Quattro caratteri dell’architettura svizzera al tempo dell’Antropocene
Figurazione, Intersezione, Instabilità, Relazione
Identità e costruzione
In uno studio sull’architettura svizzera1 pubblicato in Italia più di quindici anni fa, si riconoscevano quattro caratteristiche ricorrenti nelle ricerche dei progettisti elvetici più significativi: la relazione con il Movimento Moderno, il rapporto con la Natura, il tema della ricerca paziente e la centralità della costruzione. Queste qualità condivise, aggregandosi di volta in volta in modo eterogeneo, permettevano di leggere in filigrana un carattere identitario dell’architettura d’oltralpe.
A distanza di sette anni da questo primo lavoro editoriale, si decise di concentrare gli sforzi analitici successivi unicamente sul rapporto con la Natura, focalizzando l’attenzione su cinque piccoli manufatti situati tra il Cantone Ticino e il Cantone Grigioni.2 In quel contesto ci si riferiva a un’idea di Natura di tipo romantico, un approccio olistico al tema dell’ecologismo vicino alle idee di James Lovelock e alla sua celebre teoria su «Gaia»,3 il pianeta Terra visto come organismo vivente intelligente.
Oggi, a distanza di circa vent’anni dall’inizio di questo itinerario di ricerca, lo scenario è completamente mutato: la «Grande accelerazione» impressa dal cambiamento climatico ha determinato una condizione di crisi permanente caratterizzata dalla molteplicità e dalla trasversalità delle emergenze (pandemie, guerre, migrazioni di massa ecc.). Queste ultime sanciscono la fine della comunione ideale tra sapiens e loro habitat naturale e certificano l’avvento dell’«Antropocene»,4 l’epoca storica del nostro pianeta durante la quale l’attività umana è diventata dominante su clima, ambiente, geologia e ecosistemi.
Cambio di paradigma
Stando così le cose è evidente che anche l’architettura svizzera sta affrontando, volente o nolente, un cambiamento di paradigma. Per capirne l’entità ripartiremo proprio dalle quattro caratteristiche messe precedentemente in luce, cercando di comprendere in che misura queste siano entrate in risonanza con gli scenari attuali.
In primo luogo, a vacillare è la fiducia nei precetti elaborati dagli architetti del Movimento Moderno. I dati parlano chiaro: secondo il «Global Status Report 2018» della GlobalABC, la rete intergovernativa che all’interno del programma per l’ambiente delle Nazioni Unite si occupa di definire la road map per un’architettura a zero emissioni, gli edifici sono responsabili ogni anno di circa il 40% delle emissioni globali di CO2 (il 30% attraverso attività di cantiere e il restante 10% attraverso i materiali da costruzione in cui l’anidride carbonica è «trattenuta»). In particolare, sono tre i materiali responsabili del 23% delle emissioni globali: il cemento (11%), l’acciaio (10%) e l’alluminio (2%). Sia alla scala del manufatto che alla scala urbana, queste tecniche costruttive contraddistinguono l’approccio modernista, un paradigma disciplinare sempre meno sostenibile.
Alla luce del cambiamento climatico la nostra percezione della Natura è talmente cambiata che possiamo parlare a buona ragione della fine di un «regime scopico»5 consolidatosi nel tempo, cioè di un modo di vedere il mondo. Pensiamo ad esempio alla maniera in cui a partire dal XV secolo la pittura occidentale ha condizionato il nostro modo di osservare un paesaggio, disponendo da un lato lo spettatore e dall’altro una serie di oggetti nello spazio, collocati a una certa rassicurante distanza da esso. Nell’epoca del riscaldamento globale, come in un teatro spoglio, non ci sono più né fondali né prosceni: «Il mondo è un delicato effetto estetico dai confini che iniziamo a malapena a percepire».6
Anche la cruciale questione dell’accelerazione del cambiamento climatico, della velocità con cui l’ambiente nel suo complesso può raggiungere un punto di non ritorno, oltre il quale lo sfondo apparentemente immobile del nostro agire «si trasforma con una velocità che non può che avere conseguenze disastrose per gli esseri umani»,7 ha delle profonde ricadute sul processo di concezione e realizzazione dell’opera costruita. Sintetizzando in una battuta, potremmo dire che la ricerca paziente diventerà col tempo sempre meno paziente.
Infine, non possiamo non chiederci in che modo la crisi climatica stia minacciando la centralità della costruzione. Accenneremo in questa sede soltanto a due aspetti: nel primo caso, ci riferiamo alla sperimentazione sulle nuove tipologie di materiali in grado di abbattere i quantitativi di CO2 immessi in atmosfera; nel secondo, possiamo includere tutti i tentativi di rielaborazione morfotipologica dell’edificio tradizionale in chiave meno retorica e dogmatica. Questa condizione di coesistenza con il problema (ecologico, costruttivo, teorico ecc.) e con il limite, che caratterizza da sempre l’architettura svizzera, ci spinge a definire nuovi temi di ricerca e categorie di analisi che destrutturino il concetto di «identità» e favoriscano lo sviluppo di una visione più ibrida e multifocale.
Questo breve discorso trae ispirazione dalla molteplicità di esempi concreti che l’architettura elvetica sottopone alla nostra attenzione, diversi casi studio in cui possiamo riconoscere le tensioni che animano il panorama disciplinare contemporaneo. L’obiettivo è elaborare una risposta affermativa, perché «non ci sono motivi per cedere ai malinconici e metafisici proclami sulla fine del mondo. Abbiamo bisogno di progetti rivitalizzanti che esprimano narrazioni generative e non si crogiolino nella retorica della crisi».8
Quattro caratteri
L’analisi di alcuni esempi specifici, effettuata attraverso una ricognizione critica integrata dai risultati delle ultime ricerche condotte sul tema in oggetto,9 ha permesso di identificare quattro caratteri ricorrenti nell’architettura contemporanea in Svizzera: Figurazione, Intersezione, Instabilità, Relazione.
Per Figurazione si intende la capacità di risvegliare attraverso l’opera costruita il potere evocativo e simbolico della forma; in questo caso è l’immaginazione dell’osservatore a essere attivata attraverso figurazioni «che innescano il desiderio comune di mettere in atto alternative affermative e potenzianti».10 In sintesi, il manufatto vuole essere un’«opera aperta»11 capace di essere riassemblata in modo trasversale e, di volta in volta, attualizzato.
Con Intersezione siamo in un territorio compositivo specifico, in cui possiamo riconoscere tecniche di montaggio e costruzione tradizionale, reinterpretate in chiave contemporanea (come il grigionese Strickbau); ma questa qualità rimanda anche alla nostra necessità di mettere in atto un pensiero intersezionale tra categorie opposte (ecologia ed estetica per esempio). Pensiamo all’intersezione tra indagine filosofica fenomenologica del concetto di «spazialità» e la conformazione degli spazi contemporanei, centrale per il dialogo tra pensiero urbanistico e filosofico.
Instabilità esprime per le scienze umane una caratteristica del nostro presente, sempre provvisorio, precario e mutevole e rimanda allo stesso tempo a un concetto fisico specifico; siamo dunque in un ambito in cui il talento ingegneristico si riappropria del potere evocativo della creazione artistica. Accogliere e accompagnare l’instabilità attraverso il virtuosismo strutturale sarà dunque una qualità intrinseca del progetto del futuro, le cui modalità e tecniche sono attualmente in divenire.
Relazione ha a che vedere con il concetto di «parentela»,12 in architettura possiamo farvi corrispondere alcune particolari tipologie di edifici come i dispositivi riparatori degli habitat e i refugia, spazi di accoglienza e ospitalità per eccellenza; l’importanza strategica di questi ultimi è evidenziata da alcuni studi13 che fanno coincidere il punto di flesso tra Olocene e Antropocene con la loro distruzione. Viceversa, sarà a partire dalla ripopolazione e proliferazione dei rifugi (in grado di favorire assemblaggi di specie diverse) che potremmo far fronte all’impatto provocato da eventi imprevedibili e devastanti.
Cinque ricerche
La ristrutturazione di una casa rurale a Mosogno, progettata da Buchner Bründler Architekten tra il 2014 e il 2018, è un «refugia», uno spazio di Relazione in grado di rappresentare in modo efficace quanto sin qui evidenziato. Il potere evocativo dell’intervento di restauro e di innesto del nuovo è notevole, in esso coesistono due dimensioni temporali ma l’approccio scelto dagli autori diverge dalle consuete modalità compositive dell’Upgrade Architecture:14 Il nuovo è senza clamore, retrocede sullo sfondo, limitandosi a pochi elementi a basso impatto tecnologico. Il fabbricato principale (la casa estiva) è sormontato da una copertura in acciaio corrugato sorretta da un sistema di capriate, al centro dello spazio l’antico focolare in pietra sostenuto da una struttura in ferro. Al lato, un annesso di piccole dimensioni (la casa invernale), una camera da letto racchiusa come un nido di legno tra le scarne pareti in pietra del rudere. La capacità immaginifica di questa casa è tale da richiamare alla mente un intero universo letterario e cinematografico legato al tema della fuga dalla civiltà (da Walden ovvero Vita nei boschi di Henry D. Thoreau a Into the Wild di Sean Penn).
La ricerca di Leopold Banchini si muove trasversalmente ai quattro caratteri e attraverso il mondo, il che non costituisce una delaminazione della dimensione identitaria dell’autore, anzi si ritiene che aldilà dei luoghi in cui questo è chiamato a operare, sia riconoscibile una sensibilità peculiare dell’approccio elvetico ai temi del contemporaneo. «Moon Ra è una struttura vernacolare costruita per danzare intorno al fuoco», questo è l’incipit delle note di progetto per un padiglione temporaneo realizzato nel 2021 per l’Horst Festival di Vilvoorde in Belgio. Anche in questo caso siamo di fronte a un rifugio, una capanna fatta per intessere Relazioni, interamente costruita in legno (pezzi di recupero provenienti dal padiglione preesistente) con una struttura portante assemblata per Intersezione di travi a sezione quadrata, e un involucro esterno a tronco di cono sormontato da un elemento riflettente in grado di proiettare all’interno l’immagine della luna, una Figurazione potente che rimanda a una ritualità ancestrale e selvatica. In un’altra opera recente di Banchini, la fabbrica tessile Al Naseej a Bani Jamrah in Bahrain completata nel 2022, lo spazio di Relazione viene realizzato a partire dalla linea di terra, il progetto scaturisce anche qui da un gesto, da una Figurazione (i tessitori locali sono soliti scavare una buca nel terreno per adattarvi le gambe) un carattere che determina anche la scelta di adottare, per il trattamento di copertura e dei prospetti, il sistema vernacolare in foglie di palma «Arish», in grado di evocare l’Intersezione della trama del tessuto tradizionale.
Nell’opera dell’ingegnere Jürg Conzett la Natura non ha nulla di romantico, essa è una struttura complessa di forze convergenti che l’architettura deve domare, e il ponte (archetipo e simbolo del superamento del limite fisico e psicologico) è la Figurazione di una ricerca, esprime in termini formali l’equilibrio conseguito sull’Instabilità causata dall’azione congiunta di più vettori (il peso, il vento, la luce, ecc.). Il nitore dell’intuizione che Conzett di volta in volta ottiene nel risolvere temi difficili, lo porta a mettere in scena la complessità senza edonismo. Pensiamo ai ponti lungo il tracciato dell’antica Via Traversina (con Bronzini e Gartmann), un omaggio alle tradizioni costruttive del territorio grigionese: il primo è realizzato in legno (1996) ed è formato dall’Intersezione di due sistemi, la struttura inferiore (una trave reticolare a tre corde e due cavi parabolici) e la superiore progettata per stabilizzare la prima (in travi di irrigidimento composte da tripli pannelli multistrato e una trave orizzontale in legno); il Pùnt da Suransuns (1999) utilizza la pietra come materiale di base per generare una struttura precompressa in cui la Relazione tra gli elementi è determinante: un ponte a nastro teso, con impalcato rigido in lastre di granito verde di Andeer posate sopra un fascio di barre di acciaio a sezione rettangolare, genera dall’Instabilità apparente della configurazione complessiva un sistema stabile come una trave monolitica.
Nel padiglione del Bahrain realizzato da Christian Kerez per EXPO 2020, la Figurazione del nido, già utilizzata nel 2008 da Herzog & de Meuron per il National Stadium di Beijing, definisce uno spazio di Relazione espressionista accogliente e protettivo; si ritiene, in tal senso, che la matrice compositiva di questi lavori siano le ricerche strutturali di Konrad Wachsmann,15 in particolar modo sul ruolo essenziale ricoperto dalla struttura portante e dal suo elemento minimo essenziale: il nodo. Per esempio, all’interno del padiglione di Dubai il motivo primario dell’Intersezione tra le colonne è determinante, queste si incontrano ripetutamente nello spazio e quando lo fanno vengono appunto saldate insieme. Ciò riduce drasticamente la loro Instabilità e lunghezza rispetto alle dimensioni effettive dello spazio, il che significa che tutte le frontiere esterne sono sostenute e irrigidite esclusivamente da profili in acciaio di diametro di 11 cm. Anche nel complesso scolastico che Kerez realizza a Leutschenbach nel 2009 si ritrova la stessa abilità di coniugare tema strutturale e compositivo, dimostrando che l’architettura di qualità scaturisce solo da questa reciprocità. L’iconografia e la solidità del «palazzo» rinascimentale qui coesistono con l’enigmatica Instabilità della struttura reticolare dell’involucro esterno.
Infine, possiamo considerare Philippe Rahm, se non il primo, sicuramente tra i primi architetti ad avere intuito all’inizio del secondo millennio che la crisi ambientale alle porte avrebbe ridefinito i limiti del pensiero e della prassi progettuale a venire. È infatti del 2002 l’installazione Hormonorium realizzata da Rahm negli spazi del Padiglione Svizzero all’ottava Biennale di Architettura di Venezia, un’opera che nelle sue intenzioni intende riflettere sull’Instabilità, attraverso la visualizzazione di dati climatici mutevoli, e sulla dissoluzione delle frontiere tra gli organismi viventi (umani e non umani) come modus operandi per generare nuovi spazi di Intersezione tra di essi. Nel 2008 il progetto di una casa privata a Mergoscia in Ticino si articola intorno alla creazione di un corpo cavo innestato nella preesistenza, la cui epidermide permette (attraverso uno strato composito di materiali isolanti) la creazione di un nuovo luogo della Relazione di tipo adattivo.
Note
1. C. Prati, Itinerario svizzero, «l’industria delle costruzioni», 2005, n.385.
2. C. Prati, Cinque architetture svizzere. Progetto, inconscio, natura, Libria, Melfi 2016.
3. J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2021 (ed. orig. 1979).
4. Il termine «Antropocene» fu utilizzato per la prima volta nel 2002 dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen. Sebbene oggi di uso comune, questa classificazione geologica non è stata ancora ufficialmente approvata né dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia né dall’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche.
5. B. Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi, Milano 2020, p. 40.
6. T. Morton, Iperoggetti, Nero Edizioni, Roma 2018, p. 131.
7. D. Chakrabarty, Clima, Storia e Capitale, Nottetempo, Milano 2021, p. 63.
8. R. Braidotti, Il postumano. Saperi e soggettività, Derive e Approdi, Roma 2022, vol.II, p. 81.
9. Per approfondire: C. Prati, Architettura oltre la fine del mondo, Lettera Ventidue, Siracusa 2022.
10. R. Braidotti, Il postumano, cit., p. 64.
11. Il concetto di «opera aperta» proviene dal saggio omonimo di Umberto Eco del 1962, approfondito poi con Il ruolo del lettore, nuova edizione integrata con i materiali preparatori dell’autore: U. Eco, Opera aperta. Forme e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, La nave di Teseo, Milano 2023.
12. A. Clarke, D. J. Haraway, Making kin. Fare parentele, non popolazioni, Derive Approdi, Roma 2022; D. J. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero Edizioni, Roma 2019.
13. A. Tsing, Feral biologies; paper letto alla conferenza Anthropological Visions of Sustainable Futures (12-14 febbraio 2015), organizzata dal Centre of the Anthropology of Sustainability (CAOS) dell’University College di Londra. Presentata nel giugno dello stesso anno presso l’Università di Aarhus in Danimarca, in occasione del settantesimo anniversario del Dipartimento d’Antropologia presso cui Anna Tsing ha sviluppato il programma di ricerca transdisciplinare Living in the Anthropocene: Discovering the Potential of Unintended Design on Anthropogenic Landscapes.
14. C. Prati, Upgrade Architecture, Quaderni di Architettura dell’Ance, Edilstampa, Roma 2010; C. Prati, Innesti, Sovrapposizioni, Estensioni. La Ricerca Italiana. Esperienze internazionali, in «l’industria delle costruzioni», 2008, n. 403; C. Prati, Trasformare per addizioni, in ibidem, 2007, n. 396.
15. Konrad Wachsmann, architetto tedesco (1901- 1980), dopo aver studiato con H. Poelzig nella scuola di Arte applicata a Berlino, si dedicò a studi tecnologico-strutturali nel più tradizionale Politecnico di Dresda, allora sotto la prestigiosa direzione di H. Tessenow. Dal 1924 fu, per tre anni, assistente di Poelzig all’Accademia di Berlino; (…) nel 1941 emigrò negli Stati Uniti, tornando a occuparsi di strutture in legno e iniziando una collaborazione con W. Gropius che durerà quasi sette anni. (…) Il suo pensiero teorico è raccolto nel libro Wendepunkt im Bauen (Wiesbaden 1959; trad. it. Una svolta nelle costruzioni, Milano 1960); fonte Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/konrad-wachsmann_%28Enciclopedia-Italiana%29/.