Ar­chi­tet­ti del­le ne­vi

Data di pubblicazione
12-03-2024

Com’è ben noto, Carlo Mollino – oltre che essere un grande architetto – era un virtuoso sciatore, capace di manovre acrobatiche così come di lucide speculazioni sul tema. Nel 1950 pubblicò infatti un libro originalissimo (Introduzione al discesismo), nelle cui pagine troviamo analitiche spiegazioni della materia ma anche discorsi più ampi e teorici.

Scriveva nelle prime pagine: «Coscienti delle ragioni che hanno determinato le regole di una tecnica, sapendo “che cosa succede”, si potrà superare ancora e più facilmente quei disperanti “punti morti”, quegli arresti quasi periodici e purtroppo a volte anche definitivi, ben conosciuti da ogni sciatore anche non mediocre, che pare segnino la tassa di pedaggio per procedere a un grado superiore di abilità e stile».

Sostituendo «sciatore» con «architetto», potreste avere un monito rivolto ai professionisti che in quegli anni non riuscivano ad andare oltre la meccanica ripetizione delle forme indicate dal razionalismo d’anteguerra, ormai spesso smorzate di significato e pathos. Per superare tale impasse, Mollino percorse numerose strade, fino a raggiungere la scoperta «di quello stile invidiato che, come tale, non si copia, ma si crea naturalmente traendolo da se stessi».

Tra queste vogliamo soffermarci su di un particolare aspetto del modus operandi molliniano, che alcuni (Antonio De Rossi e Roberto Dini, nel recente volume La montagna di Carlo Mollino, edito da Hoepli) hanno spiegato facendo ricorso alla categoria di «dispositivo analogico», ovvero alla trasfigurazione di forme da particolari ambiti al regno della costruzione.

Rimanendo sulla neve, è piuttosto immediato trovare corrispondenza tra le traiettorie disegnate da Mollino per il suo manuale sciistico – dove curve sinuose sono arricchite da appunti sulla giusta postura – e gli analoghi profili che definiscono gli spazi della Sala da ballo Lutrario e il foyer del Teatro Regio di Torino, così come i suoi arredi in legno curvato. Le stesse linee s’incontrano del resto, come la recente mostra all’Archivio di Stato di Torino ha sottolineato, in settori (apparentemente) lontani dall’arte del costruire come l’aeronautica, altro campo battuto dall’architetto. Basti guardare i diagrammi che il torinese preparava per le sue sequenze di volo acrobatico.

Limitarsi a tali suggestioni per spiegare l’universo formale di Mollino sarebbe riduttivo: oltre a evoluzioni e piroette, nelle sue curve c’è tanto altro, a cominciare dal barocco piemontese, dall’interesse per l’art nouveau, il surrealismo e molto più. Interessante è però notare come la tensione ad andare «oltre la prigione cubica» (titolo di un noto saggio di Anna Maria Zorgno del 1992) in cui si era rinchiusa parte del razionalismo internazionale, ovvero andare oltre un’interpretazione geometricamente restrittiva della tecnica moderna, sia passata anche dalla «evasione» verso altre discipline, come quelle sportive, foriere di stimolanti «paesaggi» geometrici e del resto anch’esse parte del più ampio percorso della Modernità.

L’approccio allo sci e al volo non si limita a una fascinazione futurista per la performance fisica, l’adrenalina e la velocità. Infatti, lo sport viene presto ricondotto a una sua schematizzazione scientifica, capace di svelarne i meccanismi, eventualmente a migliorarli, e infine – una volta assimilati – anche a tradurli (o ritrovarli) con valenza semantica totalmente diversa in altro ambito (l’architettura, il design), con il supporto di tecniche specifiche. In questo modo, come dice Mollino, è lo stile che plasma la tecnica, e non viceversa. Sarà un caso che Félix Candela, innovatore del linguaggio espressivo del cemento armato nel dopoguerra con le sue strutture sinuose e sottilissime, fosse stato campione spagnolo di salto con gli sci nel 1932?

Articoli correlati