Ultimo appello per visitare Biennale Venezia 2023!
The Laboratory of the Future
Ultimi giorni per visitare la Biennale di Architettura di Venezia in chiusura il 26 novembre 2023, seguendo il “filo azzurro” dell’acqua, tra idee innovative, scenari futuri e nuovi modi di preservare la principale risorsa del pianeta.
Tra i molti temi della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia sicuramente emerge quello essenziale dell’acqua, che molti paesi hanno affrontato con diverse angolature, geografie e punti di vista. La Biennale di Architettura di Venezia, edizione 2023, mette in mostra temi, ricerche e problemi, più che progetti di architettura. Non omaggia archistar di fama planetaria e propone invece molti volti nuovi e poco conosciuti (età media dei partecipanti 40 anni, il più giovane ne ha 24), progetti collettivi e zone del mondo poco esplorate, per non dire ignorate. Presenta, soprattutto, un altro punto di vista. Che parte dall’emisfero solitamente considerato meno, se non poco o niente: il sud del mondo, l’Africa. Un’Africa ricca di risorse e idee, terra di sperimentazione e di ricerca, che la curatrice Lesley Lokko (architetta e ricercatrice ghanese-scozzese, classe 1964) ci mette di fronte, quasi per scuotere le nostre certezze occidentali, aprendo nuove finestre. Sono premesse già incorporate nell’intenzione di un titolo tanto promettente quanto impegnativo, The Laboratory of the Future. Lokko sceglie, infatti, due parole particolarmente dense di significato per la contemporaneità: laboratorio e futuro, concetti proiettati in avanti, alle generazioni dei più giovani, a chi agisce e opera in quell’atelier aperto che sono le città, il territorio, il paesaggio, ma anche il mondo virtuale e le nuove tecnologie.
Around Water
Tra i possibili percorsi legati al paesaggio naturale e gli infiniti temi che questa Biennale mette sul tavolo, l’acqua è senza dubbio uno dei principali, se non l’essenziale. Affrontato da molti Paesi, da diversissimi punti di vista: progetti legati al mare, alle isole, ai bacini artificiali, ai fiumi, alla siccità, al recupero, alle zone umide del mondo. “Che cosa vogliamo dire? – incalza Lesley Lokko – In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? Quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”, rendendo la Mostra non tanto una storia unica, ma un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo?”: in questo modo la curatrice passa il testimone ai partecipanti – che chiama practicioner (e non architetti, designer o urbanisti), forse perché il termine è più consono a identificare chi si spende, nella pratica professionale, per comprendere “le condizioni complesse di un mondo in rapida ibridazione”. E sicuramente i lavori legati al tema dell’acqua sono progetti complessi, che coinvolgono il nostro ambiente naturale e artificiale nel cuore della sua stessa esistenza.
L’Egitto (ai Giardini) presenta Nilab – il Nilo come laboratorio, ricerca internazionale – delle università Ain Shams del Cairo e Mediterranea di Reggio Calabria – sul paesaggio fluviale del Nilo, che da sempre è il centro vitale e presenza fisica delle civiltà che vivono lungo le sue sponde, da un punto di vista naturale, antropico, storico, culturale, scientifico. Ogni alterazione dell’equilibrio del Nilo può quindi distruggere un sistema millenario che si basa sui sei paesaggi legati al corso d’acqua: natura, agricoltura, urbe, infrastruttura, industria, archeologia. La presenza del Nilo, il suo rapporto con l’acqua, il mito e l’archeologia disegna possibili proposte future per affrontare le emergenze ambientali che ci attendono.
L’installazione dell’Argentina (Arsenale) fa immergere i visitatori immediatamente nel tema El futuro del Agua: una piattaforma blu, metaforica e surreale, avvolge fluidamente lo spazio fino a un metro di altezza, dove tavoli-pannelli sembrano quasi “galleggiare”: ogni tavolo presenta il lemma di un glossario legato all’acqua, elemento fondamentale per la vita del pianeta, per le diverse attività umane che hanno originato la crisi dell’equilibrio naturale e gli eccessi che stiamo vivendo; “La futura disponibilità di acqua dolce, la capacità dei fiumi e oceani di smaltire rifiuti o il conseguente aumento del livello del mare” sono infatti gli elementi che condizioneranno il futuro della vita sulla Terra.
La Finlandia (Giardini) rivede criticamente le infrastrutture igieniche (in pratica: i wc e l’enorme spreco di acqua dolce legato al suo funzionamento), per proporre strategie di risparmio idrico e soluzioni alternative per supplire alla carenza d’acqua, rimodulandone i consumi. La domanda, semplice ma essenziale è: “per che cosa abbiamo più bisogno di acqua, per coltivare il cibo o per tirare lo sciacquone?”. Il progetto proposto è una moderna toilette a secco, chiamata huussi e già in uso in Finlandia in zone verdi, che recupera parte dei rifiuti compostabili e si propone come possibile idea di servizi igienici più sostenibili anche da diffondere alla scala urbana delle città.
Same as it ever was è la mostra che il padiglione della Croazia propone sulle zone umide del Lonja, scelte come laboratorio e spunto per il futuro: documenta la lentezza dei cambiamenti e del paesaggio in equilibrio tra naturale e culturale, sul filo delle stagioni che passano, delle migrazioni degli uccelli ma anche quelle delle persone, del movimento dei fiumi e l’interconnessione di un sistema complesso, che talvolta può sembrare immobile, ma vive di relazioni, scambi, reciprocità.
L’esposizione della Georgia (“January february march”, tra Arsenale e Giardini) indaga la relazione tra il passare del tempo, l’energia e il suo consumo, nell’impatto ambientale che i bacini idrici provocano sul territorio in termini ecologici, urbani e demografici. Attraverso fotografie e video dell’ecosistema fluviale che forniva l’approvvigionamento idrico di Tbilisi, sono evidenziati i punti altamente critici della centrale idroelettrica aperta nel 1985 nella regione di Dusheti: un villaggio è stato sommerso, i suoi abitanti costretti a migrare, e un’inquietante massa di melma scura ha preso il sopravvento, ricoprendo il territorio, cancellando i segni di insediamenti preistorici e di una chiesa del XII secolo.
Analogo tema, la mostra Bodies of Water – nel padiglione della Grecia (Giardini) – esplora il territorio facendo una mappatura dei numerosi bacini idrici e delle dighe costruite dagli anni ‘50. Sono infrastrutture che hanno trasformato nel tempo il territorio ellenico, con lo scopo principale di irrigare i terreni agricoli e di fornire energia idroelettrica. Con occhio analitico, si analizza il segno emblematico che l’era dell’Antropocene lascia: opere tangibili come corpi estranei sul pianeta, rappresentate con disegni precisi, fotografie e modelli 3D in vetro, sospesi nello spazio buio del padiglione.
L’Irlanda è una nazione insulare, circondata dal mare: la mostra In Search of Hy-Brasil (Arsenale) esplora quella zona quasi sfuggente di terra e oceano che è l’essenza delle “isole minori” irlandesi, apre una finestra inaspettata su luoghi remoti e periferici del mondo contemporaneo, diversi da un punto di vista geografico, antropologico, culturale; sono isole di cultura e lingua gaelica, non a caso scelta al posto dell’inglese nei testi per la Biennale, a sottolineare un’identità culturale unica e differenziata; isole che, per fronteggiare un ambiente aspro e avverso, hanno saputo tirar fuori inventiva, creatività, e quell’intelligenza intrinseca di “questi luoghi straordinari”.
Mentre la Danimarca (Giardini), nella mostra Coastal Imagineries, approfondisce il tema del paesaggio costiero, tra cambiamenti climatici e innalzamento del livello del mare. E invita il visitatore ad attraversare ipotetiche scenografie, progetti di ricerca, possibili soluzioni a catastrofi naturali come le mareggiate e le inondazioni, superando i confini disciplinari verso una visione collaborativa in cui artisti, artigiani, architetti e ricercatori possano lavorare insieme per un cambiamento radicale. Dove la natura – in questo caso costiera – è al centro.
Un tema attualissimo è stato affrontato dal Bahrain (Arsenale), paese dal clima caldo e umido che vedrà aumentare la temperatura di 5°C entro la fine del secolo e dove già a partire dagli anni 50 del Novecento si è diffuso un utilizzo esteso dei condizionatori. Il progetto Sweating Assets propone un’idea di recupero della condensa e dell’acqua prodotta dalle macchine per condizionare l’aria, secondo un “approccio adattivo alla gestione delle risorse”: sfruttare al meglio questo scarto non intenzionale (la condensa) per raccoglierla in serbatoi che possano mitigare l’enorme fabbisogno idrico di paesi colpiti da profonda siccità, come il Barhain.
E, infine, nel padiglione dell’Olanda è sempre l’acqua come metafora – attraverso i piranesiani disegni della giovane architetta Carlijn Kingma – a mostrare i flussi, la complessità e i meccanismi economici di questa risorsa indispensabile. Il curatore Jan Jongert (Superuse Studios) coglie l’occasione della Biennale per proporre un sistema concreto di riutilizzo idrico all’interno di un grande evento: l’acqua piovana raccolta potrà soddisfarre, infatti, il fabbisogno idrico del padiglione e del giardino circostante.
Sul filo azzurro dell’acqua e di questi progetti visionari, si spera che il laboratorio del futuro della Biennale diventi quell’agente di cambiamento auspicato da Lesley Lokko per gli anni a venire.
Potete trovare altri articoli sulla Biennale nel nostro dossier "Biennale di Venezia".