Ca­sa Al­bai­ro­ne, la re­ga­li­tà nell’al­log­gio col­let­ti­vo

La casa Albairone, costruita per rispondere al bisogno effettivo e urgente di nuovi alloggi a pigione moderata, ma senza «rinunciare ad un serio impegno d’architettura»,¹ scaturisce dalla collaborazione tra l’architetto Peppo Brivio e l’ingegner Alessandro Rima, che nelle vesti di committente si occupa personalmente anche delle questioni strutturali.

Data di pubblicazione
07-08-2013
Revision
12-10-2015
Marc Collomb
Direttore Accademia dell'Architettura di Mendrisio

Quest’opera di «fondazione» dell’architettura ticinese, come la definisce Paolo Fumagalli, edificata a metà degli anni Cinquanta, inaugura una breve stagione felice dell’alloggio collettivo in Ticino,2 dove tuttavia si continua a prediligere la casa individuale, lasciando il settore della «casa di reddito» prevalentemente tra le mani degli speculatori.

Un programma spaziale complesso e ripetitivo come quello dell’alloggio collettivo, che sottostà a normative di vario genere e deve rispettare convenzioni di ordine dimensionale, funzionale, strutturale e non da ultimo economico, non offre certo la libertà di esprimere al meglio il proprio estro creativo. Eppure l’alloggio collettivo costituisce una porzione significativa della pratica professionale odierna, nonché una sfida affascinante per l’architetto, tanto che l’Accademia di architettura di Mendrisio ha deciso di affrontarlo sistematicamente in sede di progetto già durante il secondo anno di formazione.

Un corso di «Teoria dell’housing», che tratta le problematiche specifiche dell’alloggio collettivo, dall’organizzazione delle singole unità abitative fino alla loro aggregazione, accompagna il giovane studente nel percorso progettuale. Le varie soluzioni tipologiche, i sistemi distributivi, l’organizzazione spaziale, la relazione tra spazi serventi e spazi serviti, la qualità degli spazi esterni privati, il tema della flessibilità ecc. vengono illustrati mediante l’analisi di numerosi esempi di riferimento, appartenenti a epoche, contesti geografici e culturali diversi, scelti accuratamente sulla base delle loro peculiarità.

Tra i «casi studio» figurano i progetti di Peppo Brivio, che ha affrontato il tema della residenza collettiva con estremo rigore, raggiungendo la chiarezza di linguaggio e la forza espressiva che caratterizzerà pure le successive case monofamiliari. 

Nella casa Albairone il «serio impegno d’architettura» si traduce in un insieme coerente, curato nel dettaglio dal disegno plastico della facciata esterna all’organizzazione razionale degli spazi e delle funzioni interne, dalla scala urbana alla scala dell’arredo, come dimostra ad esempio il disegno di un mobile per la cucina integrato nel serramento.

Il complesso residenziale, che accoglie ben settantadue appartamenti, è ritmato dalla sequenza di tre volumi, riuniti sotto un unico tetto piano dal bordo continuo, un tempo finemente traforato. 

La pianta di ogni blocco si sviluppa secondo un preciso schema geometrico concentrico, generato dal nucleo distributivo, attorno al quale sono raggruppati gli spazi serventi, che per certi versi rimanda all’opera di Louis Kahn. Mentre i bagni sono sovrapposti verticalmente, le cucine, unitamente alle logge antistanti, «slittano» a piani alterni in una sola direzione, originando il raffinato «gioco» volumetrico di «pieni» e di «vuoti» che caratterizza la facciata.

Questo processo di «composizione» e «scomposizione» dei volumi, governato da una griglia compositiva modulare, che coincide con la griglia strutturale dell’intero complesso, riesce addirittura a spezzare la monotonia propria del programma, senza nuocere alla funzionalità degli ambienti e al comfort dell’utente.

Ogni appartamento dispone di una loggia abitabile scavata nel volume che, oltre a contribuire alla plasticità della facciata, illumina la cucina ubicata al centro della pianta e all’occasione si trasforma in una piacevole «stanza all’aperto» supplementare. La disposizione delle aperture è calibrata per evitare situazioni di vis-à-vis tra i diversi alloggi così da garantire l’intimità e la privacy degli inquilini, creando l’illusione di abitare una casa individuale. L’apertura del soggiorno su due fronti permette inoltre di stabilire una relazione privilegiata in diagonale con l’esterno attraverso le logge, concedendo anche a dei modesti appartamenti mono orientati il lusso inatteso di «vivere l’angolo».

L’edificio ospita infatti prevalentemente bilocali, dove l’ubicazione della cucina definisce inequivocabilmente la destinazione d’uso degli ambienti. L’ideale odierno di flessibilità, intesa non tanto come possibilità di modificare e trasformare gli spazi, ma piuttosto come varietà nell’offerta degli alloggi, variabilità di utilizzo degli ambienti e capacità di accogliere differenti comunità domestiche, non era peraltro contemplata dal modello socio-economico del dopoguerra. Senza interventi invasivi si potrebbe tuttavia ipotizzare l’unione di due alloggi contigui con il semplice inserimento di una nuova porta di ingresso, ottenendo un generoso appartamento passante.

Il complesso Albairone, si è comportato dignitosamente alla prova del tempo, conservando il suo regale aspetto scultoreo. 

La ricerca formale sulla plasticità dell’edificio, l’alternarsi quasi «ossessivo» di «pieni» e di «vuoti», reiterato nell’impaginazione del volumetto dedicato a casa Cate e Albairone dalla cattedra della prof. Flora Ruchat-Roncati presso il Politecnico di Zurigo,3 trova un seguito in certe tendenze odierne orientate verso l’espressione materica della facciata, lo sfalsamento e la perforazione dei volumi.

Se la libertà compositiva di Peppo Brivio avveniva rigorosamente all’interno della trama strutturale, chiaramente leggibile anche in facciata, e nel rispetto dell’inquilino, ma al di fuori delle odierne preoccupazioni di ordine energetico, ora le regole del «gioco» sono profondamente mutate, se non addirittura rovesciate. La struttura, ben celata da uno spesso strato di isolamento, viene piegata a esigenze compositive sempre più spinte e a volte fini a se stesse, mentre l’espressività va ormai ricercata nella manipolazione dello spessore aggiunto.

In un’epoca contraddistinta dalla spettacolarità del gesto architettonico, l’analisi approfondita dei principi sottili che hanno governato il progetto di casa Albairone permette ancora di trarre una valida lezione di architettura. Con gesti misurati e una grande economia di mezzi, Peppo Brivio raggiunge una ricchezza espressiva sorprendente, rispondendo in modo adeguato ai requisiti spaziali, funzionali ed economici imposti dal programma convenzionale dell’alloggio collettivo, rispettando le leggi strutturali e favorendo al contempo le aspirazioni individuali dell’abitante.

Realtà digitale e realtà disegnata
La prospettiva di Casa Albairone, schizzata da Peppo Brivio oltre mezzo secolo fa, mette in luce la banalizzazione dei rendering odierni, elaborati per trasmettere la realtà del progetto al cliente o per permettere all’architetto di verificare l’oggetto in tre dimensioni. Immagini perfette di un realismo teorico, senza difetti, senza polvere, ma senza la vibrazione della materia. La loro perfezione relativa, o meglio il loro schematismo convenzionale, fa capo sempre alla stessa biblioteca di elementi standardizzati messi a disposizione da una macchina e spinge a credere in una realtà illusoria. La mano del disegnatore, l’uso della matita e del pennello, rivelano invece con maggior forza e determinazione la composizione e la costruzione dell’opera, la texture dei materiali e gli effetti dalla luce. L’immagine costruita e disegnata tende all’essenziale e riesce a risvegliare i sensi, mentre la rappresentazione digitale si perde nell’indifferenza delle immagini da rivista patinata.

Note

  1. Ing. Alessandro Rima, Rapporto finale Albairone, Locarno-Muralto, 7 settembre 1957. Archivio privato ing. Alessandro Rima.
  2. Oltre agli altri edifici per appartamenti di Peppo Brivio Cate (1958), Rosolaccio (1960) e Giuliana (1963), si pensi alle opere di pregio, che nel decennio successivo hanno segnato l’architettura ticinese, come la Torre (1957) di Rino Tami, la Panoramica (1957) di Alberto Camenzind, le abitazioni di Tita Carloni a Molino Nuovo (1966) e Dolf Schnebli in via Torricelli (1966) a Lugano, le case popolari (1966) a Locarno e la casa patriziale (1968) a Bellinzona-Carasso di Luigi Snozzi e Livio Vacchini, le case d’abitazione di Roberto Bianconi a Bellinzona dei primi anni Settanta.
  3. Christian Dill, Casa Cate, Albairone, Lehrstuhl für Architektur und Entwurf Prof. Flora Ruchat-Roncati, ETH Zürich 1997.

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