Sca­ra­boc­chi?

Data di pubblicazione
13-11-2023

Gribouillage / Scarabocchio. De Léonard de Vinci à Cy Twombly è il titolo di una interessante mostra che si è tenuta nella primavera dello scorso anno a Villa Medici a Roma. Vi erano esposte le caricature che i grandi maestri del rinascimento disegnavano sui muri delle botteghe, sul verso delle loro opere, sulle lettere che ricevevano o spedivano: una carrellata di esempi molto vari , dalle sinopie di metà Cinquecento fino alla fotografia di Giacometti che in equilibrio incerto su una scala posa una cornice vuota attorno a uno scarabocchio sul muro del suo atelier parigino.1 In uno dei testi del catalogo gli scarabocchi di Michelangelo sono definiti «un univers de signes marginaux (…) un remède à l’ennui, un désir de digresser, un geste d’impatience et de hâte et, évidemment, un signe de perplexité, d’incertitude et de doute».2 Questa spiegazione può gettare un ponte verso l’interpretazione dei disegni di Carloni che abbiamo ritrovato alla fine del lavoro di catalogazione: qualche mappetta, un paio di scatole e alcuni fogli sparsi, senza intestazione, senza data, senza titolo. Succede sempre, anche negli archivi più meticolosamente ordinati di trovare carte difficili da identificare. Ma nel caso del fondo Carloni c’è stata una sorpresa: una scatola piena di piccoli disegni senza alcun riferimento evidente a progetti, senza uno scopo preciso, fatti mentre la mente è occupata in altri pensieri. Scarabocchi dunque, benché curati nella forma.

I disegni di Carloni – e qui ci interessano quelli a tema architettonico – sono in molti casi tracciati su fogli quadrettati a margine di appunti di riunioni: del Partito Socialista Autonomo, dell’EAUG.3 Alcuni sono tracciati su buste, altri su volantini o su inviti a riunioni sindacali. Rispondono dunque alla definizione di un certo automatismo, sicuramente un remède à l’ennui, fatti mentre si ascoltano gli altri, magari mentre si prepara un intervento per il quale si annotano brevemente alcune parole….

Ma quel che stupisce è che, con la mente altrove, Carloni ci mostra una sorta di mondo interiore, disegnando architetture stupefacenti, non le sue architetture: giuste e attente al contesto, sia nei materiali che nelle forme. Con piccoli disegni a matita o più volentieri a penna a sfera dove i colori rosso e nero sono dominanti, immagina edifici con impossibili compenetrazioni di volumi che ricordano alcune scenografie di Blade Runner, castelli di fate issati su speroni di montagna, oppure una sovrapposizione di immagini realistiche – il campanile, la cupola, l’abitazione contadina – con volumi misteriosi che ricordano certe tavole di viaggio di Aldo Rossi,4 oppure giochi con lettere a tre dimensioni mescolati a elementi dell’architettura antica. Insomma davvero «fragments flottants du matériau souterrain qui travaille l’imaginaire».5

Per Carloni il disegno era una forma di espressione e di comunicazione essenziale: in queste stesse pagine ne ha già parlato Angela Riverso Ortelli a proposito delle sue cartoline di auguri6 e possiamo ricordare, ad esempio, le illustrazioni per il testo di Plinio Martini Storia di un camoscio.7 Nella sua attività di architetto elaborò centinaia di prospettive: spesso anche una semplice richiesta da parte di un committente del calcolo delle superfici costruibili in un terreno dava origine a uno schizzo prospettico sui volumi che vi potevano sorgere, prima ancora di qualsiasi abbozzo di progetto. E poi, solitamente su piccoli fogli, disegnava fiori, paesaggi, animali, ritratti buttati giù con un solo tratto di penna, caricature, composizioni astratte. E talvolta la testa di un bambino o un pesciolino compaiono nel bel mezzo di schizzi progettuali.

Ma le sue architetture fantastiche non si trovano mescolate con le tavole relative alla progettazione. Sono un altrove, dove l’immaginazione è completamente libera. E altrove sono state da lui conservate, in una scatola a parte. Uno solo di questi foglietti ha una data e un luogo: Ge 1976. Ma spesso anche quelli tracciati a margine o sul retro degli appunti di riunioni possono essere più o meno datati e ci dicono che sono carte degli anni Settanta e Ottanta. Carloni le ha conservate per più di trent’anni, fino alla sua morte nel 2012. Cosa rappresentavano per lui? Non lo sappiamo, ma erano importanti.

Note

 

1 Gribouillage / Scarabocchio. De Léonard de Vinci à Cy Twombly, Beaux-Arts de Paris édition, Paris 2022, p. 43.

 

2 Mauro Mussolin, Michel -Ange, Gaucheries sur papier, in Gribouillage / Scarabocchio. De Léonard de Vinci à Cy Twombly, Beaux-Arts de Paris édition, Paris 2022, p. 59.

 

3 Ecole d’architecture de Genève dove Carloni insegnò dal 1968 al 1982.

 

4 Stefano Fera, Aldo Rossi: rielaborazioni, in «Lotus», 1991, n. 68, pp. 112-121. I disegni di Carloni sono diversissimi per tecnica e immagine ma li ricordano per la composizione degli elementi.

 

5 Francesca Alberti, Diane H.Bodart, A’ l’ombre de l’atelier, in Gribouillage / Scarabocchio. De Léonard de Vinci à Cy Twombly, Beaux-Arts de Paris édition, Paris 2022, p. 29.

 

6 Angela Riverso Ortelli, Il disegno dell’architetto, in «Archi», 2012, n. 6, p. 69.

 

7 Plinio Martini, Storia di un camoscio, Associazione degli amici dei camosci del Monte Generoso, Rovio 2008.

Articoli correlati