Co­strui­re in pie­tra: l’al­tro mo­der­no e il con­tem­po­ra­neo

«La pietra tagliata di fresco è chiara, calda, giallo ocra, con il tempo diventa grigia e dorata. La luce sembra depositarvi i colori del prisma, ricomposti in scala di grigio, impregnati di sole. I blocchi bruti strappati al terreno, calibrati e scalpellati diventano materiali nobili; ogni colpo, ogni frammento, sono testimoni dell’energia e della perseveranza». Fernand Pouillon, 1964.

Data di pubblicazione
01-10-2018
Revision
03-10-2018

Superato definitivamente l’orizzonte storiografico canonico del moderno (dove acciaio, vetro e cemento armato erano le parole d’ordine per essere considerati tali) dai confini troppo stretti per accogliere la varietà e complessità di tante ricerche progettuali frutto dei processi di modernizzazione in atto a livello internazionale, nuove figure emergono nelle iniziative editoriali degli ultimi decenni a dimostrazione della ricchezza di altre esperienze che testimoniano problematiche, dinamiche produttive e strategie linguistiche che l’architettura ha saputo esprimere nei più diversi scenari geografici.

Prendendo spunto dalla definizione di Roland Barthes «le contemporain est l’inactuel», Archi si domanda in questo numero quanto la pietra naturale massiccia sia oggi un materiale contemporaneo. I saggi presentati riflettono sulle difficoltà connaturate ai metodi estrattivi, sulle peculiarità di ogni tipo di roccia, sulle procedure necessarie per arrivare a una soluzione costruttiva pertinente, sulle regole compositive che gli architetti adoperano per rispondere alle esigenze del materiale e a tutte le sue particolari declinazioni nella definizione del rapporto con la forma, sollevando interrogativi su quanto essi si attengano ancora ai principi di «coerenza» e «necessità», all’impiego ragionevole e appropriato dei materiali, raccomandato da Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria.

I progetti illustrati nelle prossime pagine mostrano come la costruzione lapidea possa entrare nei parametri di normalità dell’attuale pratica edilizia: dalla riqualificazione del giacimento naturale con nuove funzioni ricreative o domestiche (Cave di Arzo di Enrico Sassi o Ca’n Terra a Minorca di Ensamble) ai complessi d’abitazione nelle periferie urbane dove la pietra portante sostituisce mattoni e calcestruzzo, materiali più consolidati in questo genere d’interventi (alloggi a Bry-Sur-Marne di Eliet & Lehman), dalle case unifamiliari che indagano l’uso di un elemento arcaico nella trasfigurazione di un manufatto (abitazione ad Ascona di Wespi de Meuron Romeo) ai raffinati padiglioni la cui stereotomia rieccheggia il procedimento proprio dei rilievi archeologici (ingresso agli scavi dell’Artemision a Siracusa di Vincenzo Latina) fino all’uso strutturale – apparentemente paradossale – che ne può fare oggi l’ingegneria (ponte della cascata lungo il Flem di Jurg Conzett e passerella della Spa del lido di Locarno di Moro & Moro). 

Seguendo le orme di Fernand Pouillon (1912-1986) – che fece dei grandi blocchi grezzi di calcare delle cave di Fontvieille un materiale versatile sfruttandone al massimo le sue potenzialità a Marsiglia, Algeri, Parigi o Aix-en-Provence, solo per ricordare alcuni dei luoghi in cui la sua opera ha lasciato notevoli testimonianze dell’architettura del Novecento – Gilles Perraudin, profondo conoscitore dell’edilizia vernacolare e della luce mediterranea, con una competenza ultraventennale nella costruzione con la pierre prétaillée proveniente dalle cave del sud della Francia (materiale che ha modellato la sua stessa concezione della disciplina all’insegna del sobrio e del frugale), continua oggi a dimostrare la capacità della pietra di soddisfare le esigenze del nostro tempo anche nella sua forma massiccia e strutturale.

Le nuove tecniche di estrazione, lavorazione e messa in opera, la rigorosa adozione di un unico modulo ottimizzato in funzione delle misure del blocco iniziale e partendo dal presupposto compositivo della restrizione come principio dettato dalla logica costruttiva del materiale, l’economia e sostenibilità del suo utilizzo grazie all’inerzia termica e al suo ridotto impatto ambientale, la qualità delle superfici grezze che resistono all’intemperie senza bisogno di finiture supplementari, la durabilità come alternativa alla deriva dell’«obsolescenza programmata», la concorrenzialità del suo metodo costruttivo nel mercato edilizio europeo (bassi costi e rapidità di montaggio), rilevano quanto questa risorsa ancestrale – risalente agli albori dell’abitare e ai fondamenti stessi del mestiere – possa costituire nei nostri giorni un elemento innovativo in grado di stimolare il dibattito sulla cultura della costruzione.

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