Ri­par­ti­re dal­la scuo­la

Lo spazio sconfinato della formazione

«Dal dopoguerra in poi, par lecito affermare, l'edilizia scolastica ha costituito la grande palestra dove si è formata, esercitata e confrontata l'architettura svizzera, in quei tornei che sono i concorsi d'architettura; dove, tra primi premi, mandato d'esecuzione, classifiche, segnalazioni, si venivano definendo carriere e filiere, famiglie e cani sciolti in quel grande agone che rappresenta la professione d'architetto». – Bruno Reichlin, 2008

Data di pubblicazione
21-04-2022

In un paese in cui il concetto di istruzione pubblica e gratuita compare per la prima volta nella Costituzione federale del 1874, soffermarsi sull'attuale architettura scolastica in Ticino implica ineludibilmente accennare al suo ricchissimo background nella cultura architettonica elvetica ed europea del XX secolo.

Basti ricordare l'individuazione negli anni Venti di scuola e residenza come elementi fondanti dei nuovi rapporti urbani promossi dall'urbanistica moderna tramite le «unità di quartiere», oppure rievocare le caratteristiche della «scuola all'aperto» diffuse da Alfred Roth dalle pagine di «Werk». Ma sono soprattutto i casi esemplari del legame tra modelli didattici, dispositivi spaziali e soluzioni costruttive, illustrati nelle diverse edizioni del suo Das neue Schulhaus (1950), a fare scuola. Intriso di teorie pedagogiche innovative e  istanze igieniste e sociali in sintonia con i postulati del Neues Bauen, il volume diventa un vero e proprio «manuale» a disposizione dei progettisti. Questa tradizione del moderno viene rielaborata nei decenni successivi dall'architettura scolastica ticinese attraverso realizzazioni come il ginnasio cantonale di Schnebli (1959-1964) e la scuola elementare ai Saleggi (1970-1979) di Vacchini, entrambe a Locarno, le scuole di Galfetti, Ruchat e Trümpy a Viganello (1965-1971) e Riva San Vitale (1961-1974), la scuola media di Losone (1972-1974) di Vacchini e Galfetti o quella di Botta a Morbio Inferiore (1972-1977), solo per citare alcuni degli episodi più noti anche all'estero. Progetti che si concretizzano grazie al processo di democratizzazione dell'insegnamento avviatosi dopo il Sessantotto, in cui l'enfasi sulla dimensione collettiva e la valenza urbana del progetto si affermano come comune denominatore di un vasto programma di rinnovamento dell'architettura scolastica cantonale, i cui esiti travalicano il ristretto ambito locale.

Sono questi dunque alcuni dei passaggi significativi di un dibattito analizzato da un'ampia bibliografia specializzata che ha interessato l'edilizia scolastica elvetica del secolo scorso e, proprio in questo settore – come rileva Matteo Iannello nel suo saggio – l'architettura ticinese ha avuto un ruolo rilevante. Non a caso, la diffusa pratica del concorso offriva allora a un'intera generazione di giovani architetti, consapevoli dell'impegno etico-sociale del proprio mestiere, la possibilità di migliorare la qualità dell'insegnamento sperimentando una notevole varietà di ipotesi e soluzioni in un campo di chiara vocazione interdisciplinare.

Alla luce di queste succinte osservazioni, oggi più che mai l'argomento esige un'attenta riflessione sul compito che la  scuola – e la sua configurazione architettonica – può o potrebbe assumere in questioni cruciali come il contrasto ai meccanismi dell'esclusione sociale, così come nel favorire le pari opportunità nella costruzione di una città democratica, vigile nell'agevolare i rapporti tra la struttura urbana e la definizione spaziale di quel luogo formativo in cui evolve la società contemporanea. Come sottolinea Francesca Belloni: «Se a partire da tali premesse si guarda alla recente edilizia scolastica del Ticino, l'aspirazione democratica che ha mosso le migliori esperienze novecentesche passa nuovamente attraverso i progetti e si sostanzia nelle opere costruite. [...] Pur in condizioni mutate e con vincoli tecnici sempre più stringenti, i numerosi concorsi indetti negli ultimi anni dimostrano come la risposta collettiva al problema della scuola [...] vada ricercata nella pratica della costruzione e ancor prima in quella del concorso. È qui, in questo spazio interstiziale, che il progetto di architettura può agire (e agisce) in termini concreti e al contempo ideali».

Il recente aggiornamento delle linee guida cantonali apre inoltre una nuova fase per l'edilizia scolastica ticinese e suscita degli interrogativi tra gli addetti ai lavori: quale il progetto politico-culturale che sta alla base di questa radicale revisione degli «ambienti di apprendimento»? Vi è stato un cambio di paradigma nei criteri di selezione dei modelli internazionali da cui parte lo studio? Quali le articolazioni di questi riferimenti con gli attuali parametri economici, sociali e ambientali della Svizzera italiana? Quanto le normative di efficienza energetica condizionano l'approccio progettuale? L'intervista ai rappresentanti della Logistica Cantonale e le opportune divagazioni di Paolo Canevascini esplorano anche questi aspetti, evidenziando limiti e possibilità delle nuove direttive. Infine le opere presentate da Archi in questo numero si inseriscono in diversi contesti del territorio cantonale riconoscendo e qualificando le potenzialità insediative esistenti, spesso rivalorizzando i rapporti urbani e paesaggistici. Sono quindi una prima raccolta di diversi tipi di interventi in ambito scolastico e formativo – pubblici e privati – che testimoniano l'avvio di una nuova e promettente stagione, certamente ancora tutta da verificare ma piena di aspettative sui futuri sviluppi.

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