Chias­so e il suo spa­zio eco­no­mi­co

Serie: i venti anni di Archi (1998-2018)

Per i 20 anni di Archi, l'articolo di Remigio Ratti dal no. 6/2000. «…la dimensione spaziale dell’economia è, in genere, misconosciuta, spesso nascosta e subordinata alla dimensione temporale».

Data di pubblicazione
13-08-2018
Revision
07-03-2019

Anche l’economista si occupa di spazio! Solo che la dimensione spaziale dell’economia è, in genere, misconosciuta, spesso nascosta e subordinata alla dimensione temporale. Oggi, addirittura, a furia di parlare di economia virtuale e di new economy la dimensione spaziale dei fenomeni economici sembrerebbe un controsenso. Eppure, è proprio il contrario. Capirlo sarebbe un arricchimento per tutti; e mi piace che sia l’architetto a provocarmi, lui che vuole leggere, interpretare e far vivere il territorio. Mi piace ricordare un maestro - l’economista francese Henri Guitton - che nel 1953 nella prefazione al fondamentale volume di Claude Ponsard Economie et Espace così si esprimeva (p.XII): «Ce qu ‘il y a de plus original, c’est, pensons nous, le concept de “Paysage économique”. Un paysage économique, ce n’est nullement l’horizon tel qu’il nous est offert par lanature, tel qu’il est perçu par l’oeil du géographe, du voyageur, du peintre. C’est un paysage rationnel. C’est l’organisation des aires de marché tel qu’un esprit logique la pense».

Integrare la dimensione spaziale nell’analisi dei fenomeni economici vuol dire essere capaci di definire per uno spazio determinato le sue leggi d’appartenenza, quali frutto della combinazione di caratteristiche funzionali e territoriali.

All’architetto rispondo con l’esempio del caso dell’economia di Chiasso, spesso all’origine delle mie riflessioni in risposta al nuovo paradigma di lettura economico-spaziale della realtà economica.

L’esempio di Chiasso è bello perché, da sempre - e per Chiasso questo significa solo centocinquantanni - la sua economia è legata alla frontiera, da quando con la nuova costituzione federale del 1848 si creò l’Unione doganale e la prima ricevitoria doganale tra Chiasso e Ponte Chiasso. Chiasso come esempio di qualcosa di artificiale insomma, dove più che mai la ricchezza è effimera e fragile. La sottovalutazione dei suoi bisogni infrastrutturali che caratterizzano la sua storia, la frammentarietà del suo disegno urbano non stanno forse a dimostrare una lettura non sufficientemente organica dei suoi fattori di crescita?

Lo sviluppo di Chiasso è stato fondamentalmente funzionale alla natura e al ruolo del confine; la sua crescita è legata alla politica estera, commerciale e doganale definita a livello degli Stati, dei due governi svizzero e italiano. Così l’infrastruttura, le maggiori opere e costruzioni sono state a lungo dettate dalla politica della Berna federale - l’amministrazione delle ferrovie, delle dogane, delle poste - e di alcuni grandi attori storici legati al transito, come gli spedizionieri di Basilea. Da qui un determinato stile e influenze architettoniche e urbanistiche, che generalmente vengono dal nord e che contrastano con quelle completamente diverse dell’arch. Chiattone, appena al di là del confine, a Ponte Chiasso e a Como. Salvo eccezioni - come per il punto franco di Chiasso. Non a caso si trattava di una delle poche iniziative imprenditoriali locali. Infatti, raramente - fin tanto che il confine ha rappresentato una linea di separazione - la regione, Chiasso, ha dimostrato di avere una propria territorialità: una propria capacità di gestire i propri fenomeni di sviluppo interno ed esterno.

Il passaggio dal «confine-linea di separazione» alla frontiera vista come «zona di contatto tra aree diverse» è stato letto dall’economista che ha voluto adottare l’originale chiave di lettura economi- co-spaziale fin dalla fine degli anni sessanta. Ma la regione insubrica - l’associazione che promuove la collaborazione transfrontaliera a partire dalla nuova chiave di lettura della frontiera - data solo al 1995. Vuol dire che la presa di coscienza è stata lenta e bisognosa di una fase di transizione che in parte perdura a tutt’oggi.

Nel secondo dopoguerra - in presenza di un primo processo di liberalizzazione economica, quello degli scambi di merce, e della nuova mobilità stradale individuale - si è continuato ad operare con la logica del confine linea, con il commercio addossato alla frontiera e con l’autostrada voluta attraverso e a ridosso della cittadina di confine. Altri esempi sono il nuovo punto franco di Stabio (oggi svalutato e riemerso fortunatamente come centro logistico) o progetti non realizzati come quello delle FFS di localizzare a Stabio un grosso centro di carico-scarico intermodale che il «paesaggio razionale» avrebbe invece localizzato altrove, come così è stato, quasi per caso, per l’intuizione di pochi (un quasi colpo di mano) con l’investimento svizzero a Busto Arsizio.

Nel medesimo tempo il centro commerciale Serfontana e lo sviluppo di Lugano dimostravano che l’effetto frontiera aveva ormai assunto una dimensione a zona, regionale e che la spazialità della nostra economia andava letta addirittura facendo riferimento al milanese, a tutta l’area lombarda. Così la transizione, la contraddittorietà dei fenomeni economici non letti in un’appropriata dimensione spaziale, hanno dato i propri frutti non solo in termini di disordine e spreco territoriale, ma anche di deficienze nella capacità di determinare una svolta strutturale alla nostra economia. Il travaglio di Chiasso e dell’economia del Mendrisiotto dell’ultimo quarto di secolo è lo specchio delle contraddizioni e dell’incapacità di gestire i profondi cambiamenti esterni e i conseguenti adattamenti interni. È questo il frutto di fenomeni ineluttabili? dolori inevitabilmente connessi con ogni fase di rapida transizione? Non ne siamo sicuri.

La prova del contrario esiste. Cito ad esempio il progetto «Alptransit Ticino» con il quale il «gruppo Galfetti» (un architetto, due ingegneri, uno storico e un economista) hanno affrontato ognuno con le proprie chiavi di lettura spaziali la problematica dell’interpretazione delle nuove funzioni legate alle trasversali ferroviarie alpine trovando una risposta territoriale a più scale spaziali a quello che nella logica tradizionale e nel progetto tecnico delle ferrovie sembrava riduttiva- mente un tipico problema di tracciato (obbligato) per due nuovi binari ferroviari.

 

Riferimenti bibliografici

  • R. Ratti, «Cultura di riferimento e sviluppo economico nella realtà transfrontaliera», in Chiasso tra ottocento e novecento a cura di Nicoletta Osanna Cavadini, Muzzano, 1997.
  • R. Ratti, Regioni difrontiera, Teorìa dello sviluppo e saggipolitico-economici, Lugano, 1991.
  • Ratti/Reichmann (eds.), Theory and Practice of Transborder Cooperation, Basel, 1993.

 


I venti anni di Archi (1998-2018)

Per festeggiare il ventennale della rivista Archi, una selezione degli articoli più significativi è andata a costituire una timeline, tracciando una linea di continuità tra il 1998 e il 2018. Tutti gli articoli sono contenuti nel dossier «I venti anni di Archi (1998-2018)».


 

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