«Il­lu­sio­ni ot­ti­che»

La legge della figura/sfondo

Data di pubblicazione
13-02-2024

«Oso ancora sperare che la nostra illustre e antica disciplina riesca a trovare un rapporto più critico e umile nei confronti della realtà che ci circonda», Tita Carloni, 2001.

Questioni significative scaturiscono dalla 6ª edizione del Premio SIA Ticino illustrata da Archi tramite un incrocio di letture differenti. Istituito nel 2003, con l’obiettivo di divulgare l’impegno delle nostre discipline nel processo di costruzione urbana e territoriale, da allora l’intento è quello di valorizzare la committenza premiando il progettista di un’opera di architettura, ingegneria o pianificazione. Anche in questa occasione emergono conferme, aspettative e contraddizioni di un evento quadriennale che ha saputo tratteggiare le condizioni del dibattito professionale, provando a porsi come cartina di tornasole di quanto accade – o non accade – nella Svizzera italiana in relazione alla qualificazione della cultura della costruzione; una sfida che, insieme alla promozione dello strumento del concorso, ha sempre visto Archi a fianco della SIA Ticino e della CAT. Voci autorevoli analizzano nelle prossime pagine i progetti selezionati ma intanto è opportuno constatare che l’opera premiata – i microinterventi di studioser negli spazi pubblici di Monte – interpreta con sensibilità molti degli argomenti trattati in Archi 6/2023 (in primis quello della rivitalizzazione dei borghi di montagna), mentre le menzioni – il Campus universitario SUPSI di Mendrisio di Bassi Carella Marello, l’ampliamento dell’ICEC di Bellinzona di canevascini&corecco e la mensa scolastica di Viganello di Inches Geleta – sono già state pubblicate all’interno di un corpus tematico indagato criticamente (Archi 2/2021 e 2/2022).

Del resto, come sottolineato dalla giuria, tra le candidature non sempre è stato possibile individuare dei progetti che fossero idonea espressione delle categorie fissate dal bando (architettura, ingegneria, under 40, committenza e sostenibilità), perciò queste sono state assegnate adeguandosi a questo presupposto. Il mancato riconoscimento alla committenza – consolidato leitmotiv del premio stesso – così come quello alla sostenibilità pongono certamente dei quesiti che riguardano direttamente il contesto ticinese, laddove la decisione di non attribuire una menzione autonoma all’ingegneria ma di accorparla a quella dell’architettura, in un singolo gesto di sostegno all’interdisciplinarità, potrebbe suscitare delle perplessità (anzitutto se si osserva che il formidabile impatto di un intervento infrastrutturale, che incentiva la mobilità sostenibile sul trasporto pubblico regionale – come quello della Galleria AlpTransit del Ceneri –, è un fattore che la committenza della sede SUPSI di Mendrisio ha saputo cogliere e mettere in luce). Tuttavia, questa mancanza di corrispondenza tra propositi e risultati sono vuoti eloquenti particolarmente produttivi per riflettere sia sugli esiti qualitativi di questa edizione, sia sul quadro generale di riferimento. Come avviene nelle ambivalenti figure della Gestalt, dove il cervello attiva un meccanismo cognitivo che focalizza due immagini diverse secondo un’impostazione percettiva multistabile, il gioco in questo caso oscilla tra l’opzione di fissare le opere segnalate indugiando sui loro pregi o inoltrarsi nel retroscena che le definisce, tenendo conto che entrambe sono parte inscindibile di una rappresentazione collettiva da cui affiorano una serie di interrogativi: Quale è oggi il ruolo del Premio SIA Ticino? Quale dovrebbe essere quello della committenza? Quale il rapporto tra pubblico e privato? Come sostenere la Baukultur e combattere le dinamiche nocive della speculazione urbana? Quale la differenza tra edilizia e architettura? Quali i principi di rigenerazione urbana e territoriale della «Città Ticino»? Come riprogettare l’esistente? Quale il rapporto tra tecnologia e paesaggio? Solo per citare alcune problematiche presenti in questo numero che fanno sempre parte della nostra linea editoriale. Infine, cosa si intende per sostenibilità?

Sebbene sia palese che essa dovrebbe porsi come componente organica e non univoca di ogni processo progettuale complesso, non risulta ancora una nozione compiutamente metabolizzata in ambito locale, dove – oltre al dovuto rispetto normativo – un discorso spesso cristallizzato sulle certificazioni energetiche, indifferente alla Dichiarazione di Davos e ai traguardi fissati dagli OSS dell’ONU, prescinde dall’attivo dibattito che sull’argomento si svolge oltralpe. Non a caso, come più volte sollevato da Archi, risulta evidente la frequente assenza della dimensione sociale della sostenibilità nelle iniziative abitative pubbliche e private del Canton Ticino (Archi 3/2021 e 5/2023). Ovviamente potremmo accontentarci e fissare lo sguardo su questo «tassello di resilienza» in quanto eccezione che conferma la regola, eppure è indubbio che questi non sono tempi di autocompiacimento ma di pervasiva incertezza. Le opere scelte vanno quindi presentate tenendo conto della loro intera esperienza: come nelle «illusioni ottiche» configurano una visione d’insieme in cui le parti interconnesse contribuiscono a creare una nuova realtà. L’auspicio è che possano servire a questo compito risvegliando la consapevolezza necessaria ad affrontare la quotidianità del mestiere prendendosi cura con competenza di un «territorio diffuso» di cui dovremmo sentirci responsabili.

Questo numero di Archi funge anche da catalogo della mostra del Premio SIA Ticino 2024, allestita presso il Dipartimento ambiente costruzioni e design (DACD) della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), via Flora Ruchat-Roncati 15, 6850 Mendrisio.

10 febbraio - 8 marzo

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