Con­tra­sti, lu­ci e pe­nom­bre di un «og­get­to per­fet­to»

L’asilo Sant’Elia di Giuseppe Terragni a Como

Riconosciuto capolavoro del razionalismo italiano e paradigma della scuola moderna per la storiografia postbellica, l’asilo Sant’Elia, progettato e costruito da Giuseppe Terragni a Como, tra il 1934 e il 1937, nasce in realtà come prototipo della nuova scuola fascista.

Data di pubblicazione
21-04-2015
Revision
19-10-2015

Come le ricerche dell’ultimo ventennio hanno ormai accertato, la produzione dell’architetto comasco Giuseppe Terragni raggiunge in questa fase, tra il 1934 e il 1937, la sua maturità poetica e risulta in sintonia con le coeve esperienze del modernismo europeo.1 È proprio questo aspetto rassicurante che sarà più volte sottolineato dalla critica successiva, spesso in difficoltà nel catalogare l’opera di Terragni all’interno dei parametri propri dell’ortodossia del «Movimento Moderno».

Terragni aveva già affrontato il tema per la stessa committenza nel 1932 con un progetto di asilo per duecento bambini, in quanto consulente della Congregazione di carità per la manutenzione degli asili di Como. Emerge già in quella proposta di pianta a «L» la volontà di rinnovare una tipologia convenzionale. Proposito che sarà ulteriormente sviluppato nel progetto di asilo presentato all’Esposizione di architettura razionale di Firenze del 1932, dove compaiono chiaramente i connotati della scuola all’aperto – organizzazione funzionale attorno a un cortile, copertura a solarium accessibile tramite una rampa curva, galleria vetrata dell’atrio aperto su un portico per collegare progressivamente l’interno all’esterno – ripresi in modo più calibrato nel successivo progetto di Como.2

Ma occorre anche ricordare che proprio nel 1934 – quando si avvia il travagliato iter progettuale dell’asilo comasco – Terragni faceva parte del CM8, gruppo vincitore del concorso per il piano regolatore di Como che riprendeva e sviluppava la proposta di analisi urbanistica per la città funzionale da lui presentata al IV CIAM di Atene l’anno precedente. Quindi, da questo momento, ogni intervento che egli progetta e costruisce a Como avrà come quadro di riferimento i principi urbanistici da lui auspicati per lo sviluppo razionale della sua città.3

Come in più occasioni è stato osservato, l’adozione di uno schema planimetrico a «C» – sovente utilizzato nell’edilizia scolastica del periodo – risulta completamente svincolato dal perimetro del lotto permettendo una soluzione insediativa inconsueta, libera e articolata. Questa rotazione della volumetria crea spazi ricreativi esterni che interagiscono con la spazialità interna e sono qualificati da «invenzioni figurative» (la pensilina a sbalzo che delimita la corte, la rampa che conduce al terrazzo praticabile, i grandi portali che sostengono le tende bianche per ombreggiare le aule verso est), caratterizzate dalla reinterpretazione del linguaggio razionalista internazionale che ormai Terragni aveva completamente sviscerato studiando attentamente l’opera di Le Corbusier, Mies van der Rohe, Gropius e de Stijl, fino all’acquisizione di un proprio vocabolario verso la metà degli anni Trenta.

L’impianto dell’edificio non sembra dipendere solo dall’asse di orientamento eliotermico – che tuttavia sarà un fattore fondamentale nella disposizione e definizione dello spessore dei corpi di fabbrica – ma piuttosto da una precisa scelta compositiva: la volontà di sottolineare l’isolamento dell’edificio dal contesto per affermare con l’architettura un nuovo ordine, opponendo – come aveva già fatto con la Casa del fascio in piazza dell’Impero, di fronte all’abside del duomo e all’ottocentesco Teatro Sociale – alla realtà quotidiana del quartiere popolare in cui sorge un «oggetto perfetto».4

Le funzioni si dispongono attorno a una corte aperta su un lato: atrio-sala gioco, aule, refettorio stabiliscono un rapporto diretto con l’esterno. Lo stesso Terragni sottolinea come, assecondando le più aggiornate teorie pedagogiche, lo spazio fluisce senza soluzione di continuità tra i diversi ambienti, la configurazione delle aule può essere infatti ridefinita attraverso delle pareti ripiegabili, armadi divisori permettono la continuità visuale mentre la trasparenza delle superfici vetrate che portano aria e luce all’interno dell’edificio consentono lunghi scorci fino al giardino. Le pareti vetrate, le finestre a nastro, la quinta facciata, la struttura indipendente (frequentemente svincolata dalle superfici verticali, arretrate o sporgenti), stilemi corbusieriani diffusi nell’architettura moderna europea, sono adoperati da Terragni in modo personale quasi a definire un catalogo di possibilità.

L’iter progettuale – con lo studio di tre versioni oltre a quella realizzata – sarà lungo e condizionato dalle ristrettezze economiche imposte dalla committenza. Tuttavia, come accade altre volte nel modus operandi dell’architetto comasco, le limitazioni sono per lui stimolanti sfide da superare nella ricerca di risposte innovative. L’impostazione iniziale va continuamente verificata tramite lo smontaggio e rimontaggio degli elementi basilari del progetto in una procedura che, oltre a individuare un preciso sistema di regole, testimonia una complessa impronta sperimentale.

Nel primo stadio di progettazione le funzioni sono affacciate sulla corte, l’ingresso è segnato da una pensilina e si registra lo scarto di altezza tra il corpo delle aule e quello parallelo più alto, contraddistinto dal terrazzo solarium. La richiesta della committenza di aggiungere più aule oltre agli spogliatoi porta alla seconda fase: i servizi vengono spostati sull’ala del refettorio dove viene aggiunta una scala che collega a un soppalco destinato alla sala di riposo dei piccoli mentre la pensilina del cortile – che prima arrivava fino al corpo delle aule – diventa un nuovo tema compositivo e prosegue sul perimetro fino al pergolato del giardino laterale.

Nella versione presentata al Comune nel marzo del 1936, la rampa curva è diventata una semplice scala che dal piano terra permette di raggiungere il terrazzo e sono stati eliminati il corpo di servizi e la pensilina d’accesso. Spostato il portico all’interno del refettorio, la pensilina a sbalzo della corte entra nell’edificio delineando un passaggio aereo fino all’ufficio della direttrice.5

Ancora numerose modifiche si registrano nel corso dei lavori: eliminata la passerella, la scala e il piano intermedio per mancanza di risorse, sopravvive l’intenzione di trattare la facciata principale come un diaframma – che su questo prospetto d’ingresso sostituisce le tende – tramite il tracciato di un lucernario di separazione nella copertura e con un’incastellatura staccata costituita da esili nervature che alludono a un corpo virtuale.

L’uso del vetro e del vetrocemento per i tre tipi di aperture (grandi vetrate, finestre a nastro, sottili aperture verticali), il linoleum per i pavimenti e l’arredamento curato dall’architetto in ogni suo particolare sono solo il proseguimento dell’approccio che Terragni sviluppava contemporaneamente nel cantiere della Casa del fascio.6 Quel «laboratorio» unico nel suo genere per la sperimentazione sui materiali autarchici troverà ulteriori derivazioni nell’asilo Sant’Elia.

Le riviste specializzate del periodo presentano l’asilo come «prototipo della nuova scuola italiana» sottolineando l’innovazione tipologica e funzionale dell’opera.7 Lo stesso Terragni insisterà sull’importanza della standardizzazione di tutti gli elementi dell’arredo – in parte disegnati dall’architetto, in parte prodotti in serie e forniti da ditte specializzate in mobili scolastici – ma sempre concepiti in completa sintonia con la sua concezione architettonica.8

Considerato fin dall’inizio come il progetto più riuscito di Terragni, il racconto storiografico dell’asilo Sant’Elia è stato spesso riduttivo, contenuto nella contrapposizione con la Casa del fascio di Como che era stata aspramente criticata da Pagano su «Casabella» nel 1937 per la sua «tendenza alla retorica delle forme irrequiete». L’asilo sarà invece pubblicato dalla stessa rivista milanese nel giugno del 1940 (quando ormai i difficili rapporti tra Pagano e Terragni erano stati ricuciti) presentando l’opera come caposaldo nella costruzione scolastica dell’Italia fascista: «In questo asilo, entro una disinvolta libertà planimetrica, l’architetto offre la misura della sua plastica fantasia, fondendo con eleganti vicende di luce e di ombre tutta la composizione in un unico ritmo vivo, intimamente legato colla natura circostante, quasi liberato da ogni vincolo statico, assolutamente immune da ogni pigrizia formale o da ogni convenzionalismo architettonico».9 Una lettura in chiave funzionalista, coerente con il carattere sociale della nuova architettura preconizzata da Pagano, e in linea con l’approccio di Sartoris, il quale, pubblicando alcuni brani della relazione di progetto, prima sulle pagine di «Il Vetro» (1939) e poi nel libro Luci sulla scuola moderna (1940), insisteva sull’innovazione tipologica e funzionale dell’edificio.

Come è noto, questa interpretazione «bipolare» dell’opera dell’architetto comasco (Casa del fascio versus asilo infantile) influenzerà le letture critiche del dopoguerra che, rimuovendo le intenzioni ideologiche che lo stesso Terragni aveva voluto imprimere al suo operare, enfatizzeranno la frattura che l’asilo avrebbe prodotto nella sua opera complessiva, selezionando strumentalmente – da Zevi in poi – i significati atti a normalizzare la sua ricerca nei parametri programmatici del «Movimento Moderno».10 Come Ciucci ha osservato, emerge dalla fortuna critica del personaggio tanti Terragni quante testimonianze storiografiche, tanti modi diversi e spesso contraddittori di leggere la sua produzione architettonica. Tuttavia – grazie ai più aggiornati studi specializzati – risulta ormai assodato come, tramite la sua ricerca espressiva e la sua consapevolezza di «architetto militante», egli abbia cercato di interpretare un messaggio politico nel tentativo di dare un’identità architettonica al fascismo.11

Con queste premesse, lo scopo che Archi si prefigge presentando le suggestive immagini del fotografo, filosofo e teologo tedesco Christof Klute, è quello di promuovere la capacità di osservazione e l’esercizio dello sguardo per cogliere la ricchissima stratificazione di significati che un’opera come l’asilo infantile Sant’Elia può generare nell’occhio più avveduto. Non a caso, la sua indagine fotografica sul limite – di forte impronta concettuale – si pone in sintonia con quelle architetture del moderno che, con approcci diversificati e non certo univoci, hanno vagliato la genealogia della forma nel tema del confine, della soglia, della stratificazione e la trasparenza come filtro tra il dentro e il fuori, del vuoto come spazio scavato dalla luce alla ricerca dell’assoluto: «… E non è a dire che pur discorrendo con arido frasario tecnico del vetro noi possiamo del tutto evitare parole, concetti, immagini di sicura origine spirituale: luce, rifrangenza, trasparenza, splendore …».12 Forse è proprio questo il Terragni che Christof Klute cerca nelle sue magnifiche fotografie.

Note

  1. Per tutte le informazioni storiche sull’edificio si rinvia a G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni. Opera completa, Electa, Milano 1996 (con ampia bibliografia). Tra i contributi più recenti, A. Coppa, Giuseppe Terragni, 24 ore cultura, Milano 2013.

  2. Cfr. C. Baglione, Progetto di un asilo per 200 bambini, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni, cit., p. 371.

  3. L’asilo Sant’Elia rientrava nel programma di nuove attrezzature collettive previste dal piano per i quartieri periferici allora in espansione. Sul cm8 e il concorso per il piano regolatore di Como si veda: P. Nicoloso, Progetto di concorso per il piano regolatore di Como e sua esecuzione a stralci, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni, cit., pp. 419-428; C. Rostagno (a cura di), La costruzione della città. Como 1933-1937, Abitare Segesta, Milano 2004.

  4. Cfr. G. Ciucci, Terragni e l’architettura, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni, cit., pp. 19-73.

  5. Per quanto riguarda i particolari del processo progettuale si veda C. Baglione, Asilo infantile Sant’Elia a Como, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni, cit.,, pp. 453-464.

  6. La costruzione della Casa del fascio si avvia nel 1933 e sarà finalmente ultimata nel 1937, cfr. S. Poretti, 1928, Casa del fascio di Como, in G. Ciucci (a cura di), Giuseppe Terragni, cit., pp. 391-407; S. Poretti, La casa del fascio di Como, Carocci, Roma 1998.

  7. L’idea dell’asilo come «prototipo» è sostenuta da Pietro Maria Bardi che nel giugno del 1939 suggerisce a Terragni di inviare a Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale, le fotografie dell’opera. Consiglio accolto immediatamente dall’amico comasco che scriverà al ministro fascista in quanto «vero intenditore di architettura», offrendo la sua «modesta ma volenterosa competenza nel problema dell’edilizia scolastica» e proponendosi come progettista di una nuova scuola modello all’aperto che sarebbe stata costruita nella capitale. Sull’argomento si veda C. Baglione, Asilo infantile Sant’Elia a Como, cit., p. 462.

  8. Alla versione miniaturizzata della sedia «Lariana» e all’adozione della poltrona «Benita» per l’ufficio della direttrice – disegnate ad hoc per la Casa del fascio – si aggiungono la scrivania, gli attaccapanni degli spogliatoi e il pannello per fissare i disegni dei bambini sotto alla finestra a nastro del refettorio. Un pezzo unico sarà inoltre il congegno a carrucola della lavagna che scorre in verticale – permettendo il collegamento spaziale di tutte le aule – dietro un pannello fisso con il ritratto del duce e del re, gioco grafico risultato dell’incastro di due rettangoli, figura basilare nella poetica di Terragni. Ivi, pp. 462-464.

  9. Cfr. red., L’asilo infantile di Como, in «Costruzioni Casabella», 150, 1940, giugno, pp. 8-15, in part. p. 10. Sui difficili rapporti tra Pagano e Terragni si veda G. Ciucci, Casabella e Terragni, in «Casabella», 721, 2004, aprile, pp. 4-13.

  10. Nel 1950 descrivendo l’asilo Bruno Zevi osservava:«La pianta non è più preoccupata di geometrismi, ildominio dell’orizzontale, la varietà funzionale delle superfici …, l’uso accidentale di piani liberi e i giochilineari dell’incastellatura a sbalzo del trasparente avancorpo, tolgono a questa opera la programmaticità della Casa del Fascio …» Cfr. B. Zevi, Storia dell’architettura moderna, Einaudi, Torino 1950, p. 247. La «liberazione figurativa» era vista come superamento della fase precedente, assunta come indizio di «resistenza» alle forme convenzionali del regime e quindi come tacita dimostrazione dell’antifascismo delle forme moderne. Ancora Renato Pedio nel 1968 interpreta l’asilo come «contestazione» rispetto all’»equivoco politico» della Casa del fascio, risolto in una «tensione morale di perfetta autenticità», cfr. Omaggio a Terragni, fascicolo speciale di «L’Architettura, Cronache e storia», 153, luglio 1968, p. 224.

  11. È particolarmente significativo che i riferimenti all’avanguardia architettonica europea assunti dalla storiografia del dopoguerra come segno di «contestazione», siano invece nelle intenzioni dell’architetto comasco testimonianza della modernità del regime, al punto di alimentare la speranza, nel ’36, di fare inaugurare l’edificio dallo stesso duce. Probabilmente, egli non aveva mai smesso di credere nella consegna di Mussolini del ’26: quella che esortava artisti e architetti a creare un «equivalente artistico alla nostra politica d’avanguardia». Sull’argomento si veda G. Ciucci, Terragni e l’architettura, cit., in part. pp. 31 sgg.; C. Baglione, Asilo infantile Sant’Elia a Como, cit., p. 454. Sulla storiografia dell’edificio rimandiamo ai titoli bibliografici precedentemente citati.

  12. Cfr. G. Terragni, Il vetro, bozza di un articolo per il «Giornale d’Italia», 1938, in E. Mantero, Giuseppe Terragni e la città del razionalismo italiano, Dedalo, Bari 1969, p. 152.

 

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