«Le ca­se-tor­ri non so­no uno stru­men­to di den­si­fi­ca­zio­ne»

Lettera dei lettori

«Nel dossier online Habitat verticali di espazium.ch, pubblicato in giugno e luglio di quest'anno, prendono la parola dei partigiani piuttosto acritici degli edifici alti, convalidando l'attuale tendenza a costruire in verticale. Restano invece inascoltate le innumerevoli voci polemiche di architetti, sociologi e psicologi della costruzione».

L'opinione di Horst Eisterer, per l'Arbeitsgruppe Städtebau und Architektur Zürich.

Publikationsdatum
14-08-2020
Horst Eisterer
Architetto SIA, Arbeitsgruppe Städtebau und Architektur Zürich (gruppo di lavoro Urbanistica e architettura Zurigo)

Quando gli si chiede come dovrebbe svilupparsi Zurigo, il municipale Odermatt dimostra una predilezione per l'edificio alto: «un contributo di qualità». L'ufficio di urbanistica della città mette l'accento sulla costruzione in verticale tramite mandati di studio miranti alla revisione delle linee guida sugli edifici alti. In questo modo dà l'impressione che questa tipologia edilizia rappresenti la risposta primaria della pianificazione a essenziali problemi urbanistici.

Ma crediamo davvero che, grazie all'edificazione in altezza, le poche aree rimaste libere possano assorbire una crescita della popolazione che, si prevede, andrà dalle 5'000 alle 10'000 persone all'anno? Il vero potenziale di espansione non sta piuttosto in tutto il resto del tessuto urbano? Non si dovrebbe, insomma, pensare anche al di là dei confini della città? E poi quali vantaggi offrono gli edifici alti, al di fuori dei rendimenti che aumentano con il numero di piani e della bella vista (a scapito del vicinato, che si ritrova in ombra)?

Il nostro giudizio sugli edifici alti si basa su criteri ecologici (che considerano il cambiamento climatico, il clima urbano e il microclima), economici, sociali, psicologici, urbanistici e paesaggistici, oltre che su aspetti messi in rilievo dalle scienze umane che non sono sufficientemente presi in considerazione quando – come nell'esempio riportato sopra – a valutare un progetto è un collegio composto quasi esclusivamente da architetti.

La costruzione in altezza è in tutte le sue fasi (pianificazione, realizzazione, messa in servizio, manutenzione e smantellamento) essenzialmente più complessa e costosa della costruzione “in orizzontale” realizzata secondo i principi della densificazione (Low rise – High density housing). Uno dei motivi è che il sistema stesso della costruzione in verticale genera un fabbisogno di spazio per utente (rispettivamente, per posto letto) considerevolmente maggiore, dovuto a ingressi, ascensori, manutenzione degli edifici, statica, protezione antincendio e simili. (Nel suo contributo, un rappresentante del Credit Suisse ammette costi aggiuntivi per le case-torri che vanno dal 15 al 20%).

Riteniamo che sarebbe stato più utile se gli sforzi profusi negli ultimi anni per rendere più economiche le case-torri fossero stati rivolti invece all'elaborazione di metodi di costruzione a basso costo, sociali ed ecologici. Lo stesso professor Schwehr (Hochschule Luzern) relativizza il successo del proprio studio (sostenuto dalla città di Zurigo) mirante a ridurre i costi degli edifici alti grazie alla costruzione in legno. E se le cooperative abitative – con l'eccezione di un esperimento nel Kochareal di Zurigo – tendono a non ricorrere a questa tipologia edilizia è perché con gli edifici alti è difficile riuscire ad offrire abitazioni convenienti e adeguate alla società.

L'impronta ecologica degli edifici alti è considerevole, se comparata con l'impatto ambientale assai minore di quelli di altezza moderata, che consentono di ricorrere a una tecnica costruttiva più semplice e a materiali ecologici. In particolare, nelle case-torri ha un peso particolare la (ancora troppo trascurata) energia grigia, che si situa nello stesso ordine di grandezza dell'energia consumata durante tutta la durata della vita dell'edificio. Anche solo per proteggere il clima non dovrebbe più essere possibile costruire nuovi complessi “verticali” pianificati continuando a rifarsi a concezioni di una volta – tanto più che, semplicemente, di essi non abbiamo bisogno.

Gli edifici alti non sono uno strumento di densificazione. Lo stesso ufficio zurighese di urbanistica conferma che «l'edificio alto non è destinato alla densificazione». Questo perché il guadagno di superficie libera ottenuto grazie alla sovrapposizione dei piani diminuisce in modo esponenziale con l'aumentare del loro numero; e la nostra legge edilizia proteggerebbe la popolazione dallo stress della densità, se in determinate aree piani e deroghe non permettessero una smodata densificazione e indici di sfruttamento di oltre il 300%, a proposito dei quali gli abitanti dei quartieri non hanno modo di dire la loro.

Gli edifici alti – efficacemente definiti di recente da Hans E. Widmer «torri dormitorio» – non promuovono comunità abitative o di vita: isolano gli uomini dal suolo e tra loro, e creano un divario sociale tra alto e basso. Non sono, poi, adatti ai bambini: lo hanno confermato a più riprese sociologi, psicologi della costruzione e medici, anche se a titolo eccezionale nei ranghi della sociologia troviamo la paladina della costruzione in altezza Eveline Althaus [l'autrice di uno dei saggi di «Habitat verticali», NdR]. D'altra parte un suo collega all'ETH Wohnforum, il sociologo e professore Christian Schmid, è un deciso avversario degli edifici alti.

Ma pure la signora Althaus lo ammette: «Nella teoria architettonica si è quindi andata affermando l’idea che la densità non richiede necessariamente edifici alti. Tuttavia, in molte grandi città svizzere i progetti per essi continuano a godere di grande attrattiva. Naturalmente ciò è dovuto principalmente ad interessi economici – e forse anche all’interesse per creare isole di urbanità». A questo proposito fa riflettere un'osservazione di Hans Weiss: «Finché il suolo sarà un investimento per pochi invece che il fondamento della vita per tutti, la pianificazione non porterà a nulla».

Non aspiriamo forse a uno sviluppo urbano come quello descritto nella «NZZ» del 15 luglio 2020 dall'architetta della città Anne Pfeil e dal professor Jürg Sulzer? Abbiamo bisogno della città e del suo tessuto abitativo per comunità di vita che si possano sviluppare in spazi all'aperto coerenti e protetti, dove le persone si incontrino e scambino idee. Provi, gentile lettrice o lettore, a sedersi ai piedi di una di queste minacciose case-mostro («Vulcano», «Hardau», «Sunrise» o comunque si chiami), negli spazi residuali scomodi, ventosi e per molti angoscianti avanzati tra queste immense torri, con le loro superfici vetrate. Non troverà qui né bambini che giocano in angoli adatti a loro né gradazioni tra spazi privati e pubblici, come accade invece negli abitati tradizionali. Abitati in cui le singole case disposte in fila si collocano all'interno di un insieme più ampio, i cui spazi esterni ci offrono – come nei centri storici o in nuovi insediamenti esemplari – protezione e sicurezza.

Nel loro accumulo arbitrario, gli edifici alti di Zurigo non fungono più da tempo da punti di riferimento e d'orientamento. Per giunta, la particolare collocazione della nostra città, tra dolci colline, è sempre più oscurata dal continuo ammassarsi di torri, che nei giorni caldi ostacolano pure la ventilazione.

Noi sosteniamo un'edilizia e un'urbanistica a misura d'uomo, impegnate socialmente ed ecologiche. Fatto salvo per alcuni casi eccezionali, motivati con argomentazioni stringenti, questi obiettivi si raggiungono meglio senza edifici alti.


Horst Eisterer, per l'Arbeitsgruppe Städtebau und Architektur Zürich
(gruppo di lavoro Urbanistica e architettura Zurigo)


Questo contributo non può che limitarsi a esporre il tema per cenni. Chi è interessato al nostro lavoro è pregato di rivolgersi a questo indirizzo: h.eisterer [at] hispeed.ch (h[dot]eisterer[at]hispeed[dot]ch)
Attendiamo con interesse osservazioni e confutazioni da un pubblico di lettori critici.

Leggi qui il testo originale in tedesco di Horst Eisterer.

Qui è possibile leggere il dossier «Habitat verticali».

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