«Specie di spazi»: vuoti, soglie, interstizi
«Occorrono progetti di spazi, di vuoti che interpretano e esprimono la complessità del vivere contemporaneo. Non sono gli edifici che fanno l’urbanità o la bellezza di una città, ma sono i vuoti». Aurelio Galfetti, 2009
Promuovere nella Svizzera italiana la densificazione dei tessuti urbani ha portato Archi negli ultimi anni a esaminare i diversi modelli di coabitazione che si sono affermati nel resto della Confederazione con notevoli risultati di urbanità.
Una riflessione che ha vagliato le possibilità insediative e funzionali di tipologie plurifamiliari alternative alla diffusione della tipica casa unifamiliare, ormai insostenibile di fronte all’esigenza di limitare il consumo di suolo, le aree edificabili e la mobilità individuale. Da questa diversificata indagine morfologica e costruttiva è emersa una concezione del complesso residenziale come un insieme polifunzionale, intergenerazionale e inclusivo adatto ad accogliere l’interazione tra gli abitanti tramite l’autogestione partecipativa della vita quotidiana. Si è così sviluppato un confronto geografico aperto e produttivo che continua a porre numerosi interrogativi sulle ragioni strutturali che hanno finora ostacolato l’uso di procedure di natura cooperativa – favorevoli all’accesso alla casa – nel contesto ticinese.
L’evidente cristallizzazione del panorama abitativo cantonale sull’unità monofamiliare, a schiera o a piccoli blocchi disseminati sul territorio, non ci ha comunque impedito di cercare nuovi criteri di lettura e interpretazione della sua evoluzione. Benché la politica locale non sembri considerare la sostenibilità sociale come una risorsa urbana basilare, in questa fase cruciale della transizione ecologica prediligere questa condizione nella ricerca sulla residenza collettiva risulta inderogabile. L’individuazione di una serie di episodi recenti – focalizzati sostanzialmente sul rapporto tra pieni e vuoti in un approccio interscalare – presenta infatti aspetti promettenti di sperimentazione progettuale.
L’attenzione va in questo caso indirizzata al modo di concepire la relazione tra l’edificio d’abitazione e gli spazi aperti adiacenti in tutte le sue possibili sfaccettature, prendendo atto dell’urgenza di attuare in questi ambiti interventi qualitativi efficaci destinati a gestire l’impatto del cambiamento climatico sulle nostre città.
D’altro canto, come già osservato dalla critica, la fluidità che caratterizza la società del nuovo millennio cancella gerarchie sciogliendo i confini tradizionali dell’abitare: svaniscono i limiti interno/esterno, pubblico/privato, e tendono a riconfigurarsi come spazi intermedi di grande potenzialità relazionale nella riappropriazione dei luoghi circostanti.
I contributi si soffermano dunque sulla nozione di soglia come zona in cui le cose possono accadere, luogo di incontro e scambio nella definizione dei rapporti tra la dimensione domestica e quella urbana: agire sui bordi e non sui limiti, sulle porosità e gli interstizi, sui vuoti indistinti di un tessuto ibrido e instabile, diventa il traguardo di pratiche progettuali resilienti. I testi delle prossime pagine affrontano la contestualizzazione e la verifica di tali premesse su esempi significativi (Bonnet), narrano l’evolversi di queste tematiche nel dibattito ticinese degli ultimi decenni (Moscatelli), formulando inoltre proposte precise per migliorare la qualità di vita dei cittadini, come nel «caso studio» della città di Lugano (Schürch). Le opere illustrate restano nell’ambito dei tipi residenziali abituali senza addentrarsi in inedite esperienze di condivisione abitativa; eppure, delineano con una certa specificità itinerari distinti dalla logica di mercato dominante, all’interno di una prospettiva tesa a generare condizioni di possibilità di nuovi modi di abitare riconciliati con l’ambiente.
Sono interventi che rispondono con sensibilità a esigenze contingenti di ricucitura urbana su piccola scala, rivelando un atteggiamento innovativo nell’impiego di accorgimenti in grado di mitigare le isole di calore: integrare la vegetazione al costruito per ridurre le emissioni di CO2, ombreggiare marciapiedi e facciate per abbassare le temperature, rendere permeabili i pavimenti per favorire i deflussi delle acque, adoperare materiali durevoli nel tempo, riconquistare superficie ai posteggi restringendo il traffico veicolare e agevolando la mobilità dolce, intensificare i contatti e la socialità tramite la cura di piazze, giardini, corti, orti e angoli urbani (pubblici, semi-pubblici o privati) con soluzioni ospitali verso la biodiversità. Piccoli gesti progettuali che nella loro moltiplicazione aiutano a costruire la differenza.