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Inaugurata a Zurigo la nuova sede del Museum für Gestaltung

Dopo tanti anni passati nel severo edificio razionalista progettato da Adolf Steger (1888-1939) e Karl Egender (1897-1969) all’inizio degli anni Trenta, dallo scorso 26 settembre il Museum für Gestaltung di Zurigo si è trasferito nella zona di Züri-West, nella cosiddetta «Toni-Areal».

Publikationsdatum
06-01-2015
Revision
08-10-2015

Fino al 1999 qui era in funzione il caseificio Toni, costruito negli anni Settanta, ai tempi il più grande impianto di trasformazione del latte in Europa. Sulla scia delle trasformazioni urbanistiche che hanno caratterizzato questa parte della città dalla fine degli anni Ottanta – si pensi al caso dell’area industriale della Sulzer-Escher Wyss, a poca distanza, dove oggi c’è il Technopark di Zurigo – la Toni-Areal è stata interessata da diversi piani di riconversione, sfociati nella decisione di trasferire qui due università (la Zürcher Hochschule der Künste e la Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaft) e, per l’appunto, il Museum für Gestaltung di Zurigo.

L’incarico è stato affidato agli architetti zurighesi EM2N, i quali hanno lavorato sulla struttura esistente mantenendone l’impianto volumetrico – con l’aggiunta di una torre residenziale nella parte anteriore – ma stravolgendo, per forza di cose, il layout interno. Arrivando con il tram numero 4 dalla stazione centrale, studenti e visitatori entrano nella «pancia» dell’edificio – la grande hall d’ingresso, dotata di info point, bistro, mensa, spazi per lo studio ecc. – attraverso una rampa. Da qui si dipartono i percorsi verticali che conducono alle aule, alle sale di prova per gli studenti della scuola di musica, a biblioteche, archivi, bar e infine al vasto tetto panoramico, da cui si possono contemplare lo skyline di Züri-West e i più minuti sobborghi residenziali che sfumano i confini urbani. (Per approfondimenti sulla Toni-Areal rimandiamo al numero 39/2014 di «TEC21» (in tedesco).

La nuova sede del Museum für Gestaltung, affacciata sulla hall principale e chiamata anche Schaudepot, è stata inaugurata con una mostra (aperta fino all’8 febbraio 2015) dedicata al design svizzero degli ultimi 100 anni, a cura di Renate Menzi e Arthur Rüegg.

L’esposizione si apre con un «prezioso» prologo in cui si può ammirare la celebre cassa dell’orologio da tasca cesellata da Le Corbusier, risalente al periodo della formazione con Charles L’Eplattenier e premiata con la medaglia d’oro della Fiera Internazionale di Milano del 1906; nella sala principale si sviluppa invece il cuore della mostra, suddiviso in due percorsi paralleli. Al centro il visitatore può ripercorrere, in ordine cronologico, una rapida storia dell’arredo svizzero che comincia con le sedie del 1914-15 del primo Corbu (allora si faceva chiamare ancora Charles Edouard Jeanneret) per la Villa Schwob a La Chaux-de-Fonds e procede decennio dopo decennio con le sedie in metallo della Embru e della Wohnbedarf (anni 30); quelle in legno di Max Bill (anni 50); la divertente Choco-Chair di Trix & Robert Haussmann (1967), che ha quattro gambe liquefatte proprio come se fossero di ottimo cioccolato svizzero; la sedia di cartone di Alois Rasser (1969), simile ai coevi esperimenti di Frank Gehry; la sedia in acciaio Seconda di Mario Botta, prodotta da Alias (1982) ecc.

Alla destra e alla sinistra di questo discorso si susseguono invece tante isole indipendenti, dedicate a temi specifici. Si va dalla sezione «Ordnung», sui sistemi di archiviazione da ufficio, ai prodotti per le attività all’aria aperta (scarponi, biciclette, sci, slittini e addirittura una cabina della funivia, appesa al soffitto); dalla teca dedicata all’evoluzione del telefono in Svizzera (molti esemplari vengono dal Museum für Kommunikation di Berna) ai Paketmöbel, semplici ma ingegnosi arredi in legno creati negli anni Quaranta in risposta all’emergenza abitativa, tra cui si distinguono quelli pensati da Jacob Müller per il programma di assistenza Werkgenossenschaft Wohnhilfe del 1945.

Interessante anche la sezione «Individuell» con una vetrina di orologi Swatch, rivoluzionari nel rapporto tra produzione in serie e personalizzazione del prodotto; la sezione «Norm», che ragiona sugli standard abitativi in relazione al progetto della cucina (in mostra alcuni pezzi della cucina del quartiere Neubühl di Zurigo, del 1928-32); la riproduzione dello spartano intérieur allestito da Hannes Meyer nel 1926, composto da un letto, un grammofono e una sedia pieghevole, simbolo del nuovo stile di vita promosso dal Neues Bauen.

Largo spazio è dedicato poi al design anonimo (il logo della mostra è un interruttore della Feller AG del 1948, di autore ignoto, considerato da Max Bill come esemplare del concetto Die gute Form) e allo Schweizerische Werkbund, la cui storia è raccontata attraverso testi, disegni, fotografie e filmati.

Nell’ultima sala, infine, si apre una parentesi sull’attuale panorama del design svizzero, con una parete di video-interviste, un grande tavolo affollato di pubblicazioni sul tema e diverse teche con oggetti di vario tipo. Due di queste mettono in contrapposizione il design di lusso – i Parfumflacons di atelier oï per Bulgari, lo sgabello di Herzog & de Meuron per Vitra, etc. – e il design «democratico», cioè quello in cui l’estetica si sposa con l’etica, senza soluzione di continuità.

Se questi approfondimenti tematici non vi bastassero – alcune sezioni sono molto sintetiche, data la volontà di rivolgersi a un vasto pubblico – il Museo offre anche qualcosa di più. Il trasferimento nella nuova sede è infatti stato l’occasione per riunire quattro splendide collezioni – design, grafica, manifesti, arti applicate – che oggi sono conservate nei piani inferiori della Toni-Areal. Visitabili ogni giorno previa prenotazione (per maggiori info Museum für Gestaltung), offrono incontri ravvicinati e molto piacevoli con le sedie di Henry van de Velde, con migliaia di manifesti pubblicitari (ad esempio quelli di Donald Brun con bucoliche visioni della natura elvetica), prototipi e modelli di studio di Willy Guhl per la Eternit AG, chilometri di stoffe decorate ecc. Tutto quanto finalmente conservato in condizioni termiche e igrometriche adeguate. Per questo consigliamo di coprirvi bene: le basse temperature fanno bene al design, ma un pò meno ai suoi amanti.

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