SWISS­MA­DE con Ca­th­rin Tre­bel­jahr

Intervista

Da Ginevra a Parigi andata e ritorno, l’andirivieni continuo di Cathrin Trebeljahr ha plasmato il lavoro di un architetto capace di attenuare le disparità professionali tra Francia e Svizzera.

Publikationsdatum
06-10-2021

SWISSMADE è un nuovo approfondimento digitale dedicato agli studi di architettura che hanno esportato parte della loro attività al di fuori dei confini nazionali. Incontro con una professionista poliedrica, al crocevia delle molteplici culture che caratterizzano la sua attività.

espazium.ch: nata in Germania, laureata in Svizzera, trasferitasi negli Stati Uniti e successivamente in Francia per fare poi ritorno in Svizzera: può ripercorrere il suo percorso professionale ricco di esperienze transfrontaliere?

Cathrin Trebeljahr: effettivamente sono nata in Germania, cresciuta a Ginevra e ho studiato al Politecnico Federale di Zurigo (ETH), completando il mio percorso formativo con uno stage presso lo studio di Mario Botta. Ho poi intrapreso una delle fasi più determinanti della mia carriera: la borsa di studio presso la Graduate School di Harvard (GSD), negli Stati Uniti. Un’esperienza che mi ha permesso di avvicinarmi alla progettazione architettonica in un modo completamente diverso. Come studente ad Harvard non dovevo più pensare esclusivamente a soddisfare le aspettative di un professore architetto, ma avevo anche la possibilità di arricchirmi grazie all’ambiente circostante e alla diversità culturale degli studenti del campus universitario.

Questa apertura mentale e questa possibilità di confronto multiculturale mi hanno portata a sviluppare la mia attività professionale nel modo in cui la esercito attualmente, a Ginevra, Parigi o altrove.

Il suo approccio architettonico rivela la sua doppia sfaccettatura franco-svizzera: da dove deriva?

Una volta tornata a Zurigo, ho insegnato per un anno all’ETH ma ho sentito impellente la necessità di costruire.

Avendo conosciuto Bernard Tschumi a New York, ho proseguito la mia carriera nel suo studio di Parigi. Questa dualità franco-svizzera costituiva perciò già il fulcro della mia attività professionale come dipendente. Ho poi naturalmente conservato questa doppia natura culturale nell’esercizio della mia professione, anche se considero questa dualità come parte di una stessa realtà con cui m’identifico in pieno: la cultura europea.

In che modo questa doppia cultura l’ha aiutata a sviluppare la sua attività professionale?

In Francia, come architetti svizzeri godiamo di ottima reputazione presso i nostri committenti per la nostra cultura del progetto e la cura dei dettagli, mentre in Svizzera, in qualità di architetti francesi ci vengono riconosciute la nostra duttilità concettuale e l’innovazione costruttiva.

Va detto che questa dualità professionale ci ha permesso di adeguare la nostra attività in funzione delle opportunità. Da un lato, i miei primi lavori in Svizzera mi hanno consentito di partecipare a dei concorsi in Francia. Dall’altro lato, i miei primi progetti importanti in Francia mi hanno aperto le porte di incarichi su invito in Svizzera. Questo andirivieni continua ad alimentare tutt'oggi la mia attività architettonica.

La maggior parte dei sui progetti nascono da concorsi di architettura. Quali sono i vantaggi?

Il concorso di architettura in Svizzera rappresenta un meccanismo di produzione assolutamente straordinario. In Francia, invece, funziona in modo completamente diverso: per aggiudicarsi un appalto pubblico, bisogna inviare una domanda di partecipazione e arrivare tra i primi 5-6 team selezionati su 200-250 partecipanti. Può immaginare quanto sia difficile se non impossibile per uno studio giovane riuscire nell'intento.

Trovo davvero degno di nota il fatto che in Svizzera sia possibile visionare tutti i progetti presentati dagli altri partecipanti. I risultati vengono resi pubblici, cosa che invece non accade in Francia, dove viene reso noto solo il progetto vincitore. La pubblicazione dei risultati e la diversità delle risposte costituiscono una delle ricchezze del concorso di architettura.

Lei costruisce da una parte e dall’altra del confine. Percepisce differenze sostanziali tra la Svizzera e la Francia? In che modo questo andirivieni professionale ha influito sul suo modo di fare e pensare l'architettura?

Le logiche derivate dall'industria edile differiscono molto da una parte all’altra della frontiera, a tal punto che diventa quasi impossibile paragonare questi due paesi e la rispettiva comprensione dell’atto di costruire.

Nella nostra attività di architetti, adattiamo il nostro modo di fare per sfruttare i vantaggi specifici di ogni contesto anziché lottare e patire queste differenze.

In Svizzera, i nostri clienti sono soprattutto comuni che ci consentono di realizzare progetti architettonici con maggiore cura. Anche in termini di progettazione ci sentiamo molto più liberi. Abbiamo maggiori possibilità di sperimentazione, in particolare sulle tipologie abitative, senza allontanarci dai target di bilancio. Quest’ultimo è un fattore determinante e va tenuto presente fin dalla fase del concorso.

In Francia, lavoriamo principalmente per enti di edilizia residenziale pubblica, il che ci permette di procedere molto più spediti. Cerchiamo anche di essere più audaci nell'uso dei materiali e in termini di sviluppo sostenibile. Possiamo costruire a costi ridotti perché gli edifici sono meno carichi di materiali ma siamo tenuti a rispettare i quantitativi al metro quadro, il che ci costringe alla prudenza dal punto di vista delle tipologie.

Ha realizzato progetti a Juvigny, Saint-Julien e Annemasse. Come descrive le sue esperienze architettoniche “di frontiera”?

In generale realizzo molti progetti nell'Alta Savoia grazie al mio “know-how” svizzero, ma anche e soprattutto perché so lavorare “alla francese”. I compensi non garantiscono che le proprie idee vengano messe in pratica come si desidera e il controllo costruttivo del progetto non è assicurato. Ma ci sono altri vantaggi che conosciamo e che sappiamo inglobare nel progetto per produrre un’opera di qualità.

L’esperienza dell’ecoquartiere Étoile che sto costruendo attualmente ad Annemasse è affascinante. Di concerto con tutti gli architetti presenti sul posto (Atelier Martel, Bamaa, Hardel Le Bihan, ecc.), stiamo cercando di forgiare un'immagine comune per questo futuro quartiere. È un'occasione veramente unica vedere tutti questi architetti che danno la priorità ad una coerenza complessiva senza rinunciare al proprio know-how. Questo lavoro d’insieme costituisce la forza di un progetto ubicato in un contesto molto particolare, nei pressi della nuova stazione della linea ferroviaria CEVA e nelle immediate vicinanze del confine svizzero.

I materiali sono al centro della sua ricerca architettonica. Come mette in pratica questo suo approccio?

Mi piacciono il lavoro artigianale e la vicinanza dei materiali.

In Svizzera il materiale è un vero e proprio culto, in Francia molto meno. Gli imprenditori edili non sono disposti a pagare per l’uso di determinati materiali che vengono quasi considerati come un “lusso”. Bisogna imparare ad arrangiarsi con meno risorse.

In Francia, lavoriamo soprattutto con imprese generali o totali. Gli operai non ci rivolgono nemmeno la parola. Non c’è alcun orgoglio per la cultura costruttiva. In Svizzera è esattamente il contrario.

A prescindere dal contesto, nella catena di produzione di un edificio, tutti coloro che vi prendono parte devono essere flessibili. Se noi architetti abbiamo bisogno di rivedere alcune nostre decisioni, i committenti devono accettare l'allungamento dei tempi. Viceversa, se il cliente non è soddisfatto di determinate scelte, dobbiamo essere in grado di migliorare il progetto trasformando un nuovo vincolo in un pregio.

Come sono organizzati i suoi studi di Ginevra e Parigi?

Attualmente abbiamo quattro dipendenti a Ginevra e sette a Parigi. [N.d.R.: luglio 2021]

Queste due strutture differiscono principalmente per il numero di persone coinvolte in ciascun progetto. In Svizzera ho 1-2 persone per progetto mentre in Francia ho 2-3 progetti per dipendente in quanto i tempi sono molto più stretti. Tutti i progetti in Svizzera sono realizzati a Ginevra, ma ho un piccolo problema con i progetti in Alta Savoia, perché li gestiamo nello studio svizzero ma i compensi sono ovviamente molto più bassi.

In termini di atmosfera lavorativa, mi sforzo di ricreare nel mio ufficio ciò che ho vissuto durante i miei studi e nel mio soggiorno negli Stati Uniti, garantendo un grande mix culturale tra i miei dipendenti.

Per gestire questi due studi, trascorro circa due giorni a settimana più il week-end a Parigi e il resto del tempo in Svizzera. Questo andirivieni mi permette di ricaricare le batterie quotidianamente. In un tempo relativamente breve, ho la possibilità di risolvere alcune urgenze e addirittura di trovare soluzioni che non mi sarebbero venute in mente se fossi rimasta immersa in un unico contesto.

Cosa pensa dell'architettura svizzera oggi?

Penso che la Svizzera dovrebbe mantenere questa apertura mentale, in particolare nella sua cultura del concorso.

Questa cultura delle procedure competitive aperte è un investimento enorme per le autorità ma al tempo stesso rappresenta la garanzia assoluta della qualità architettonica svizzera. Queste procedure pubbliche invogliano gli architetti a progredire insieme. Si alimentano a vicenda, in un clima non di confronto ma di complementarità. Il denominatore comune è la ricerca architettonica.

In un contesto simile è ovviamente impossibile frenare il mix culturale, che costituisce una condizione intrinseca del mondo contemporaneo. Ma sono convinta che le influenze straniere non fanno altro che rafforzare le culture locali. Personalmente, vorrei quasi che la Svizzera si impegnasse di più in Europa per rafforzare la cultura architettonica a livello europeo.

Per quanto mi riguarda, oltre al mio background franco-svizzero e alle mie origini tedesche, è soprattutto la mia cultura europea che mi sta più a cuore e che coltivo nella mia vita sia professionale che personale.

Tradotto dal francese da Wulf Übersetzungen, Turgi

Swissmade - Interviste (in francese) :

  1. Entretien avec BUREAU | Daniel Zamarbide. Propos recueillis le 23.03.2021
  2. Entretien avec NOMOS | Katrien Vertenten, Lucas Camponovo, Ophélie Herranz Lespagnol & Paul Galindo. Propos recueillis le 30.03.2021
  3. Entretien avec JACCAUD ZEIN | Jean-Paul Jaccaud. Propos recueillis le 13.04.2021
  4. Entretien avec CATHRIN TREBELJAHR Propos recueillis le 20.07.2021