Ma­lat­tia e fra­gi­li­tà: qua­li pro­spet­ti­ve fu­tu­re

Data di pubblicazione
10-10-2022
Margherita Carabillò
Architetta esperta in progettazione socio-sanitaria, vicepresidente Centro Nazionale per l'Edilizia e la Tecnica ospedaliera, direttrice scientifica della rivista «Progettare per la Sanità»

Da sempre il progetto delle strutture dedicate alla salute e in particolare quello degli ospedali è considerato uno dei temi più complessi da affrontare in quanto richiede la conoscenza approfondita di molteplici e articolati requisiti organizzativi, strutturali, impiantistici che caratterizzano le diverse aree funzionali e servizi (tra loro strettamente integrati e spesso complementari) e soprattutto perché coinvolge un sapere multidisciplinare in continuo aggiornamento a causa delle dinamiche epidemiologiche, demografiche nonché dell'evoluzione del sapere medico e delle tecnologie per la diagnosi e la cura.

Se ci limitiamo, per esempio, a considerare il solo impatto delle terapie avanzate fondate sullo studio e sulla conoscenza del genoma umano e il conseguente sviluppo della cosiddetta medicina predittiva e delle cure personalizzate, risulta abbastanza evidente quale profonda e radicale trasformazione ci si debba attendere nei prossimi anni riguardo ai percorsi clinici dei pazienti, alle implicazioni sociali e, più in generale, al nostro modo di «fare e ricevere salute».

La medicina moderna

In effetti, la storia della medicina moderna ha già dato segni di importanti cambiamenti nelle modalità di approccio alla malattia: dalla medicina del passato, intuitiva e reattiva, praticata in relazione alle conoscenze individuali del medico e ai sintomi del paziente, oggi stiamo attraversando l'epoca della medicina basata sull'evidenza e sui trials clinici ma siamo velocemente proiettati verso la medicina del futuro, «cucita su misura» sulle singole persone grazie all'utilizzo di terapie sempre più conformate in base alle differenze individuali, alla variabilità genetica, all'ambiente in cui si vive, alle caratteristiche del microbioma e dello stile di vita di ciascun individuo. In più, le rapide trasformazioni nel settore tecnologico e bio-medico inducono a interrogarsi sull'impatto che innovazioni quali l'avvento del 5G e l'accelerazione delle connessioni della rete internet, le smart technologies e i wear­able devices porteranno sui percorsi di cura tradizionali, sulla «configurazione» della nostra sanità e delle strutture a essa connesse.

Il nostro modo di rapportarci al progetto degli edifici per la salute si è modificato profondamente, trasformando quelle che un tempo erano considerate come strutture di reclusione e confinamento della malattia e della disabilità in luoghi aperti e permeabili al territorio, oltre che ambiti di promozione del benessere attraverso l'umanizzazione degli spazi e delle relazioni. Oggi il concetto di umanizzazione abbraccia un significato più ampio, olistico: quello di healing environment che implica la ricerca di armonia tra mente, corpo e spirito come una condizione in grado di ridurre stress e ansia generando impatti positivi sul corpo umano. L'obiettivo è quindi quello di assistere il paziente in un ambiente ospedaliero che favorisca il processo di guarigione.

Un ruolo di rilievo nella sistematizzazione delle ricerche nel campo emozionale è stato svolto dalla neurofisiologa americana Candace Beebe Pert (1946 – 2013) che, con i suoi studi e le sue pubblicazioni, ha approfondito il ruolo fondamentale e la potenza delle emozioni anche sul piano curativo: sua è l'affermazione «What you are thinking at any moment is changing your biochemistry». Questo processo è stato sicuramente favorito da almeno tre decenni di vivo dibattito culturale innescato anche dal confronto con le più avanzate realtà nord-europee e statunitensi.

L'attenzione progettuale, un tempo esclusivamente finalizzata alla efficienza ingegneristica e all'efficacia medica e pertanto dedicata pressoché esclusivamente alla concretizzazione fisica e spaziale del progetto organizzativo afferente ai diversi percorsi di cura, si è quindi arricchita di tematiche inedite rispetto al passato ma altrettanto rilevanti: l'impatto e la relazione con il tessuto urbano e territoriale; l'importanza attribuita al comfort e alla qualità degli ambienti interni nonché il rapporto con gli spazi verdi quali promotori del processo di guarigione (stanze «customizzate», design ergonomico e biofilico ecc.); la scelta delle caratteristiche dell'involucro, delle tecnologie costruttive e delle soluzioni impiantistiche secondo criteri che ben si coniugano con le esigenze di efficienza energetica e di sviluppo sostenibile; l'utilizzo di nuove modalità assistenziali supportate dal monitoraggio clinico continuo del paziente o dell'anziano mediante dispositivi portatili e app; il ricorso a tecniche analitiche avanzate e l'elaborazione di big data quali strumenti importanti di gestione e diagnosi precoce.

Queste trasformazioni, sebbene interessino, in tutto o in parte, l'intero comparto sanitario e socio-assistenziale, sono oggi particolarmente evidenti negli edifici della rete assistenziale che maggiormente si caratterizzano per il livello tecnologico avanzato: basti pensare all'ospedale digitale, interconnesso e connotato da processi fortemente automatizzati, che sta producendo e produrrà radicali cambiamenti perché sta modificando profondamente le logiche organizzative e gestionali, le decisioni cliniche e operative ma anche l'esperienza del paziente dentro e fuori l'ospedale.

In alcuni Paesi, anche per le specifiche caratteristiche geomorfologiche del territorio (per esempio la Finlandia), la telemedicina e la possibilità di monitorare il paziente «in remoto» stanno già prefigurando quello che appare come «un sistema sanitario senza muri» in cui, estremizzando un po', si può immaginare un futuro in cui sarà l'ospedale, in parte, ad andare dal paziente.

È un dato di fatto che la crescita demografica e il progressivo invecchiamento della popolazione assieme a una maggiore consapevolezza e attenzione al nostro corpo, facciano ritenere che la domanda di salute sia destinata a crescere esponenzialmente: ciò necessariamente porterà a consolidare nuove modalità assistenziali facilmente accessibili e più appropriate per una gestione efficiente ma anche economica delle diverse tipologie di pazienti.

Negli ultimi anni e soprattutto a seguito della recente ondata pandemica si è fatta strada la consapevolezza che i nostri sistemi sanitari non possano essere pensati come organizzazioni a esclusiva trazione ospedaliera ma devono essere strutturati come percorsi che partano dal territorio di residenza, transitano – se necessario – in ospedale per poi ritornare a essere gestiti dal territorio.

Nei Paesi avanzati, si stima che l'80% delle risorse sanitarie venga oggi speso nella gestione delle malattie croniche e gli scenari futuri, tutt'altro che ottimistici, sottolineando l'incremento di tutte le patologie legate all'invecchiamento della popolazione e alla crescente esposizione a fattori di rischio ambientali e sociali, evidenziano l'urgenza di affrontare il problema della sostenibilità economica dei sistemi sanitari.

L'importanza della rete

In questo complesso e articolato contesto di fragile equilibrio tra risposte alla malattia e risorse disponibili, si è ben compreso che per far fronte correttamente ed efficacemente alle esigenze attuali e future diventa indispensabile agire sulla rete che è costituita da tutte quelle strutture che concorrono alla gestione completa del percorso clinico dei pazienti. L'organizzazione di una vera e propria rete clinica integrata, costituita pertanto sia dagli ospedali che dalla compagine territoriale dei centri di prevenzione, diagnosi, controlli, riabilitazione e gestione della cronicità, ha visto già nascere in molti Paesi forme di risposta complementari, specialistiche e avanzate, spesso interconnesse con la ricerca e proattive nell'insegnare al cittadino a prendersi cura di sé favorendo stili di vita sani.

La strettissima integrazione con la ricerca è diventata inoltre un fattore indispensabile per quanto attiene la promozione della salute: da qui è scaturita la realizzazione sempre più significativa di veri e propri centri scientifici di eccellenza atti a favorire la «concentrazione dei saperi» grazie alla presenza di team multiprofessionali che collaborano fianco a fianco in un lavoro sinergico di università, cliniche e imprese volto a sviluppare quelle tecnologie innovative che consentiranno di tracciare i nuovi percorsi diagnostici affinché i cittadini possano avere accesso a cure più rapide, meno invasive e maggiormente efficaci.

Se le tecnologie in rapida evoluzione, la maggiore consapevolezza dei bisogni e qualità dei servizi richiesti (processo di empowerment delle persone), oltre all'incremento delle cure diurne e ambulatoriali, alla «migrazione» dei pazienti un tempo ospedalizzati verso altre realtà extra-ospedaliere (strutture residenziali, semi-residenziali e domiciliari per anziani e disabili, smart clinics, patient hotels, hospice e maggie's centers ecc.) costituiscono i principali fattori del cambiamento, è altresì vero che le risposte più adeguate ad assicurare il continuum assistenziale ai cittadini vadano ricercate e realizzate in sintonia con quella prospettiva di rete più volte richiamata. Questo significa il coinvolgimento delle diverse risposte sul territorio, graduando e promuovendo una offerta articolata e adeguata ai reali bisogni che non contempli solo la malattia in senso proprio ma anche le diverse declinazioni di fragilità. Un primo e importante passo in questa direzione, guardando più specificatamente all'assistenza rivolta ai pazienti cronici (anziani e disabili), è quello di porre attenzione alla ricerca delle possibili forme di integrazione e sinergia tra le differenti possibili declinazioni di residenzialità che devono essere anche in grado di tutelare il valore sociale della comunità al fine di ridurre il senso di isolamento degli ospiti.

Se guardiamo all'intero comparto socio-sanitario si può certamente individuare nello spettro dei bisogni molto ampio la maggiore criticità organizzativa e realizzativa: accanto all'anziano autosufficiente esiste l'anziano non autosufficiente; le forme di disabilità si contraddistinguono per differenti livelli di gravità e potenzialità di recupero; vi sono famiglie che possono prendersi in carico le persone al proprio domicilio e altre no. È questa molteplicità di situazioni che necessariamente implica il superamento della tendenza alla frammentazione e alla standardizzazione affinché sia garantita una pluralità di risposte organiche in cui modulare l'intensità assistenziale in relazione al bisogno, offrendo ambienti dalle caratteristiche friendly e accoglienti oltre che volti a contrastare l'isolamento sociale.

Il particolare contesto storico ci ha, inoltre, posto di fronte alle problematiche connesse con l'emergenza dovuta alla pandemia Covid-19 in cui molta attenzione, nella ricerca di efficaci risposte atte a contrastare la diffusione dell'infezione, è stata posta al tema dell'ospedale anche attraverso la messa in opera di quelli che abbiamo capito essere strumenti semplici ma sicuramente efficaci: il tracciamento, il distanziamento, la separazione, l'isolamento.

Nell'ambito nosocomiale è stato condotto sin dall'inizio un importante lavoro di rivisitazione delle unità di degenza e delle terapie intensive destinate ai pazienti ricoverati ma soprattutto degli ambienti e dei percorsi del pronto soccorso, principale «porta di accesso» dal territorio verso i nostri ospedali. La riorganizzazione dei flussi che consente la gestione ottimale di spazi e operatori, è diventata pertanto una priorità al fine di garantire aree di permanenza separate e sicure per i pazienti in attesa di diagnosi.

Oggi, a dispetto dei mesi passati, il ripensamento dei layout funzionali di queste aree è oggetto di valutazioni e proposte più lungimiranti rispetto a quanto fatto durante la fase emergenziale. Sebbene dal mondo medico-scientifico vi sia la comune consapevolezza della concreta possibilità che il futuro ci riservi scenari simili dovuti alle altre infezioni virali che potranno insorgere e che non dovranno coglierci impreparati, credo tuttavia che l'efficacia dei nostri progetti sarà tanto più concreta quanto più dotata di quella flessibilità e resilienza che permetterà rapidamente e senza onerosi riadattamenti di ritornare anche alla gestione ordinaria dei percorsi assistenziali. Tutto questo non perdendo lungo la strada quel grande impulso all'utilizzo di quelle tecnologie che già in parte conoscevamo ma che abbiamo imparato a utilizzare in maniera diffusa anche grazie all'emergenza da Covid-19.

L'impatto pandemico sul mondo delle fragilità

L'acceso dibattito che è scaturito dalla situazione di pandemia ha, tuttavia, in parte trascurato una larga componente di coloro che purtroppo sono stati i veri protagonisti di questa brutta storia. In particolare mi riferisco agli anziani e, più in generale, a quei pazienti fragili sfavoriti dall'età e dalla condizione di vulnerabilità fisica le cui strutture di accoglienza devono necessariamente svolgere un'azione di protezione sicura verso i propri ospiti.

In quest'ottica sarebbe interessante indagare in maniera approfondita quale ruolo possa avere avuto il modello organizzativo-funzionale sulla propagazione delle infezioni e se sia possibile controllare il contenimento del contagio mediante una progettazione degli spazi in grado di proporre differenti soluzioni.

È un dato di fatto che la maggior parte delle strutture che oggi accolgono i nostri anziani riflettano un po' quella mentalità che, interpretando la vecchiaia come una patologia, ha sostanzialmente articolato gli ambienti e i layout organizzativi mutuando il modello gestionale dallo spazio ospedaliero. Oggi esiste un grande fermento progettuale sulle strutture residenziali di comunità volto a concepire moderni campus universitari, centri socio-educativi per minori e adolescenti, strutture per la detenzione ecc.; eppure l'accoglienza dei nostri anziani sembra rifarsi a una progettualità che risente di schemi già da tempo consolidati e meno propensi all'innovazione.

David Grabowski, professore di Politica sanitaria presso la Harvard Medical School e a capo di un team di ricercatori americani, ha analizzato l'impatto del coronavirus sulle case per anziani e ha constatato un fatto estremamente interessante e cioè che le strutture organizzative connotate da una maggiore intimità secondo un modello che si ispira al nucleo familiare hanno avuto risultati molto più incoraggianti rispetto a quelle di più ampie dimensioni e in cui non è stato possibile operare una sorta di aggregazione in unità più ridotte. Al di là dei possibili immaginabili effetti positivi conseguenti alla realizzazione di strutture a una «scala più umana» (il che non è comunque poca cosa), le organizzazioni di questo tipo si sono rivelate molto più efficaci nel contrastare l'infezione, determinando una casistica estremamente bassa nei contagi dovuta proprio a quella facilità nel tracciamento, confinamento, distanziamento e segregazione che abbiamo imparato ad applicare nelle nostre strutture sanitarie. Se pensiamo ad alcuni esempi concreti dedicati al recupero di pazienti con disabilità, un simile approccio progettuale non costituisce certamente una novità.

Ancora una volta l'emergenza pandemica ci ha fatto prendere coscienza che pianificare correttamente le scelte strategiche di un sistema sanitario significa al tempo stesso guardare all'offerta per acuti e specialistica così come alla qualità dei servizi che l'intera rete territoriale è in grado di offrire, compreso il mondo della fragilità; un mondo poliedrico costituito sicuramente da una grande popolazione di anziani ma anche di persone diversamente abili: due universi diversi che sicuramente presentano elementi in comune ma che sono contraddistinti da peculiarità fondamentali.

L'approccio One Health

Un'ultima importante riflessione ritengo vada fatta in un periodo come quello in cui stiamo vivendo nel quale si è fatta strada soprattutto tra i giovani una maggiore consapevolezza collettiva in merito alle tematiche ambientali che impatta sicuramente anche sull'approccio alla salute. Da ciò scaturisce che quella concezione puramente biomedica fondata su prevenzione, cura e riabilitazione con cui ci siamo fino a oggi confrontati sta allargando la sua prospettiva verso la presa di coscienza che facciamo parte di un sistema circolare e integrato che abbraccia la salute umana, quella animale e l'ambiente.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato come la pandemia ci abbia prepotentemente ricordato il rapporto intimo e delicato tra gli esseri umani e il pianeta. L'ambiente in cui viviamo costituisce un sistema di cui fanno parte persone, animali, piante e tutti questi elementi sono strettamente interdipendenti tra di loro. In più, la minaccia esistenziale dovuta al cambiamento climatico è ormai all'ordine del giorno. Insomma, si sta da più parti invocando un approccio cosiddetto One Health, ovvero basato sulla considerazione che viviamo tutti sullo stesso pianeta e che la modifica apportata a una variabile finirà per influenzare anche le altre.

Sebbene non sia un tema del tutto nuovo per l'OMS, è stato recentemente messo a punto un vero e proprio Manifesto con sei prescrizioni per la ripresa «sana e verde» post-Covid-19: 1. salvaguardare la natura; 2. garantire l'accesso all'acqua pulita; 3. garantire una transizione energetica rapida e sana; 4. promuovere sistemi alimentari sani e sostenibili; 5. costruire città sane e vivibili; 6. azzerare gli incentivi per i combustibili fossili.

Raccomandazioni perfettamente in linea con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri dell'ONU. In quest'ottica diventano assolutamente rilevanti almeno tre aspetti: la collaborazione e l'integrazione tra gli esperti, anche afferenti a diverse aree disciplinari; la messa a punto di moderni percorsi educativi che consentano alle future generazioni di interpretare e governare i fenomeni che regolano questo nuovo modello integrato che necessariamente ha dei riflessi importanti sulla nostra qualità di vita ed esistenza; la comprensione da parte dei decisori politici che qualsiasi scelta operata sul mondo animale, vegetale, o più in generale sull'ambiente, in un sistema circolare, si ripercuote anche sulla salute umana.

La sfida per tutti noi che da anni siamo coinvolti e siamo parte attiva di queste importanti trasformazioni è saper cogliere il cambiamento, sapere interpretarlo e soprattutto riuscire a tradurlo in esempi concreti.

Un panorama composito e polivalente

Gli interventi di recentissima realizzazione nella Svizzera italiana che sono illustrati sinteticamente nelle pagine che seguono – l'ultima fase della Clinica di riabilitazione EOC di Novaggio, l'istituto Miralago di Brissago, il Centro Polis di Pregassona, la Sede Pro Infirmis a Bellinzona, il Policentro anziani di Losone, l'Istituto di ricerca in biomedicina - IRB a Bellinzona e l'ampliamento dell'Ospedale regionale di Mendrisio – non fanno che testimoniare quanto composito e polivalente sia il panorama delle strutture che debbono relazionarsi tra loro per garantire quel sistema strutturato di presa in carico globale dei cittadini. Ottimi esempi di una corretta pianificazione sanitaria in grado di assicurare quel continuum assistenziale fondato sulla capacità di generare occasioni di dialogo, confronto e collaborazione tra i diversi attori della salute.

Nonostante vengano presentate soluzioni radicalmente diverse per quanto attiene gli aspetti progettuali e compositivi, le dimensioni, le funzioni contenute, gli obiettivi di cura, la tipologia di pazienti assistiti, è possibile riconoscere in tutti questi progetti un fattore comune essenziale e cioè il rapporto strettissimo con il territorio e con la comunità di riferimento. Ciò ha inevitabilmente portato alla realizzazione di edifici personalizzati e adatti al contesto in cui si collocano e pertanto fortemente integrati con le realtà sociali, demografiche, economiche e ambientali locali.

L'inserimento rispettoso e rigenerante nei tessuti urbani, l'esaltazione dell'elemento naturale e vegetazionale, la scelta dei corretti allineamenti stradali e la valorizzazione della topografia dei luoghi, l'utilizzo di materiali costruttivi locali, la sensibilità e l'attenzione ai dettagli che non lascia alcuna scelta progettuale al caso sono solo alcuni dei risultati evidenti che fanno chiaramente percepire quanto sia importante progettare e costruire luoghi e non solo servizi.

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