Sfo­glian­do il Bau­haus

In occasione del centenario del Bauhaus, Lars Müller Publishers in collaborazione con il Bauhaus-Archiv e il Museum für Gestaltung di Berlino propone una ristampa anastatica della rivista «bauhaus», che ha accompagnato i lavori della scuola dal 1926 al 1931, rispecchiandone tendenze e aspirazioni, cambi di rotta e punti focali. Tra presentazioni dei progetti di Walter Gropius, Ludwig Mies van der Rohe e Hannes Meyer, interventi di Wassily Kandinsky, Oskar Schlemmer, László Moholy-Nagy, Gunta Sharon-Stölzl, Paul Klee, Marcel Breuer e tanti altri, i facsimile dei 14 numeri (accompagnati da un saggio di Astrid Bähr sull'importanza della rivista) testimoniano la prospettiva di un'avanguardia e mostrano come intendeva presentarsi al mondo.

Data di pubblicazione
15-05-2019

Il primo numero è composto da un ampio foglione ripiegato in sei paginate, e già la grafica è una dichiarazione d'intenti: il testo, scritto rigorosamente in minuscolo («perché scrivere in maiuscolo se non si può parlare in maiuscolo?»), è composto alternando ai tradizionali caratteri graziati un nitido font a bastone (all'epoca, un vero manifesto: l'equivalente tipografico di usare un tubolare in metallo per una sedia…); la composizione della pagina, da parte sua, alterna essenziali elementi geometrici (linee, frecce, cerchi) a immagini inaspettatamente bizzarre (un piccione con macchina fotografica, una finta pellicola), infondendo una sfumatura d'ironia all'insieme. La stessa alternanza tra rigore e gioco si ritrova nei testi: severi sono i toni della «cronaca bauhaus» dove Gropius, allora direttore nonché curatore del numero, espone gli scopi della scuola («1. la formazione intellettuale, artigianale e tecnica di persone dotate di talento creativo per lavori di progettazione artistica, e in particolare per la costruzione di edifici, e 2. la conduzione di un lavoro di ricerca pratico, in particolare per la costruzione e l'arredamento di case, così come lo sviluppo di modelli per l'industria e l'artigianato»); la segue a ruota, però, un giocoso «film bauhaus» («autore: la vita, che rivendica i suoi diritti, operatore: Marcel Breuer, che riconosce questi diritti»), che racconta in fotogrammi come si sia trasformata la sedia tra le mani di Breuer, dal design “tribale” del 1921 alla celebre Wassily del 1925, e ancora verso il futuro con un modello “invisibile” datato ottimisticamente «19??». Didascalia: «di anno in anno va sempre meglio. Alla fine si siederà su una colonna d'aria elastica».

La rivista «bauhaus» appare per la prima volta nel 1926, in occasione del trasferimento della scuola da Weimar, dov'era nata nel 1919, a Dessau; lì Gropius (allora direttore) realizza una nuova sede che diviene subito esemplare di quanto vi si insegna. All'edificio sono dedicate le prime due paginate; seguono un'ampia riflessione di Kandinsky sull'importanza della teoria nell'insegnamento della pittura, un contributo di Schlemmer sul «teatro nel bauhaus», delle pubblicità di oggetti disegnati nella scuola, un intervento di Muche sul rapporto tra belle arti e forma industriale, e poi la pagina in cui Moholy-Nagy, ideatore della grafica della rivista, sfoga il suo gusto pirotecnico in cerca di «nuove dimensioni del vedere», tra frecce e tagli audaci delle immagini. 

Le sei paginate compongono dunque una sorta di autoritratto della scuola in tutta la sua peculiare varietà (d'altra parte, vi si concepiva la progettazione proprio come realizzazione di un “Gesamtkunstwerk” in cui le conoscenze di arti, architettura e artigianato vengono a fondersi) e rappresentano esse stesse un esempio della mescolanza tra teoria e pratica che vi viene promossa: mentre i testi analizzano i temi, le immagini propongono esempi concreti di come affrontarli. Ma il foglione testimonia, anche, una fase di rinnovamento della scuola: dopo anni in cui aveva guardato con un certo scetticismo all'industrializzazione, di recente aveva iniziato ad aprirsi alle nuove possibilità tecniche, e addirittura Gropius aveva iniziato a commercializzarne gli oggetti ideati negli atelier nella speranza di ricavarne introiti, come ben traspare dall'enfasi con cui i prodotti Bauhaus si affacciano nella pubblicazione.

Nei numeri seguenti (ne usciranno in totale 14), la rivista rispecchia le trasformazioni e le tensioni interne alla scuola: cambia formato alla vigilia della partenza di Gropius, ampliandosi e assumendo un'impaginazione più regolare e calma; e quando, nel 1928, la direzione della scuola passa allo svizzero Hannes Meyer, questi ne usa le pagine per sottolineare la diversità del proprio approccio formativo. Per la prima volta, la copertina non è dedicata ai prodotti dell'istituto ma ai “produttori”: eccovi i volti dei docenti (sul numero 2/3 del 1928) e degli studenti (anzi, delle studentesse, sul numero 4 del 1928), protagonisti anche di interviste sul loro percorso formativo. 

Se dunque Gropius concepiva la rivista innanzitutto come uno strumento per parlare a acquirenti e sostenitori, Meyer si rivolge ai potenziali discepoli; parallelamente prende di mira il predecessore, a suo parere troppo attento all'estetica e alla commercializzazione dei prodotti Bauhaus, dichiarando che «costruire è solo organizzazione: organizzazione sociale, tecnica, economica, psichica». L'interesse per la società si lega alla simpatia di Meyer per il marxismo, che, se lo porterà a conquistare numerosi studenti, finirà per costargli l'incarico.

Con l'arrivo di Mies van der Rohe alla direzione del Bauhaus, nell'estate 1930, la rivista per un po' scompare; riappare nel 1931, nella veste più modesta mai indossata (persino secondo i dettami del «less is more»…): sole quattro pagine di piccolo formato, il gioco tipografico ridotto ai minimi termini. La cura è affidata a un generico «bauhaus dessau», forse perché Mies van der Rohe, nel caos di una successione che lo vede impegnato a imporre la propria autorità sugli studenti, preferisce mantenere le distanze. Con lui, la dimensione sociale della scuola scompare, mentre al centro del programma torna la formazione artigianale, tecnica e artistica, cui si accompagna però un ridimensionamento delle attività in atelier: ora il fine è innanzitutto creare degli architetti e dar loro gli strumenti per seguire il processo costruttivo in tutti gli aspetti, dalle fondamenta alle tappezzerie.

La rivista testimonia parzialmente di questa nuova direzione con i suoi due ultimi numeri, dedicati al tessile nel Bauhaus e al congedo da Paul Klee, che lascia la scuola. Le pubblicazioni si concludono nel dicembre 1931. Da allora, il Bauhaus attraverserà i suoi ultimi anni tra le crescenti ingerenze dei nazionalsocialisti, che portano alla chiusura della sede di Dessau e al tentativo di riaprirla a Berlino, seguito poi dalla decisione, presa dal corpo docente all'unanimità nel 1933, di chiudere – il regime aveva iniziato a ventilare, tra le altre cose, la necessità di un'“arianizzazione” degli insegnanti. Da allora inizia la diaspora dei maestri del Bauhaus, che porterà le loro visioni nel mondo. Sfogliando la rivista, troviamo tracce di un peculiare momento che li aveva raccolti sotto uno stesso tetto (piano): implicito riconoscimento di un'unità di intenti al di là di prospettive, concezioni e convinzioni talvolta opposte.

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