Dia­rio del­l'ar­chi­tet­to, apri­le 2015

Una città è una città?

Oggi ci confrontiamo con forme abitate mescolate tra loro. Il termine città non corrisponde più ai criteri tradizionali.

Data di pubblicazione
12-05-2015
Revision
08-10-2015

La città storica

Certo, le città sono sorte per motivi diversi. Vuoi perché luoghi di commerci posti all’incrocio di vie di traffico, oppure luoghi di sosta su lunghi percorsi, vuoi per ragioni di difesa o di conquista, oppure ancora per volere di principi o re. Comunque, nel voler definire e descrivere in due parole cosa è una città, si può dire che è un’entità articolata, abitata da un numero importante di persone, avente una propria leggibile morfologia, con una rete di collegamenti al suo interno, con molteplici funzioni e una struttura organizzativa che produce e consuma, che offre occasioni di lavoro, occasioni di incontri e di scambi materiali e immateriali, di attività culturali e di ospitalità, attraversata da persone che la abitano, la condividono, vi lavorano, la visitano, ci vanno e ci escono per commerciare e incontrare, con quartieri e edifici, con uffici e negozi e alberghi e teatri e cinema e biblioteche e musei e scuole e ospedali.

Alcune hanno anche una propria identità e riconoscibilità che le differenziano dalle altre. La città così intesa richiede una dimensione minima per garantire le dinamiche che sottintende e le offerte che promuove. Se è luogo di scambi e di incontri deve poter accogliere il numero di persone adeguato e le relative strutture.

Città reale e città virtuale

Ma se la realtà di una città è quella appena descritta, allora però oggi con la parola «città» si indica più un concetto che una realtà. È quello che fino a pochi mesi capitava in Svizzera, dove la definizione «città» aveva un significato talmente esteso che ogni luogo abitato da un certo numero di persone era definito «città». Per la Svizzera ufficiale fino a fine 2014 i Comuni con più di 10’000 abitanti erano considerati città; se ne contavano 140, cui occorreva aggiungere 100 altri Comuni che non raggiungono tale quota, ma che sono ciò che resta di alcuni luoghi storici medievali che ci si ostina a chiamare ancora città. Per la statistica, fino a fine 2014 se si sommano gli abitanti, i due terzi degli svizzeri abitano in una città. Ma, come si può leggere in un articolo del «Tages-Anzeiger»1: «... nach wie vor wirkt die Schweiz ländlich. Wer sie durchquert, sieht Wälder, Wiesen, Kühe. Es sind Gotthelf-Landschaften, gesprenkelt mit Einfamilienhäusern und Industriehallen. Auch die meisten Bewohner grosser Agglomerationen oder historischer Städtchen würden sich selber niemals als Städter beschreiben.»

Però adesso le cose sono cambiate, e la Confederazione è stata costretta a cambiare i parametri. Già, perchè con le aggregazioni di più Comuni e con le fusioni sono nate delle entità che sfuggono ai criteri finora adottati e che non sono per niente delle città nel significato tradizionale del termine: sono un insieme di luoghi di abitazione e di lavoro estesi nel territorio, nessuno dei quali preso individualmente raggiunge i fatidici 10.000 abitanti, e che sono stati accorpati tra loro per ragioni squisitamente amministrative. Il problema è che queste aggregazioni, queste «nuove città» così formate superano la fatidica soglia di 10.000 abitanti, diventando così dal punto di vista della statistica, delle città, ma molte sono in realtà un insieme di villaggi. Come si può leggere nello stesso articolo del «Tages-Anzeiger», «... Glarus-Süd oder Val-de-Travers (haben) etwa so viel mit einer Stadt gemeinsam wie ein Traktor mit einem Tram».

La città scompare dalle statistiche

Per l’Ufficio federale di statistica, che deve calcolare quante città ci sono in Svizzera, quanti ne sono gli abitanti e quanti si spostano e altro ancora, è un bel grattacapo. Ecco allora – come si può leggere nel comunicato stampa del 18 dicembre 2014 – che viene rielaborata la definizione di città e adottato il concetto di «spazio a carattere urbano». Suddiviso in quattro categorie principali: i nuclei delle agglomerazioni, i Comuni della cintura delle agglomerazioni, il Comune pluri-orientato rivolto a vari nuclei delle agglomerazioni, e Comuni-nucleo, quelli che sono fuori delle agglomerazioni.

«Con la nuova definizione – si può leggere nel comunicato stampa – la separazione tra città e campagna non sarà più rilevata statisticamente. Le cinture delle agglomerazioni e i Comuni pluri-orientati possono infatti essere di carattere rurale pur essendo influenzati dalle città». Insomma, per la statistica la definizione «agglomerato» sostituisce il concetto di «città». La città come tale non esiste più.

Agglomerato, città, villaggio

Dentro un territorio caratterizzato da un’urbanizzazione estesa, dove i limiti tra città e campagna sono saltati, è ovvio che la statistica per contare gli abitanti e capire dove diavolo vivono deve ignorare la città storicamente intesa. Mica va a chiedere se abitano in città o in campagna, quando città tradizionale e campagna tradizionale non esistono più.

Eppure, per chi si occupa di territorio, per chi questo territorio deve progettarlo, le cose non sono così semplici. Se entro nel sito www.lugano.ch sta scritto «Sito ufficiale della città di Lugano», e poi via una lista di 21 quartieri. Sono: quelli in parte storici come Besso, Molino Nuovo, Castagnola-Cassarate, Loreto, Lugano Centro, quelli nuovi e contigui come Breganzona, Pazzallo, Pregassona e Viganello, altri invece lontani e sparsi nel territorio, come Bré, Cadro, Sonvico, Cureggia, Gandria, Villa Luganese, e più oltre ancora Carona da una parte e Val Colla dall’altro. Questi ultimi quartieri sono i Comuni aggregati in questi ultimi anni. La domanda sorge allora spontanea: è una città questa? Sono dei quartieri questi?

Da un punto di vista amministrativo la risposta è semplice ed è affermativa. Sì, perché messe assieme città tradizionale e borghi e villaggi e «campagna con villette» si ottiene (più o meno) contiguità, hanno una certa densità, un centro di riferimento, una rete di trasporti pubblici, sono tra loro economicamente interdipendenti, hanno infrastrutture in comune e godono delle stesse offerte culturali. È la fotografia della realtà odierna: dove città tradizionale e borghi e villaggi e «campagna con villette» vanno a formare una miscela – o una brodaglia, guardate voi – di forme più o meno urbane diverse mescolate tra loro. Ma se da questi criteri squisitamente amministrativi ci spostiamo verso altri criteri – diciamo storici, diciamo tradizionali – quelli relativi al territorio e alla lettura territoriale, allora gli esiti sono ben differenti. Infatti, se teniamo conto e valutiamo le differenti tipologie geografiche che lo compongono, l’assenza di un’unica logica funzionale, la diversità delle caratteristiche morfologiche e organizzative dei singoli territori, le disparate specificità tipologiche e architettoniche delle singole parti, e così via, allora i conti non tornano. E si pone di nuovo la domanda: è questa una città?

Una cosa è certa: il termine città non corrisponde più alla realtà. Siamo confrontati con forme abitate mescolate tra loro. Non solo Lugano, beninteso, anche Zurigo – città per eccellenza in Svizzera – rientra in questa categoria di «città ambigua» se si tiene conto che si dilata dal centro storico del Kreis 1 alla lontana Opfikon. Forse, oggi il termine città è troppo forte, sta troppo stretto. Forse, come scrive il già citato «Tages-Anzeiger», «... für alle die Ortschaften, die dadurch ihr Stadtprädikat einbüssten, könnte man ein neues finden: Storf zum Beispiel».

Quale Piano Regolatore per la «nuova città» ?

Per il politico che deve decidere, per chi deve prendere in mano il Piano Regolatore, per chi deve progettare il territorio è un bel rompicapo. Perché prima ancora di individuare su quali concetti operare, prima ancora di prendere in mano la matita, occorre trovare le risposte a molti interrogativi. Mica facile. Per esempio: il criterio fondamentale è di creare una città fortemente unitaria, con una morfologia non dico coerente, ma almeno organizzata per gerarchie, e con una propria riconoscibile identità? Annullando fatalmente l’identità – spesso molto marcata – dei 21 «quartieri» che la compongono? Dove chi abita a Carona o Sonvico non è più né un caronese né un sonvichese, ma un luganese?

Oppure invece il criterio fondamentale deve basarsi su un concetto opposto, vale a dire quello di ulteriormente sottolineare e qualificare – nel senso di qualità – le specificità e le singolarità e l’identità dei singoli 21 «quartieri», e porre proprio queste differenze alla base della «gerarchizzazione» di quella città che si vuole creare? Dove il caronese rimane l’abitante di Carona (quartiere di Lugano), così come il sonvichese è abitante di Sonvico. E ambedue hanno dei punti di riferimento comunali nel proprio ex-villaggio, così come un certo potere decisionale sul proprio territorio. Una Lugano confederata, in un certo senso.

Per rimanere all’esempio di questa città – ciò che semplifica la comprensione di quanto si sta dicendo –, si devono dare risposte a questi quesiti per sapere quale è la Lugano che si vuole. Solo dopo si potrà scegliere i temi e luoghi nodali su cui intervenire, solo dopo si potrà progettare il territorio. Insomma, organizzare questo territorio significa organizzare una società e la sua identità. Ecco perché senza delle scelte di fondo, senza concetti e idee, prendere in mano la matita o procedere a una revisione dei singoli Piani Regolatori che Lugano ha tra le mani sarebbe assurdo. Non parliamo poi se occorre decidere dove densificare e dove «dezonare» – come la moda urbanistica oggi emergente suggerisce.

Nota
 1 Tages-Anzeiger 8.8.2014

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