Quel­la geo­gra­fia eva­ne­scen­te che di­se­gna il ter­ri­to­rio

Data di pubblicazione
15-02-2022

Le acque e la gestione del territorio

La relazione tra corsi d’acqua, le loro rive e il territorio è intensa, e non solo in quanto questi sono tra i maggiori elementi che modellano il paesaggio, ma pure perché essi creano le condizioni che rendono abitabile la terra. Oltre allo scorrere naturale delle acque e alle trasformazioni geomorfologiche da loro portate, anche le strutture edificate per governare i flussi idrici hanno lasciato profonde tracce sul territorio: indigamenti, canali, argini, bonifiche ecc. Naturalmente tutto ciò ha coinvolto la prassi pianificatoria. Su questo tema, la scheda P6 del Piano Direttore del Cantone Ticino, in un paragrafo dedicato alla Gestione integrata dei corsi d’acqua e dei laghi, ci ricorda che questi «sono ecosistemi complessi, fondamentali per preservare la biodiversità e garantire l’interconnessione fra habitat.

Sono elementi paesaggistici unici che rappresentano un’attrattiva turistica e ricreativa, possono ridurre gli effetti delle alluvioni e contribuiscono alla ricarica degli acquiferi. È quindi necessario: a. promuovere la gestione integrata (...); b. conciliare meglio utilizzazione e protezione in modo che i corsi d’acqua e i laghi possano assolvere le proprie naturali funzioni idrauliche ed ecologiche; c. assicurare spazio sufficiente ai corsi d’acqua (…); d. assicurare una buona qualità delle acque di superficie».1 Questo passaggio contiene spunti interessanti e avremo modo di riprenderne alcuni, prima però facciamo un passo indietro cercando di collocare la questione in una prospettiva più ampia.

Se la pianificazione territoriale ha sempre dovuto interagire con le acque – anzi, probabilmente alle sue origini troviamo proprio la loro gestione – è comunque vero che, in funzione dei paradigmi che si sono succeduti e che hanno guidato l’azione dei pianificatori e degli ingegneri, si sono presentate soluzioni diverse. Per molto tempo, dalle rive ci si teneva lontani. Infatti, dalla natura e dalle acque occorreva difendersi. In quanto sottomesse a piene e inondazioni, e quindi non sempre fruibili (potevano servire quali pascoli temporanei), le rive dei corsi d’acqua erano dunque viste come luoghi pericolosi ai margini degli insediamenti. Con la modernità, qualificatasi per il suo razionalismo fondato sul primato tecnico-scientifico, l’ambiente verrà percepito come ambito di dominio. Applicato al governo delle acque, il riduzionismo positivista, con il quale il territorio era visto come una macchina banale da controllare e governare,2 ha portato con sé la domesticazione della natura. In ambito idrico questa si è soprattutto manifestata attraverso la correzione e la rettificazione dei corsi d’acqua e l’imbonimento delle zone umide. Una nuova fruibilità e nuovi usi delle terre situate in prossimità dei fiumi e dei riali ha così reso disponibili nuovi spazi per lo sviluppo delle attività e degli insediamenti. D’altro canto, il termine correzione è sufficientemente espressivo e ben restituisce la visione della natura che reggeva questa operazione: la rete idrica era vista come un oggetto da normalizzare le cui dinamiche dovevano essere perfettamente controllabili.

Acque e città

La questione può essere inizialmente letta mettendo l’accento sulla relazione tra acque e città. Infatti, i rapporti tra i fiume e gli insediamenti sono sempre stati molto stretti. Molti centri si sono sviluppati partendo da siti fluviali o lacustri ritenuti favorevoli per svolgere funzioni quali circolazione, difesa, attività industriali, produzione di energia ecc. Sovente, anche per la possibilità di utilizzare l’energia idrica avvalendosi di mulini galleggianti, le rive del fiume diventeranno luoghi in cui collocare attività artigianali e manifatturiere, a volte anche molto inquinanti (come quelle della lavorazione del pellame) che non potevano essere ospitate altrove. In momenti più recenti, nel corso del secolo XIX, alcune città che si stavano lanciando sulla via dello sviluppo turistico avevano iniziato a sistemare le loro rive sulla base di modelli urbanistici che mettevano in scena il paesaggio ma che, di fatto, originavano un certo distanziamento dalle acque. Si possono vedere i risultati anche in numerosi centri svizzeri: a Ginevra, Lucerna, Zugo o Lugano, per esempio.

Più avanti, sul finire del secolo scorso e agli inizi del nuovo, ciò giustificherà una serie di interventi con l’intento di rendere maggiormente fruibili le rive dei fiumi e dei laghi, soprattutto per le attività di svago. Tra questi possiamo ricordare le rive della Limmat o quelle del Canale di Letten a Zurigo, dell’Aare a Berna, del Rodano a Ginevra e a Sion, o ancora il parco fluviale dell’Île de la Suze a Bienne. In Ticino i risultati del recente mandato di studio parallelo «Lungolago Lugano e Centro»3 hanno – tra l’altro – evidenziato interessanti soluzioni progettuali per dare origine a un rinnovato incontro con le acque. Ma ricordiamo anche la riqualificazione del fiume Cassarate ancora in corso, partendo dal progetto seminativo della Foce seguito poi dalla creazione del Parco fluviale alla Stampa, quelli sul fiume Ticino, a partire dal progetto Delta Vivo, la riqualificazione ambientale della foce del Ticino nella riserva naturale delle bolle di Magadino fino al più recente Parco fluviale Saleggi-Boschetti a Bellinzona, senza dimenticare la riscoperta del riale Laveggio avvenuta in occasione dell’allestimento del masterplan di Mendrisio, non per nulla definita nel progetto come una città in riva al fiume.4

Il nuovo interesse per i fronti d’acqua urbani, nato nei paesi anglosassoni in un contesto post-fordista e di deindustrializzazione, ha comportato una riconquista delle rive (ora denominate con il termine waterfront), e si è imposto come forma di riterritorializzazione delle aree marginali o industriali dismesse. Consumo, tempo libero e cultura sono divenuti i principali produttori di questi nuovi spazi urbani, accompagnati da un vero culto per l’acqua (trascorrere il tempo libero, abitare o lavorare in prossimità di un fiume riveste una rilevanza particolare). Molti quartieri situati vicino alle rive hanno acquisito nuovi caratteri e la città, messa in scena permanentemente, è diventata ludica e festiva. Infatti, il passaggio verso la città postindustriale ha comportato un lavoro importante sul paesaggio urbano. Le nuove aree sono state disegnate da una estetica che, occorre dirlo, è sovente assimilabile a una visione di marketing urbano e da una particolare attenzione per la rendita fondiaria (con i conseguenti conflitti sociali che hanno contrapposto vecchi abitanti e nuovi usi). Al modello di Baltimora si sono aggiunti gli interventi nei Docklands a Londra, Hafencity ad Amburgo, Lyon confluence e il quai de la Garonne Bordeaux in Francia, la riqualificazione delle rive del Tago nel quartiere Oriente di Lisbona. Gli esempi che potremmo portare sono numerosi.

Dinamiche idriche

Il territorio della Svizzera è disegnato dalle acque. Convogliati dalla gravità, i numerosi rivoli che scendono dai versanti montani confluiscono nei corsi principali dei fiumi. Attraverso un intenso lavorio che avviene nel tratto superiore caratterizzato dalla forte pendenza, essi scavano profonde valli, poi, più avanti nel loro percorso, incontrando le aree pianeggianti e perdendo parte della forza, depositano i loro sedimenti sul fondovalle e iniziano a divagare generando le pianure alluvionali. Con cicli governati da momenti di portata differente, i fiumi respirano, occupano non solo il loro letto minore ma pure gli spazi adiacenti, a volte creando grandi aree umide e paludose. Queste dinamiche, lette alla grande scala, hanno creato un articolato sistema di bacini idrografici definendo il sistema vascolare del territorio e la sua ecologia.

Nel corso del tempo, per motivi di sicurezza e per motivi economici, sono stati realizzati interventi di grande portata sui letti dei fiumi e sulle loro rive. Significative operazioni di bonifica, opere di correzione e di risanamento, interventi di modificazione territoriale hanno sovente messo a disposizione nuovi spazi per l’agricoltura. Tra i più significativi esempi potremmo evocare i grandi progetti dell'Ottocento come la correzione del Rodano, da Briga sino al Lemano, l’imponente sistemazione dello Seeland tra i laghi di Neuchâtel, di Bienne e di Morat, che ha messo a disposizione importanti spazi agricoli ai piedi del Giura, la correzione della Linth glaronese in prossimità del lago di Walenstadt, o ancora la bonifica del Piano di Magadino.5 In questo caso i lavori iniziarono nel 1888 con le opere di arginatura che permisero anche la costruzione della linea ferroviaria Bellinzona-Locarno. La bonifica fu praticamente terminata nel corso della seconda guerra mondiale: si trattò di una significativa opera a scala territoriale che contribuì a modernizzare il Cantone e la sua agricoltura.6

Oggi, un cambiamento di visione e un ripensamento ha portato con sé un rinnovato interesse e nuove forme di intervento: da una parte il passaggio da una natura considerata come minacciosa a una natura ritenuta minacciata, dall’altra la presa in considerazione della complessità dei sistemi ambientali e territoriali che ha messo in discussione i paradigmi interpretativi in vigore e ha posto in risalto l’importanza delle reti di connessione. Sostanzialmente l’idea di natura è cambiata: se il pensiero occidentale moderno è stato permeato da una rappresentazione del mondo naturale considerato come esteriorità e alterità irriducibile all’uomo – ciò che l’antropologo Philippe Descola ha qualificato con il concetto di naturalismo7 – una nuova visione ha scardinato il dualismo esistente tra natura e cultura, tra selvaggio e domestico. Ciò che ora è in gioco è, prima di tutto, la cornice concettuale all’interno della quale le relazioni tra umani e non umani vengono pensate e connotate.8 I nuovi paradigmi e la sensibilità ambientale hanno permesso di capire che interventi pesanti sulle dinamiche dei flussi d’acqua portavano con sé anche significativi scompensi agli equilibri ecologici. È quindi apparsa l’idea di rinaturalizzazione, termine tutto sommato ambiguo in quanto sembra proporre il ritorno a uno stato di natura originario, quando invece si tratta piuttosto di una condizione in cui natura e cultura sono ibridate (una condizione ben rappresentata dal concetto di Antropocene introdotto negli anni Ottanta del secolo scorso da Stoermer e poi diffuso più avanti da Crutzen).

Comunque, ora si è propensi a ritenere che le acque appartengono a un territorio considerato come macchina non banale e che quindi non risponde solo alle leggi del funzionalismo positivista ma che viene finalmente considerato nella sua complessità. In questo ambito, come poi vedremo, il progetto territorialista intende promuovere la rigenerazione dei sistemi ambientali considerando le qualità dei sistemi naturali che si estendono su vasti spazi interconnessi (reti idrografiche e ecologiche) e si fonda su una analitica in grado di riconoscere la grande complessità della realtà e delle identità ecosistemiche e paesaggistiche.

Dalla regione naturale alla bioregione urbana

Cambiamo ora scala e spostiamoci dalla dimensione urbana a quella territoriale. La teoria e la prassi della pianificazione si è confrontata, sin dai suoi primi momenti, con la forza dei fiumi. Senza evocare la civiltà delle alluvioni dei primordi della storia,9 limitiamoci a considerare gli interventi moderni. Nel 1752 il primo geografo del re di Francia, Philippe Buache, aveva suddiviso il territorio nazionale in aree determinate dall’estensione dei bacini fluviali, introducendo la nozione di «regione naturale». Questo concetto merita di essere considerato perché continua ad esercitare la sua influenza sulla regionalizzazione e sul modo di concepire alcuni interventi sul territorio, per esempio attraverso i piani di bacino.

Considerando la figura di regione naturale si riteneva che il fiume e il suo bacino condizionassero fortemente le forme di insediamento, di agricoltura e di allevamento. Ma il controllo delle acque è certamente uno degli elementi che ha dato origine alla moderna pianificazione territoriale. Uno degli interventi più emblematici del Novecento è legato ai lavori della Tennesse Valley Authorithy, un vasto programma che è stato considerato come uno tra i primi modelli di pianificazione integrata. Oltre che produrre idroelettricità, i suoi obiettivi avevano l’intento di migliorare la navigabilità e gestire le piene del fiume Tennessee. Costituito da un sistema di una quarantina di dighe voluto dal presidente americano Roosevelt nel 1933 e legato al New Deal, in quanto opera pubblica aveva l’intento di rilanciare l’occupazione, i consumi e l’economia. La pianificazione di stampo moderno riproponeva il tema della relazione tra territorio e acque in cui troviamo la domesticazione della natura, che, in questo caso si presentava alla grandissima scala territoriale.

Da qualche tempo, le acque dei fiumi e il loro spazio di pertinenza sono nuovamente oggetto di attenzione nella pianificazione e la regione è ritornata ad essere ambito del progetto territoriale e urbanistico. Con le proposte dei ter­ritorialisti, il territorio viene interpretato come il risulta­to di una co-evoluzione e di una costruzione continua di neoecosistemi capace di produrre equilibri idraulici e idrologici, definisce luoghi e relazioni e il bacino diventa l’ambiente primario in cui realizzare l’equilibrio tra le risorse essenziali alla riproduzione della vita.10 Molti interventi sui paesaggi idrici hanno portato soluzioni virtuose. Non più la semplice e meccanica applicazione di un programma ma un più complesso percorso di riconoscimento della storia del territorio.

Non più di dominare ma piuttosto fare con. A Ginevra, la rinaturalizzazione della Plaine de l'Aire, nella quale scorreva un fiume parzialmente interrato, privato della sua biodiversità e con la presenza di forti rischi di allagamento per gli insediamenti situati in prossimità, ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Il progetto realizzato dal gruppo pluridisciplinare Superposition (Georges Descombes, il suo promotore, preferisce utilizzare il termine restauro al posto di rinaturalizzazione) permette alle acque di divagare senza negare gli interventi passati, anzi conservando le tracce dell’antico canale. Si tratta di un progetto che tende a negare la tradizionale opposizione tra natura e cultura. Un dispositivo costituito da una griglia di losanghe che ricorda gli interventi della Land Art, sovrapposto alle tracce degli antichi meandri, ha permesso alle acque del fiume di ritrovare il loro cammino generando così una complessa e indeterminata rete di percorsi.11

Oggi molti interventi idraulici, più che nel quadro della regione naturale (che, come abbiamo visto, rimanda a una visione di stampo deterministico della relazione natura-società), si inseriscono in quello della bioregione urbana. Per risalire alle origini di questa nozione potremmo evocare il pensiero del geografo libertario Elisée Reclus, autore di Storia del ruscello (1869), un racconto pensato con intenti divulgativi ma che, per la sua capacità di considerare il ruolo delle continuità ecologiche, può essere ritenuto come anticipatore di preoccupazioni che sarebbero emerse più avanti. Negli anni della sua pubblicazione questo scritto ebbe uno stuolo di lettori e oggi, riscoperto, suscita di nuovo interesse. Occorrerebbe ricordare anche la nozione di «sezione di valle» proposta da Patrick Geddes (1925). Il biologo e urbanista scozzese mostrava che gli insediamenti umani sono ancorati nelle realtà naturali e che, percorrendo il corso d’acqua dalla sorgente sino al mare, si poteva seguire l’evoluzione delle civilizzazioni. A ciò possiamo aggiungere le posizioni dei bioregionalisti americani della seconda metà del secolo scorso come Kirkpatrick Sale o Murray Bookchin che hanno attribuito a queste visioni una valenza più politica. La «bioregione urbana» cara ai territorialisti contemporanei non ha una dimensione predefinita e, a seconda delle specifiche condizioni insediative, ambientali e storiche, può essere costituita da un nodo orografico, da un sistema costiero con il suo entroterra o ancora da un sistema territoriale locale o distrettuale ma, soprattutto, assume l’estensione di un bacino idrografico.12

Conclusioni

Se presa seriamente in considerazione, la «geografia evanescente» dei corsi d’acqua, attraverso adeguati progetti, è capace di riattivare e dinamizzare tutti gli aspetti della relazione fra insediamento e ambiente. Finalmente, ricorda l’urbanista Alberto Magnaghi «una cultura idraulica innovativa dovrebbe affrontare in primis la riqualificazione dei sistemi fluviali con progetti che sviluppino la qualità idro-geo-morfologica, ecologia, paesaggistica dei bacini idrografici», così «la riorganizzazione delle regioni geografiche come insieme di bioregioni urbane dovrebbe costituire il processo progettuale e pianificatorio che attiva operativamente la trasformazione eco-territorialista».13 In conclusione, possiamo ribadire che le reti blu (così come quelle verdi) devono essere considerate come vere e proprie strutture ambientali capaci di creare connessioni, di innervare il territorio svolgendo un ruolo strutturante non meno importante rispetto a quello che tradizionalmente assegniamo alle reti dei trasporti, delle comunicazioni o dell’energia.14 A tutti gli effetti costituiscono una matrice dalla quale partire per pensare le nuove forme dello spazio e per attivare progetti di territorio virtuosi.

Note
1Repubblica e Cantone Ticino, Consiglio di Stato, Piano Direttore cantonale, Scheda P6 (Acqua), versione 1.9.2016, online, consultato 10.10.2021

 

2. Il territorio è una macchina banale quando, di fronte a uno stesso stimolo, reagisce sempre nello stesso modo, producendo così la medesima risposta.

 

3 Città di Lugano, Spazi urbani, Masterplan per il comparto del lungolago e del centro città. Lugano 06.21, 2021.

 

4 Atelier Descombes Rampini LRS architectes, Una città in riva al fiume, «Archi», 2018,  n. 6, pp. 40-49 (Il modello pianificatorio della nuova Mendrisio). Non è la prima volta che Archi si occupa del tema, per esempio il numero 1/2011 era dedicato a «Il fiume e la città».

 

5 Raffaello Ceschi, Nel labirinto delle valli, Edizioni Casagrande, Bellinzona 1999.

 

6Daniel Speich Chassé, La correction de la nature, in L. Mathieu, N. Backhaus , K. Hürlimann, M. Bürgi (a cura di), Histoire du paysage en Suisse, Livreo-Alphil, Neuchâtel 2018, pp. 205-220; Daniel Vischer, Correzione dei corsi d’acqua, Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 11.12.2006. Online, consultato 10.10.2021.

 

7 Philippe Descola, Par-delà nature et culture, Editions Gallimard, Paris 2005.

 

8 Jean-Marc Besse, La nécessité du paysage, Editions Parenthèses, Marseille 2018, p. 14.

 

9 Giuliano Cannata, I fiumi della terra e del tempo, Franco Angeli, Milano 1990.

 

10 Alberto Magnaghi, Il principio territoriale, Bollati-Boringhieri, Torino 2020.

 

11 L’illustrazione di alcuni casi interessanti a livello nazionale è riportata in «Anthos», 2017, n. 4, (Hochwasserschutz/La protection contre les crues).

 

12 Ibidem, p. 151.

 

13 Ibidem, p. 155 e p. 154.

 

14 Roberto Gambino, Trame di paesaggi, in Le frontiere della geografia, UTET, Torino 2009, pp. 227-243, p. 241.

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