Due bi­lan­cie­ri in equi­li­brio

Prendendo spunto da un progetto dell’architetto Javier Corvalán desidero mostrare quanto sia importante l’analisi del funzionamento di una struttura mediante il controllo dell’equilibrio e quanto una simile operazione possa influire sulla concezione e sull’espressione finale dell’opera.

 

Data di pubblicazione
23-12-2015
Revision
23-12-2015

Prendendo spunto da un progetto dell’architetto Javier Corvalán desidero mostrare quanto sia importante l’analisi del funzionamento di una struttura mediante il controllo dell’equilibrio e quanto una simile operazione possa influire sulla concezione e sull’espressione finale dell’opera. Questo studio è stato l’occasione per riflettere su quanto insegnato nelle prime settimane della formazione accademica di un ingegnere civile: l’equilibrio di un corpo rigido sotto l’azione di forze esterne. Ritengo che questa riflessione sia estremamente importante soprattutto in un periodo nel quale gli odierni supporti informatici che facilitano – o rendono perfino possibile – la realizzazione di quelle strutture intricate e senza supporto all’espressione architettonica che occupano le pagine delle riviste ci distolgono dai concetti semplici ma estremamente forti che permettono a Toni el Suizo di costruire, con amore, i capolavori delle popolazioni bisognose. Ma questa è un’altra storia…

L’equilibrio delle forze, principio cardine della statica, fa parte della quotidianità dell’ingegnere che si occupa di strutture, che lo controlla in modo diretto ad esempio nella verifica al ribaltamento di un muro di sostegno, in quella al sollevamento di una costruzione immersa in falda o ancora nel caso in cui una struttura, al raggiungimento della sua resistenza ultima, si trasformi in un meccanismo cinematico. A lato di queste verifiche ne esistono tuttavia altre per le quali il principio d’equilibrio, pur non essendo controllato direttamente, costituisce un assioma che permette di derivare le formulazioni che descrivono le sollecitazioni e le resistenze. Infatti se pensiamo la formula che definisce il momento a metà campata di una trave semplice uniformemente sollecitata da un carico distribuito (qℓ2 / 8 ), verifica irrinunciabile per ogni trave semplice o continua che sia, non è nient’altro che l’espressione dell’equilibrio della struttura, o almeno una parte di esso, ritrascritto in un linguaggio affine alla trave. Allo stesso modo per derivare le formule che descrivono la resistenza al momento di una data sezione si applica, oltre ad una serie di ipotesi cinematiche e sul comportamento meccanico dei materiali, l’equilibrio delle forze sulla sezione. Seguendo la stessa filosofia, le attuali norme1 suddividono in maniera molto chiara lo stato limite ultimo in tre differenti tipi: il primo concerne la resistenza di tutte le parti della struttura, il secondo riguarda il fenomeno della fatica, mentre il terzo considera la stabilità, ovvero la perdita di equilibrio di una struttura o di parte di essa. Le relative verifiche vengono eseguite provando che le sollecitazioni risultino inferiori alle resistenze così da garantire che ogni struttura non perda, lungo tutto l’arco della sua vita, la funzione per la quale è stata pensata e realizzata, evitando quindi che diventi instabile o si rompa. Il rispetto dell’equilibrio e la verifica del terzo tipo di stato limite ultimo, sostanza del seguito dell’articolo, risultano probabilmente di più immediata comprensione considerando l’esempio di una diga a gravità, dove la principale preoccupazione è che la condizione più diretta di equilibrio sia garantita scongiurando così il ribaltamento come corpo rigido dell’intera struttura. In tal caso è indispensabile che la risultante di tutte le forze che sollecitano la struttura passi per la base d’appoggio e che questo avvenga in ogni momento: durante la costruzione o in fase di esercizio e con qualsiasi livello del lago retrostante (documento 1).

Gli esempi descritti in precedenza mostrano chiaramente l’importanza del concetto di equilibrio e della necessaria dimestichezza che l’ingegnere è tenuto a disporre per la concezione, il dimensionamento e la verifica delle strutture. Considerando la continua presenza dell’equilibrio nella risoluzione dei problemi legati alle strutture, è fondamentale che per una concezione impeccabile di una qualsiasi costruzione, anche l’altra figura chiave del processo – quindi l’architetto – comprenda tale concetto, gestendolo in modo da instaurare un dialogo con l’ingegnere volto a esplorare la panoplia di possibili strutture portanti al fine di concepirne una che rispetti le volontà progettuali. Infatti, il processo di concezione implica in primis il pensiero di una struttura stabile, mentre solo in seguito è possibile valutarne il funzionamento decidendone infine le dimensioni geometriche e le proprietà meccaniche dei vari elementi che la compongono. A differenza di quanto si possa credere, l’esperienza dei vari attori non permette di alterare questa successione ma semplicemente porta a delle soluzioni preconfezionate che sono state studiate in precedenza seguendo questo medesimo ordine. L’esclusione di una soluzione strutturale che, seppur rispettosa delle condizioni di equilibrio, dia l’impressione di non poter sopportare le azioni che la sollecitano, non può quindi che essere frutto di un ragionamento ex post fondato su analisi di casi simili che ne hanno escluso la realizzabilità a causa dell’impossibilità di soddisfare le differenti verifiche. Voglio ancora sottolineare che senza il rispetto di tutte le condizioni d’equilibrio sarebbe in ogni caso risultato impossibile procedere a tali verifiche.

Prima di analizzare la struttura proposta in questo articolo va ancora ricordato che qualsiasi oggetto, quindi anche le nostre strutture, può trovarsi in equilibrio o essere instabile. Pertanto queste due possibilità sono divise da un punto che rappresenta la condizione nella quale l’aumento dell’azione che destabilizza il sistema non è più permesso senza che lo stesso diventi instabile, similmente a quanto avviene con la resistenza la quale non può essere oltrepassata senza incorrere in una rottura. Questo limite, tenendo conto delle dovute «sicurezze» che permettono di coprire anche i casi accidentali che possono sopraggiungere nella vita di una struttura, è l’obiettivo che si prefigge di raggiungere l’ingegnere accorto nell’economia di materiale. Una tale struttura, prossima alla condizione limite di equilibrio, induce inoltre nell’osservatore una sensazione di ammirazione e di curiosità identica a quella percepita nell’osservare il funambolo che sulla fune impone una condizione limite che lo costringe a correggere continuamente la sua postura, in modo da non trovarsi mai in una situazione d’instabilità. Uguale ammirazione è pure suscitata dai modelli e dagli schizzi, mostrati nelle immagini 2 e 3, di Javier Corvalán per il progetto del Driving range dell’associazione paraguaiana di golf a Luque in Paraguay.

Il progetto è costituito da due coppie di bilancieri che si equilibrano contrastandosi mutualmente, caratteristica peculiare che spinge il curioso a interrogarsi se una tale struttura sia realmente una strada percorribile, ovvero quali siano i limiti e le condizioni che la rendano possibile. Purtroppo l’edificio realizzato mostrato nell’immagine 4, malgrado resti alquanto interessante, tradisce tale idea e differisce dal progetto originario tanto da non suscitare più l’ammirazione in precedenza descritta. Infatti la struttura è stata modificata trasformando ogni coppia di bilancieri in una trave su due appoggi con due sbalzi mediante dei collegamenti monolitici che formano dei nodi rigidi, come mostrato in documento 2. Le sole sensazioni che rimangono sono legate alla snellezza della struttura e all’intensità degli sforzi ai quali deve resistere la zona di accoppiamento tra i due bilancieri primitivi. Quest’ultima impressione è ulteriormente rafforzata dalla sezione piena necessaria in questa zona per l’ancoraggio dei cavi di precompressione.

Come già anticipato, durante la fase di progetto, la struttura del Driving range di Luque in Paraguay consisteva in due bilancieri in equilibrio uno sopra l’altro grazie a una sovrapposizione degli stessi che avrebbe reso il sistema stabile anche in presenza dei carichi variabili e senza dover collegare le due parti tra di loro. Infatti è facilmente intuibile che, per un dato caso di carico – per semplicità consideriamo il caso con solo i carichi permanenti – esiste una soluzione dove il bilanciamento delle due stecche risulta possibile ed è tale da non comportare nessuna sovrapposizione delle stesse. Questa soluzione, per chi si trovi più a suo agio con il linguaggio dell’equilibrio della trave, comporta che il punto di contatto tra le due stecche sia esattamente nella posizione di momento flettente nullo della trave con i due sbalzi come mostrato nei primi diagrammi della documento 6. Inoltre, siccome la sfida prevede che le due travi non siano collegate tra loro, è pure necessario che la zona di contatto sia sollecitata da una forza di compressione e per questo motivo si deve scegliere, tra i due punti di momento nullo compresi tra gli appoggi, quello nel quale lo sforzo di taglio risulta negativo (con il bilanciere sinistro sotto a quello destro come nel caso in esame). In realtà i carichi e più in generale le azioni che sollecitano le strutture subiscono delle variazioni dovute in primo luogo all’utilizzazione (carichi utili variabili) e perciò la soluzione descritta in precedenza, che rappresenta il limite tra le infinite soluzioni in equilibrio e le infinite non in equilibrio, non potrà soddisfare le aspettative in quanto una benché minima variazione del carico applicato causerebbe il rovesciamento dei due bilancieri per rotazione attorno ai rispettivi appoggi. Per questo motivo, come lo era per la diga a gravità citata in precedenza nella quale la dimensione della base era scelta prevedendo tutti i possibili casi di carico, è necessario estendere il bilanciere inferiore verso destra e quello superiore verso sinistra. Infatti quando la porzione di struttura all’esterno degli appoggi è maggiormente caricata rispetto alla parte centrale, il punto di contatto si sposta verso il centro della campata e viceversa, scaricando queste parti rispetto a quella compresa tra gli appoggi, tale punto si avvicina all’appoggio di sinistra. Al fine di garantire la stabilità del sistema anche in queste situazioni estreme è quindi necessario creare una sovrapposizione e introdurre ai suoi estremi degli appoggi puntuali che risultano in questi casi di carico uno compresso e l’altro completamente scarico, come mostrato nel documento 5. Per tutti gli altri casi di carico intermedi – dei quali fa parte anche il caso di carico con i soli pesi propri già discusso – la linea d’azione della risultante della forza di contatto tra i due bilancieri si trova nella zona della sovrapposizione e i due appoggi tra i bilancieri risultano entrambi compressi con intensità differenti. Purtroppo, come dimostrano i diagrammi del documento 6, in questa configurazione la spiegazione del funzionamento strutturale non può essere fatta servendosi della linea dei momenti o dell’inviluppo delle possibili linee dei momenti come si potrebbe pensare in un primo momento. La sovrapposizione infatti modifica la distribuzione dei carichi raddoppiando il peso proprio degli elementi portanti in questa zona che risulta applicato con una certa eccentricità sul bilanciere isolato e ciò non è affine al comportamento della trave. La necessità o meno di aumentare gli altri carichi applicati nella zona di sovrapposizione (peso proprio degli elementi non portanti e carico utile) dipende dalla presenza di uno o due livelli di solette in corrispondenza di tale zona. Per tutte le analisi mostrate in questo articolo si è considerato che anche questi altri due carichi vengano raddoppiati. 

Nel grafico della documento 7 è riportata in grigio la zona di sovrapposizione minima dei due bilancieri considerando la geometria reale della struttura dell’edificio in esame al variare del rapporto ɣ tra il carico totale massimo ed il carico minimo. La combinazione di carico minimo é quella con i soli pesi propri –degli elementi portanti e non – con coefficiente di carico associato ɣG,inf = 0.90 (stato limite tipo 1 secondo la norma SIA 2602), mentre per la combinazione massima a questi va aggiunto il carico utile con coefficiente di carico per le azioni variabili ɣQ = 1.50. L’edificio presenta un peso proprio caratteristico stimato di 52 kN/m per ognuna delle due travi e un carico variabile di 6.0 kN/m, che corrisponde a un carico utile scelto di 2.0 kN/m2. Il rapporto che descrive la possibile variazione di carico sulla struttura del Driving range vale quindi ɣ = 1.20, valore riportato nel grafico della documento 7 con una linea tratteggiata. Si può notare come l’influsso del fattore ɣ sull’estensione della zona di sovrapposizione sia molto importante e come tale zona aumenti con il crescere della differenza tra il carico massimo e quello minimo. Queste considerazioni spiegano la ragione del precedente utilizzo del coefficiente di carico per i pesi propri favorevoli ɣG,inf, anziché quello per gli sfavorevoli ɣG,sup, così da ottenere un rapporto ɣ maggiore e quindi più critico per la stabilità. Inoltre si deduce l’interesse di ridurre la variazione tra il carico massimo e quello minimo così da mantenere il rapporto ɣ il più basso possibile. Per raggiungere questo scopo, essendo impossibile ridurre i carichi variabili che risultano definiti dall’utilizzazione per la quale l’edificio è progettato, si possono unicamente aumentare i carichi permanenti. La scelta di una struttura in calcestruzzo armato e precompresso risulta perciò ottimale. Infatti l’elevato peso proprio di una tale struttura portante, che in altri casi potrebbe risultare una caratteristica penalizzante, è in questo contesto utile per garantire l’equilibrio dei due bilancieri in tutte le situazioni di carico limitando l’estensione della zona di sovrapposizione.

Le analisi presentate illustrano chiaramente come la volontà iniziale di Corválan sarebbe risultata realizzabile con delle lievi modifiche alla geometria della zona di contatto tra i due bilancieri, senza dover realizzare una connessione rigida. Il documento 3 mostra la sovrapposizione indispensabile al fine di mantenere la lunghezza totale e la posizione degli appoggi della struttura originaria: confrontando questa struttura con quella realizzata, è possibile vedere come i piccoli aggiustamenti risultino probabilmente compatibili con le necessità funzionali del progetto.

Appare inoltre interessante analizzare l’influenza delle variazioni geometriche sulla soluzione in equilibrio limite così da migliorare la comprensione di tale sistema strutturale e poter individuare altre possibili configurazioni. Infatti il rapporto ɣ tra il carico massimo e quello minimo che agisce sui bilancieri non è l’unico parametro che influenza l’estensione della zona di sovrapposizione poiché anche i parametri geometrici ne sono responsabili. Quindi, una volta scelti la sezione e il materiale che costituiscono la struttura portante, non resta che disporre gli appoggi e definire la lunghezza totale del sistema in modo da soddisfare le esigenze di progetto e imporre una sovrapposizione che soddisfi le condizioni d’equilibrio. I documenti 8, 9 e 10 mostrano le soluzioni in equilibrio limite e la zona di sovrapposizione al variare di alcuni parametri geometrici. Si nota innanzitutto come l’influenza di queste variazioni sulla dimensione della sovrapposizione è assai limitata rispetto a quella dovuta alla variazione dei carichi e analizzata in precedenza. Inoltre si intuisce come, fissata la lunghezza dello sbalzo della stecca superiore (documento 9), la variazione di quella del bilanciere inferiore è la principale responsabile della posizione della zona di sovrapposizione all’interno della campata centrale; viceversa modificando lo sbalzo della trave superiore, mantenendo costante la lunghezza dell’altro (documento 10), se ne definisce piuttosto l’estensione.

Le precedenti considerazioni chiariscono come sia possibile, variando la posizione degli appoggi, scegliere la posizione e l’estensione della zona di sovrapposizione all’interno di certi limiti definiti dalle lunghezze dei due bilancieri, da quella totale del sistema e soprattutto dal rapporto tra i carichi massimi e quelli minimi. Considerando la geometria della struttura realizzata, si può dimostrare come con un rapporto ɣ = 1.20 la posizione degli appoggi che definisce una soluzione limite non esista. Per ovviare a tale inconveniente è pertanto necessaria una correzione di tale rapporto aggiungendo del peso proprio. Il documento 4 (vista e sezione di sinistra) mostra la soluzione in equilibrio limite ottenuta maggiorando lo spessore dell’impalcato superiore di 30 cm così da abbassare il rapporto ɣ a 1.15. Tale soluzione, malgrado resti l’unica attuabile senza modificare il sistema statico, è sicuramente poco razionale. La soluzione mostrata nel documento 4 (sezione di destra), a fronte di una leggera modifica del sistema, permette invece di mantenere lo spessore originario dell’impalcato aggiungendo delle barre d’armatura, preferibilmente pretese, in corrispondenza dei quattro appoggi tra i bilancieri e capaci di trasmettere anche delle forze di trazione. Logicamente anche la forza che sollecita queste barre è fortemente influenzata dalla geometria della struttura e per il caso analizzato, mostrato nel documento 4, vale circa 210 kN: sarebbe quindi risultata sufficiente una barra di precompressione del diametro di 18 mm per ogni appoggio, elemento pertanto facilmente integrabile nel getto dei bilancieri. Va notato che per questa analisi il coefficiente di carico per i pesi propri è da porre ɣG,inf = 0.80 (secondo la norma SIA 2602) in quanto si tratta di una verifica a rottura di un elemento strutturale e quindi concerne lo stato limite tipo 2. Questa possibilità equivale, almeno strutturalmente, all’opera realizzata ma a differenza di quest’ultima la posizione degli appoggi è ottimizzata per ridurre al minimo le sollecitazioni alle quali tali barre devono resistere. Infatti le forze di trazione che sollecitano la connessione dei due bilancieri per la geometria del documento 2 risultano aumentate e valgono circa 2300 kN. Ritornando, prima di concludere, alla possibilità di variare il rapporto ɣ si può ricordare che, senza modificare gli spessori della struttura, è fattibile ridurlo adottando il coefficiente di carico per i pesi propri favorevoli a un valore più vicino all’unità. Nel caso si proceda in questo senso è però necessario perfezionare i controlli durante la costruzione in modo da ridurre le incertezze e le tolleranze sulle dimensioni degli elementi realizzati ed eventualmente prevedere delle zone nelle quali sia possibile intervenire dopo la realizzazione dell’opera per aggiungere del peso – ad esempio mediante delle lastre in calcestruzzo pesante – in modo da ristabilire una situazione di sicurezza sufficiente.

L’analisi di questo esempio, suggerito dall’intuizione di un architetto, mostra l’importanza rivestita dall’equilibrio nel processo progettuale e come, attraverso la padronanza delle condizioni che lo controllano, l’ingegnere avrebbe dovuto convincersi che la volontà iniziale fosse realizzabile, come tra l’altro Daniele Pisani scrive in «Casabella»3. La semplicità costruttiva che caratterizza le varie soluzioni qui proposte avrebbe permesso di scongiurare ogni possibile complicazione incontrata durante la fase di avanzamento del progetto, così da realizzare una struttura con dei bilancieri che conferma nuovamente, semmai ce ne fosse bisogno, la validità e la necessità delle considerazioni postulate 2200 anni fa da Archimede.

Note

  1. Fib Model Code 2010 for concrete structures, fib, Losanna 2013; sia 260:2013 - Basi per la progettazione di strutture portanti, sia, Zurigo 2013; en 1990:2002 - Basis of structural design, CEN, Brussels 2002.

  2. 260:2013 - Basi per la progettazione di strutture portanti cit.

  3. Daniele Pisani, Javier Corvalán. La lieve pesantezza, "Casabella", 835, marzo 2014, pp. 82-89.

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