisce inoltre la saldatura tra il cimitero primitivo e questo suo ingrandimento. È in questi ampi gesti fatti di lunghi muri in successione e scale e rampe che Mariotta crea lo spazio e ne determina il rapporto con il paesaggio. E all’ingresso pone due edifici di grande qualità, due architetture con murature in pietra sormontate da bianche sottilissime solette, il cui sporto quasi esagerato riporta alla dimensione dell’urbano e alla scala consona di chi a piedi accede al cimitero. Di questi due edifici, uno è di servizio, ma le sue ridotte dimensioni ne accentuano il perfetto equilibrio tra i muri pieni in pietra, il piano orizzontale formato dal tetto e i sottili pilatri in acciaio che lo sostengono. Il secondo edificio è il famedio, posto sull’asse longitudinale del complesso, il cui spazio aperto è determinato dalla cadenza dei bianchi pilastri e illuminato nella sua parte più interna dalla luce che filtra dalla griglia in mattoni. Il cerchio insomma si chiude nei tre temi cari a Mariotta, qui saldati tra loro dentro il silenzio della città dei morti.

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