Va­lo­riz­za­re il ca­pi­ta­le ter­ri­to­ria­le re­gio­na­le

Data di pubblicazione
11-12-2018
Revision
11-12-2018

Vivere e pianificare il futuro della nuova Mendrisio 

«Vivere e pianificare il futuro della nuova Mendrisio significa anche, in definitiva, dotarsi di un progetto di salvaguardia e sviluppo del capitale territoriale regionale». Il riferimento a questa moderna chiave di lettura delle scienze regionali è emerso durante una delle riunioni del Collegio degli esperti, posto di fronte all’apparente dicotomia tra l’obiettivo della protezione della natura e del paesaggio e quello dello sviluppo di uno spazio economico vitale e sostenibile. 

Applicato al caso della nuova Mendrisio, il concetto di «capitale territoriale» riassume e concilia i due obiettivi mettendo in risalto come natura e paesaggio siano una risorsa di base collettiva e quindi un capitale materiale e immateriale tanto più quotato quanto più fa da offerta per attrarre e mantenere sul territorio fattori mobili e nobili per la produzione di valore.

Le ampie e diverse analisi ed esperienze condotte in questa fase di candidatura per l’allestimento di un nuovo Piano Direttore comunale contengono tutte le premesse per definire le linee di sviluppo e per far scattare dei comportamenti coerenti con la salvaguardia e la creazione del capitale territoriale che si va formando. 

Ogni regione possiede uno specifico capitale territoriale distinto da quello di altre aree. Il nuovo Piano regolatore di Mendrisio, con il riferimento al progetto modello del Parco del Laveggio, è quindi anche un marchio oltre il quale si cela un percorso identitario e di sviluppo.

 

Un mutamento di prospettiva

Si tratta anche di un mutamento di prospettiva – un approccio cognitivo che si va sostituendo all’approccio funzionale tradizionale fatto di relazioni di causa-effetto – che può fare la differenza in termini di competitività locale. Una differenza che si capitalizza grazie alle relazioni intersoggettive, al senso di fiducia e di appartenenza, capace di determinare diversi modi in cui gli agenti economici percepiscono la realtà e reagiscono – in termini più di creatività e sinergia che di stretta efficienza – agli stimoli esterni.

Diversi possono essere infatti gli approcci allo sviluppo di un territorio. Così, nell’odierno mondo globale – caratterizzato dalla segmentazione nelle filiere della produzione e dei mercati – appare sempre meno evidente che lo sviluppo territoriale possa semplicemente basarsi su vantaggi competitivi nei fattori di produzione: materie prime, salari, costo del denaro; tanto più che, in questo modello, le varie componenti del valore aggiunto sono prodotte e percepite differentemente da operatori vari e variamente distribuiti nello spazio. Se il modello esistente è teoricamente datato, non lo è tuttavia per una realtà come quella del Mendrisiotto, per di più regione di frontiera. Anzi, tendenzialmente arrischia di continuare a caratterizzare la dinamica della sua urbanizzazione. Per gli economisti regionali e per la politica la sfida da affrontare è grande e difficile, anche per la Svizzera federalista. Spesso lo si fa fondandosi su un credo ideologico: liberista, affidandosi ai meccanismi regolatori del mercato; oppure protezionista, quale reazione conservatrice alle percezioni di squilibri; oppure, ancora, assistenzialista, quando in mancanza di alternative si tramutano temi di sviluppo in problematiche sociali. 

 

Ritrovare la dimensione «spazio» 

Viviamo in una società «liquida» (Zygmunt Bauman), in un «mondo piatto» (Thomas Friedman), ben riassunti nello slogan: «Ogni cosa, dappertutto e in ogni momento». Le dimensioni tempo e spazio non sembrano più essere degli ostacoli: se in passato si tendeva a superare i tempi di spostamento tramite la concentrazione degli insediamenti (borghi, città), oggi, invece, sono le distanze a poter essere superate con un minimo di condizionamenti temporali (Internet). La conseguente banalizzazione degli spazi è palpabile appena ci si soffermi a guardare l’evoluzione – frammentata e disordinata – di un territorio colonizzato e ridotto a semplice funzione d’uso. Il paesaggio che ne deriva sembra essere fatto di oggetti giustapposti e non, come dovrebbe essere, uno spazio di relazione e di equilibrio dinamico e sostenibile tra uomo e natura. 

Con ritardo la società civile sembra reagire, ma lo fa sentire con protezionismi, nazionalismi, segnali di chiusura, di difesa dell’acquisito e dell’identità, che, analizzati, hanno tutti il carattere di forzature, spesso persino contraddittorie. Vi è un deficit di governanza, pubblica e privata, dei processi di sviluppo, facilmente osservabili a tutte le scale territoriali. 

Nuove correnti di pensiero, anche tra gli economisti, mettono in evidenza il ruolo dello spazio, non come semplice contenitore e componente di costi, ma come fattore attivo e cruciale nel determinare economie/diseconomie esterne, sinergie e potenzialità d’innovazione. In altri termini, sono le interrelazioni qualificanti un determinato spazio che danno luogo a un paesaggio economico, costitutivo del suo capitale territoriale e del suo capitale sociale. Quasi a maggior ragione il messaggio rimane valido nella società digitale. La dimensione spaziale non deve essere persa – pur nella complessità di un paesaggio economico leggibile solo dietro le quinte. 

 

Per un approccio cognitivo

Il noto economista del Politecnico di Milano Roberto Camagni1 è tra coloro che hanno raccolto e promuovono un mutamento di prospettiva. In un approccio cognitivo, il funzionalismo cede il passo e fa piuttosto leva – in termini di capitale territoriale – sulle relazioni complessive e intersoggettive, agendo sui modi in cui gli agenti economici percepiscono la realtà economica, mirando a risposte creative e a comportamenti cooperativi e sinergici. 

Vanno in questa direzione i compiti assegnati ad agenzie come, in Ticino, gli Enti regionali di sviluppo (ERS) o addirittura comunali, come pure i compiti assegnati dalla politica cantonale alla Fondazione Agire. Difficile per ora fare un primo bilancio, tanto più che funzionalismo e localismi la fanno ancora da padrone. Ora il progetto territoriale della Città di Mendrisio Pensare e ridisegnare l’identità e il patrimonio va pienamente nella direzione dell’approccio cognitivo sopra indicato.

 

Componenti teoriche del capitale territoriale e sue esemplificazioni

Nella specifica letteratura il capitale territoriale è costituito da due dimensioni in interazione:2 da un lato la componente, più intuitiva, delle risorse (paesaggio, materie prime, infrastrutture, clima, localizzazioni) presenti in un territorio; dall’altro, il sapere e la capacità di apprendimento collettivo espressi dai suoi attori, nonché le opportunità di cogliere i propri atout in una dinamica di governanza, pubblico-privata, in relazioni con l’esterno e su più scale spaziali. Le due dimensioni si supportano l’una con l’altra, in un equilibrio non sempre evidente e tutto da scoprire. 

Facciamo un piccolo esempio iniziale, facilmente comprensibile. Il marmo di Arzo è una risorsa specifica e riconosciuta. Tuttavia, anche nel momento più felice della sua traiettoria la sua trasformazione in capitale territoriale è stata il frutto di una capacità di far giocare uno spazio di produzione con lo spazio di mercato ma, soprattutto, con la creazione di uno spazio di sostegno, fatto di saper fare, di azioni in rete. In breve di una catena di valore aggiunto capace di fare la differenza.3 Quando questa è venuta meno, le cave non si sono potute salvare solo con una strategia di diminuzione dei costi. Oggi, se si può intravvedere un futuro è perché si sono colte altre opportunità per riscoprirle come capitale territoriale: si è compreso il potenziale ambientale e culturale di un luogo identitario naturalistico, archeologico-industriale e di ricreazione come teatro aperto (si veda il progetto di Enrico Sassi).

Più in generale il concetto di capitale territoriale si costruisce attorno a tre articolazioni.4 

 

Un capitale territoriale basato sulla catena del valore 

La prima articolazione concerne la capacità di costruire le premesse per uno sviluppo sostenibile, vincendo la competizione interna-esterna con altri territori mirando e agendo sulla competitività totale dei fattori. Per intenderci, a termine si vince non con una strategia essenzialmente basata sul contenimento dei costi o sul cogliere specifiche rendite di posizione, ma piuttosto agendo su tutti i fattori (manodopera, capitale, innovazione) secondo una visione di medio-lungo termine e una strategia di aggregazione creativa di valore aggiunto. 

In questo senso possiamo interpretare la logica che ha portato al FoxTown, ma che indubbiamente non si è realizzata senza problemi poiché immersa nel funzionalismo della vecchia stagione della pianificazione e dell’organizzazione territoriale. Su un altro piano, ma allo stesso modo, il Monte Generoso o il Monte San Giorgio, inserito dall’UNESCO nel patrimonio dell’umanità, sono o possono essere valorizzati come capitale territoriale in una visione d’assieme, per fortuna già accolta per molti versi a condizione di non confinarla entro i confini comunali. 

 

Un capitale territoriale basato sulla cultura del saper fare e dell’apprendimento collettivo

La seconda articolazione è quella che si identifica con il moderno concetto di cluster, di grappolo di attività singolarmente specifiche ma complementari, sfocianti nell’identificazione di un vero e proprio prodotto del territorio nel medesimo tempo connesso e in rete con altri. Anche i concetti espressi dalla letteratura francofona in termini di milieu innovateur o da quella italofona con distretto industriale sono da intendersi come costitutivi del capitale territoriale, poiché caratterizzati da una cultura del saper fare e di apprendimento collettivo. L’aver accolto un ambizioso progetto come quello dell’Accademia di architettura, alla quale si aggiungerà presto l’insediamento del Dipartimento Costruzioni, Ambiente e Design della SUPSI, significa avere in casa un vettore di una catena di valore aggiunto. 

 

Un capitale territoriale basato sull’attrattività e vivibilità dei luoghi

Infine, il terzo snodo costitutivo del capitale territoriale è quello dell’attrattività e vivibilità dei luoghi. Anche e proprio nella società del digitale queste caratteristiche fanno la differenza: per la qualità di vita quotidiana, per mantenere una struttura demografica equilibrata e per attrarre forze imprenditoriali. Com’è possibile in una società liquida e in un contesto di urbanizzazione diffusa? I buoi non sono forse fuori dalla stalla, specie per gli effetti perversi che sulla lunga durata hanno avuto i vecchi Piani regolatori comunali? Eppure, la società ha i suoi anticorpi. In questa fase, sta maturando una diversa percezione culturale dello spazio entro il quale viviamo e che vogliamo meglio governare per il nostro ben-essere (smart cities; smart lands). Una spinta aggiuntiva per una diversa organizzazione del territorio sembra così venire dal moderno approccio paesaggistico. Esso è volto a valorizzare, ripristinare e creare un nuovo paesaggio in termini di relazioni dinamiche tra uomo e natura. 

Mendrisio, che nella sua traiettoria storica ha guadagnato il marchio identitario di «magnifico borgo» – costitutivo del suo capitale territoriale –, sembra avere già indicata la strada per il suo orientamento futuro.

 

Note

1.    R. Camagni, Per un concetto di capitale territoriale, IRES Piemonte, Torino 2008.

2.    A. Bramanti, R. Ratti, La construction du capital territorial dans les espaces-frontières: problématique, typologie, 2018 (di prossima uscita).

3.    R. Maggi, V. Mini, La catena del valore transfrontaliera: il potenziale dei sistemi integrati di produzione, USI–IRE, Osservatorio delle politiche economiche, Lugano 2013.

4.    A. Bramanti, R. Ratti, Cooperazione transfrontaliera nell’era glocal: nuovi paradigmi teorici e un’applicazione al caso della regio insubrica, in A. Bramanti, G. Gorla (a cura di), Competitività territoriale, trasporti e politiche, Egea, Milano 2014.

 


Remigio Ratti era membro del Collegio degli esperti nell'ambito dei mandati di studio paralleli per Mendrisio.


 

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