Ar­chi­tet­tu­re tra «sa­cro e pro­fa­no»

Mario Botta al MAXXI di Roma

Dall'8 aprile al 4 settembre 2022 la Galleria Gian Ferrari del museo MAXXI di Roma ospita la mostra monografica della serie «Nature», a cura di Margherita Guccione e Pippo Ciorra, dedicata all'architetto.

Data di pubblicazione
22-06-2022

La galleria espositiva accoglie il visitatore con un gradevole profumo di legno che proviene dai prototipi in pero di alcuni vasi, poi realizzati in bronzo, dai numerosi modelli dei progetti in mostra e dai volumi che occupano lo spazio centrale. Si tratta di due elementi che costruiscono un rapporto dialogico formando un'installazione, entrambi espressamente realizzati per la mostra: da una parte il modello in scala 1:2 dell'abside della cappella di San Giovanni Battista che l'architetto ha costruito a Mogno, Svizzera (1986-1996) e dall'altra uno studiolo, un rifugio cavo con all'interno uno scrittoio e scaffali in cui si possono conservare fino a mille libri, la propria biblioteca intima. Questo diaframma in grado di delimitare uno spazio è pensato per essere collocato all'interno di un loft, per ritagliare un momento di intimità con se stessi e di riflessione, una sorta di preludio al lavoro creativo: Mario Botta lo definisce «un profano domestico». Sulla parete di fondo il grande arazzo «Anatolia», realizzato su disegno di Cleto Munari, costituisce una sorta di scena fissa nei toni dell'azzurro e mette in risalto gli attori in scena, i prototipi e i modelli.

La serie «Nature», di cui questa mostra costituisce il settimo appuntamento, propone ogni volta un autoritratto di un progettista contemporaneo e il tema scelto da Mario Botta è un confronto tra «sacro e profano» che scaturisce da una domanda iniziale: «Come si fa una chiesa dopo Picasso?». In mostra vengono presentati 11 progetti: quattro architetture civili, fra cui il MART di Rovereto e le terme di Baden, e sette edifici sacri, di cui una sinagoga e sei chiese, opere realizzate principalmente in Svizzera e Italia. Nonostante le differenze tra i programmi, le dimensioni e il contesto degli edifici presentati, alcuni temi progettuali permangono costanti e permettono di cogliere una contaminazione che introduce anche negli edifici laici un senso di sacralità – come nella corte di accesso del MART di Rovereto, con l'oculo zenitale che ricorda il Pantheon – e in quelli religiosi una dimensione umanistica, culturale, che connette il volume alla terra e non solo al cielo. Vengono presentati alcuni suggestivi binomi, tra cui luce/ombra, gravità/leggerezza, trasparenza/materia, percorsi/soglie; termini della riflessione che si trasformano poi in temi progettuali.

L'utilizzo di forme geometriche nette, in grado di trasmettere il senso del monumentale anche alla piccola scala di una cappella, caratterizza la poetica dell'architetto ticinese e istituisce un dialogo inatteso con il paesaggio circostante. Costruire – secondo Mario Botta – significa «trasformare una condizione di natura in una condizione di cultura»: attraverso il progetto infatti, le forme organiche della natura si confrontano con la presenza dell'uomo, che modella un paesaggio artificiale intriso di geometria, rigore e razionalità. Un altro tema centrale nei suoi progetti è l'utilizzo della luce naturale e dell'ombra, introdotte negli spazi sacri a volte per rappresentare il contrasto manicheo tra bene e male, come negli interni bicolori di Mogno ed Évry, a volte per trasformarsi in simboli, come per la croce in copertura nella chiesa di San Rocco, in costruzione a Sambuceto, che si proietta sulle pareti perimetrali in maniera sempre diversa, a seconda delle ore e delle stagioni. I dispositivi di illuminazione «a reazione poetica» vengono impiegati anche nelle architetture civili, come gli alti lucernari delle terme di Baden o i profondi tagli trasparenti nel Fiore di Pietra, che inquadrano il paesaggio del Monte Generoso.

Secondo Botta, il progetto espositivo parte da un paradosso, perché un museo non può mettere in mostra l'architettura: al massimo propone i bozzetti, i disegni, le fotografie, i modelli a diverse scale, materiali che offrono dell'edificio sempre una visione parziale. Per tentare di colmare questa lacuna, o forse piuttosto per denunciarla, la mostra è introdotta da un documentario di Francesca Molteni che unisce documenti d'archivio, passeggiate architettoniche, una lunga intervista, oltre a testimonianze di collaboratori come Enzo Cucchi e critici del calibro di Vittorio Sgarbi e Fulvio Irace. Quest'ultimo è anche autore di una lunga intervista a Mario Botta pubblicata nel catalogo, che presenta, oltre ai progetti illustrati in mostra, un ricco reportage fotografico e una collezione di autori e frammenti che costituiscono il paesaggio familiare dell'architetto, il suo sistema di riferimenti.

Tra gli edifici progettati dall'architetto e non esposti in mostra vi è la chiesa con centro parrocchiale della Divina Provvidenza, in costruzione in un quartiere popolare alla periferia di Leopoli, in Ucraina. Nonostante la guerra, il cantiere non si è fermato ed è diventato per gli abitanti il segno tangibile di una continuità che il conflitto vorrebbe interrompere, il simbolo insieme sacro e profano di una volontà di costruire che si oppone a quella di distruggere. Forse è questa la risposta alla domanda iniziale: dopo la lezione eroica della Avanguardie e del Movimento Moderno, l'unica scelta coerente è continuare a creare, dipingere e costruire, anche sopra Guernica.

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