In­fra­strut­tu­re dell’ac­qua

Nuove ecologie progettate

Data di pubblicazione
14-02-2022

La presa di coscienza della fragilità del nostro pianeta, l’emergenza dei cambiamenti climatici e la previsione dei preoccupanti effetti sui territori hanno portato l’architettura, l’ingegneria e più in generale il mondo della pianificazione, a una sempre maggiore attenzione verso il progetto dell’infrastruttura per la gestione delle risorse idriche e la mitigazione del rischio inondazione. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla realizzazione di numerosi interventi in tutto il mondo che, in maniera differente, indagano questo tema e che coinvolgono importanti design firm: Ramboll Studio Dreiseitl, Secchi e Viganò, Aldayjover arquitectura y paisaje, De Urbanisten, Marco Vermeulen, Turenscape, Waggonner & Ball Architects, H+N+S, Weiss/Manfredi, West 8, SWA, OKRA Landschaps Architecten, Tredje Natur, BIG, OMA, Landprocess, Atelier Descombes Rampini.

Gli ambiti spaziali in cui essi si localizzano sono generalmente i margini fluviali e lacustri, i waterfront costieri e i vuoti fra le maglie del costruito. Raramente questi interventi li si definisce infrastrutture. Comunemente si parla di riqualificazioni costiere, di lungolaghi e lungofiumi, di rinaturalizzazioni, il più delle volte di parchi. Essi appaiono talora come piazze, altre come argini percorribili, spesso come spazi verdi contenenti attrezzature e servizi. Ebbene tali architetture dell’acqua, questi waterscape, la cui progettazione coinvolge generalmente team multidisciplinari di architetti, ingegneri, paesaggisti, urbanisti, agronomi, sono delle vere e proprie infrastrutture per il territorio.

I motori principali che muovono questi interventi contemporanei sono generalmente di diverso tipo. Spesso nascono dalla volontà di riqualificare aree degradate e abbandonate, aree di waterfront che nei tempi addietro sono state i luoghi della produttività della città, con l’obiettivo di generare nuovo valore immobiliare dei siti in cui si interviene e dei lotti prospicienti e attivare così importanti economie basate sulla costruzione di nuovi edifici da destinare al mercato immobiliare. Tali motori hanno promosso soprattutto le riqualificazioni urbane dei lungofiumi a partire dagli anni Novanta. Si pensi a Bilbao, ai Dockland di Londra, alla riqualificazione del lungofiume del Rodano a Lione e della Limmat a Zurigo, alla città portuale di Amburgo e al continuo processo di infrastrutturazione delle rive dell’Elba tuttora in corso, alle riqualificazioni di quelle del Danubio a Bratislava, della Sprea a Berlino e del Meno a Francoforte.

La necessità di intervenire sulla qualità delle acque è un altro volano per il progetto di queste infrastrutture. Le risorse idriche fluviali, lacustri e marine sono contraddistinte da alti livelli di inquinamento che minacciano gli ecosistemi dei nostri territori. Esistono numerosi progetti in tutto il mondo che hanno l’obiettivo di depurare le acque, ripopolare la fauna ittica e migliorare in generale la qualità degli ambienti umidi. Alle volte si tratta di semplici depuratori di reflui urbani e industriali che per anni si sono riversati nei corsi d’acqua, altre di progetti paesaggistici con visioni integrate che prevedono perfino la balneazione. Spesso i promotori di questi progetti sono organizzazioni di cittadini, gruppi ambientalisti e associazioni naturalistiche.

La mitigazione dell’urban flooding è ulteriore causa di realizzazione di questi interventi, probabilmente la principale degli ultimi anni in ambito urbano. La necessità di mitigare il rischio allagamento dell’abitato, che è soggetto a piogge sempre più intense nel breve tempo, e di realizzare sistemi in grado di accogliere le piene dei fiumi, dei laghi e dei maremoti, porta alla progettazione di nuovi sistemi infrastrutturali e di interi piani urbani, i cosiddetti Piani dell’Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che programmano in un arco temporale di 100-200 anni, dunque ben oltre i 25 anni dei piani regolatori italiani, gli interventi per rendere i territori in cui viviamo maggiormente resilienti.

Queste diverse esigenze, e gli obiettivi che si definiscono con esse, conglobano sovente all’interno dello stesso progetto. In altre parole i progetti che si realizzano, seppur nascano da una esigenza predominante – quale ad esempio la messa in sicurezza dell'ansa di un fiume – affrontano, nella maggior parte dei casi, molteplici aspetti e criticità del territorio – promuovendo tra l'altro la depurazione dell’acqua, la realizzazione di parchi giochi e spazi pubblici per lo spettacolo e il ripopolamento delle acque con specie animali e vegetali in via di estinzione.

Le suddette crisi diventano così occasioni progettuali per dar vita a paesaggi infrastrutturali, le cui diverse componenti si ibridano dando luogo a morfologie, forme e linguaggi differenti e inaspettati che qualificano i nostri territori. Contraddistinte per la loro innata multifunzionalità, queste infrastrutture non trovano una definizione univoca ma rispondono alle molteplici esigenze dei contesti in cui si innervano. Convogliano e accolgono i flussi idrici durante le piene: aree umide, pond, piazze d’acqua e giardini della pioggia, canali di bypass e vasche di laminazione assorbono e direzionano l’acqua grazie ad attenti rimodellamenti microtopografici; contribuiscono alla depurazione delle acque, dei suoli e dell’aria, in particolare attraverso la loro componente vegetale e attraverso le tecniche di fito-depurazione; contribuiscono alla mitigazione e al consolidamento del rischio idrogeologico attraverso sistemi di consolidamento degli argini, stabilizzazione degli alvei fluviali e gestione dei flussi nei confronti sia del deposito che dell’erosione; si configurano quali spazi pubblici per il tempo libero e per lo sport; promuovono reti della mobilità sostenibile; sovente producono energia da fonti rinnovabili da reimmettere nella rete territoriale; ospitano edifici con diverse destinazioni d’uso, da quelle residenziali alle strutture ricettive, dai padiglioni espositivi alle attrezzature per il birdwatching.

La storia è piena di esempi di infrastrutture che ibridano usi e funzioni. Le infrastrutture contemporanee dell’acqua guardano con rinnovato interesse ai modelli del passato. Alle trasformazioni spontanee di acquedotti, strade, porti, stazioni, avvenute nel corso dei secoli, si affiancano esempi che fin dal concepimento furono pensati come architetture multitasking. Si pensi ai progetti di Leonardo da Vinci; alle macchine idrauliche dell’architetto ticinese Giovanni Fontana che servivano la città di Roma e la celebravano; a piazza del Campo a Siena, spazio pubblico che nasce dall’esigenza di convogliare l’acqua piovana verso un sistema di canali; al ponte medievale della città di Mantova che ospita le Pescherie di Giulio Romano (1536); al ponte-diga tra Melide e Bissone (1844-1847) progettato dall’ingegnere Pasquale Lucchini che fungeva al contempo da attraversamento e da chiusa; al monumentale ponte persiano di Khaju, nella provincia di Isfahan, in Iran, che serve da diga, da luogo di incontro, oltre che da struttura di connessione; al Tevere, che soltanto con la modernità ha perso il suo ruolo di infrastruttura multitasking. Essi rappresentano soltanto alcuni esempi antichi che uniscono alla ragione strutturante di management dei flussi idrici, funzioni altre quali attività commerciali, religiose ecc.

Anche il Novecento, il secolo che ha prediletto il carattere funzionale dell’infrastruttura, ha visto la produzione di progetti che rappresentano una premessa fondamentale dell’infrastruttura idrica contemporanea. I disegni di Antonio Sant’Elia per la Città Nuova (1913-1914), l’infrastruttura d’acqua a Lubiana di Jože Plečnik e le opere stradali e idrauliche di Paul Bonatz, realizzate tra gli anni Venti e Trenta, riflettono sulla possibilità di fondere infrastrutture e città in figure nuove. Di più recente realizzazione è l’AlpTransit, l’infrastruttura ferroviaria che ha previsto importanti opere di governance delle risorse idriche e un attento studio per l’integrazione paesaggistica.1

Un altro aspetto che contraddistingue questi interventi contemporanei è il loro stato metamorfico. Confrontandosi con il tema dell’acqua, questi interventi considerano la condizione di movimento, di cambiamento una proprietà intrinseca del progetto stesso. L’acqua scorre, aumenta il suo volume durante i momenti di piena e si prosciuga durante quelli di secca dando vita a scenari sempre differenti, variabili e di grande fascino. In questo senso questi progetti tentano di costruire il non finito, puntano a costruire dei paesaggi capaci di convivere con l’acqua, reagire ai suoi cambiamenti: dei paesaggi adattivi, in grado di conformarsi alle differenti dinamiche fluviali, lacustri e marine e di evolvere nel lungo termine con esse, in una sorta di rapporto simbiotico tra il costruito e la natura che sempre più sfumano i loro limiti.

I paesaggi che si costruiscono sono paesaggi in continuo divenire. Essi sono flessibili. Si modificano nel breve termine per accogliere i flussi idrici durante gli eventi meteo­rologici più estremi – piazze all’occorrenza diventano bacini idrici, giardini fungono da vasche di laminazione per poi ritornare alla loro funzione originaria – e nel lungo termine si trasformano evolvendo con la geografia del territorio – una geografia che sappiamo varierà a causa di cambiamenti climatici, si pensi all’innalzamento degli oceani e alla conseguente scomparsa di terre emerse. Essi stessi sono dei paesaggi liquidi.2

Tutte queste infrastrutture sono dunque accomunate da un attento rapporto con il paesaggio naturale. Si integrano a esso, addirittura lo potenziano, tentano di stabilire con l’ambiente naturale quel rapporto simbiotico, di reciproco vantaggio, al fine di costruire una nuova natura, una natura 2.0,3 più potente, più performante, in cui le componenti antropiche e quelle naturali traggano forza le une dalle altre. Spesso si parla impropriamente di retrofitting, alle volte di conservazione. Alla base di questi progetti vi è piuttosto un'idea di ibridazione e di co-evoluzione.

Si va oltre i concetti di inserimento ambientale e di integrazione che a partire dagli anni Sessanta ha visto protagoniste in Italia le opere degli ingegneri Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Sergio Musmeci, Aldo Favini, Silvano Zorzi, e nel Canton Ticino dell’architetto Rino Tami, la cui eredità è tutt’oggi manifesta in Svizzera, dove l’attenzione all’integrazione paesaggistica delle infrastrutture, in particolare quelle viarie, è un tema sempre presente. Le infrastrutture idriche contemporanee tentano sì di risarcire dal punto di vista ambientale territori per decenni sfruttati incondizionatamente, ma soprattutto di innestare nuovi processi ecologici, oltre che culturali e socio-economici. Non vi è un tentativo di ri-costruire paesaggi naturali andati perduti, bensì di costruirne di nuovi, in cui la componente antropica conviva con quella naturale. Si tratta di vere e proprie ecologie progettate.4

Non bisogna però pensare che questi interventi prevedano soltanto tecniche di ingegneria naturalistica, o che si tratti di leggere operazioni di giardinaggio. Queste infrastrutture, il più delle volte basate su processi naturali (Nature Based Infrastructures), mettono in campo importanti operazioni di scavo, rimodellamento e ispessimento del suolo,5 attraverso operazioni di cut and fill, e utilizzano, accanto alle tecniche dell’ingegneria naturalistica e delle terre armate, le più tradizionali tecniche del cemento armato e dell’acciaio.

Nel manipolare il suolo vi è il duplice obiettivo di creare topografie in grado di convogliare e assorbire i flussi idrici e dall’altro dar vita ad affascinanti paesaggi dalle nuove estetiche. A tal proposito risultano essere indispensabili nella fase di progettazione gli strumenti digitali attraverso cui generare pattern tridimensionali e nuove tettoniche per una gestione sostenibile delle acque. Modelli tridimensionali, parametrici, modelli topologici e modelli GIS, modelli BIM e di simulazione idrodinamica e idraulica contribuiscono alla formalizzazione di queste morfologie interattive e più in generale al progetto di queste infrastrutture, concepite come un campo elastico di forze, promuovendo un elevato approccio scientifico alla costruzione.

Queste infrastrutture multitasking inverano così la simultaneità dell’era digitale, l’imprevedibilità e l’immanenza del cambiamento del presente, attraverso forme e figure. In esse trasmigrano le interconnessioni dinamiche della rivoluzione digitale, il pensiero sistemico e della complessità dell’era contemporanea, che diventa spazio, forma, tecnica, materia, linguaggio. Il paradigma cui appartengono è molto lontano da quell’approccio monofunzionale, eminentemente tecnico del MOSE di Venezia. Esse appartengono piuttosto a una ricerca dell’ibridazione nell'architettura e nell’ingegneria, che prevede un criterio ecosistemico in cui la costruzione di relazioni, di inter-connessioni nella realtà fisica del mondo rappresenta il cuore dell’indagine, e che vede impegnati gli architetti contemporanei in avanzate sperimentazioni in cui l’Information Technology rappresenta uno strumento imprescindibile per dotare la costruzione di sistemi reattivi in grado di simulare alcuni comportamenti della natura – nel reagire al clima, ai flussi di utilizzo, ai fruitori e alla loro emotività.6

Un altro aspetto che contraddistingue queste infrastrutture è la loro multiscalarità. A interventi di ampia scala, masterplan urbani, piani regionali, si affiancano progetti di piccola scala, puntuali e diffusi capillarmente. Proprio questi ultimi rappresentano il nuovo trend per la mitigazione dell’emergenza idrica contemporanea. Accanto alla politica delle grandi opere, si promuove un nuovo modello incrementale che prevede la realizzazione di una rete di piccole infrastrutture attraverso differenti tappe progressive, che nel lungo termine costruiscono una visione globale sull’intero territorio.

Tale modello risulta essere più sostenibile dal punto di vista economico in quanto realizzare grandi strutture equivale ad avere enormi risorse nell’immediato e richiede tempi lunghi, in quanto consente un più agile intervento fra le maglie del costruito, a causa della saturazione degli spazi urbani, ed equivale a costruire un sistema resiliente, inter-connesso, dotato di diversità e ridondanza secondo le definizioni di Mehaffy e Salingaros.7 Se il nostro territorio dipendesse da un'unica infrastruttura, basterebbe una falla a causare la sua intera paralisi. Viceversa il danno di una sola infrastruttura appartenente a una rete di infrastrutture permetterebbe comunque la sopravvivenza del sistema territoriale.

Le differenti strategie che questi progetti mettono in pratica per operare nella città contemporanea determinano diverse tipologie di intervento nei quali essi sono inscrivibili, strettamente connesse all’ambito spaziale in cui operano. Cinque tipologie sono sufficienti a descrivere le reti urbane contemporanee della dispersione idrica: water square e rain garden, stormwater park, buffer space, argini e bacini sotterranei.8

Water squares e rain gardens, insieme a vasche di laminazione e canali di bypass, polder e vasche ipogee entrano sempre più nel vocabolario del progettista, non soltanto dell’ingegnere idraulico, ma più in generale degli architetti, dei paesaggisti, degli ingegneri appartenenti a discipline anche differenti dall’idraulica, ai pianificatori in generale. L’Olanda e la Repubblica Cinese sono stati nell’ultimo ventennio i maggiori promotori di infrastrutture idriche all’avanguardia, vista la natura del loro territorio, permeato dalla presenza di corsi d’acqua.

In Olanda tra i pluripremiati progetti si ricordano la piccola water plaza Benthemplein a Rotterdam di De Urbanisten (2013), il grande progetto Ruimte voor de Rivier a Nimega (2012-2016) affidato a H+N+S che coordina un team di architetti, paesaggisti e ingegneri quali Zwarts & Jansma Architects, Ney-Poulissen Architects & Engineers, NEXT Architects, Trafique e la diga-parcheggio a Katwijk aan Zee (2010-2015), progettato da OKRA Landschaps Architecten e Royal Haskoning DHV.

In Cina sono noti i vasti progetti urbani ed extra-urbani. Quelli di Turenscape, lo spin off cinese che ha realizzato una moltitudine di interventi lungo i fiumi; il Weiliu Wetland Park a Xianyang di Yifang Ecoscape (2017); il Phase Shifts Park a Taichung (2011-2020) di Mosbach Paysagistes, Philippe Rahm Architectes e Ricky Liu & Associates Architects + Planners; sono soltanto alcuni di una ben più lunga lista. Gli Stati Uniti sono alle prese soprattutto con interventi per rendere le loro coste più resilienti. Si ricordano i piani messi in atto a New Orleans e i progetti in corso a New York ad opera di SWA/Balsey, Weiss/Manfredi, BIG, OMA e altri studi di fama internazionale.

Anche la Svizzera conta una serie di progetti virtuosi. La riqualificazione della Sihl (2001-2024) a Zurigo e delle rive del suo lago, i premiati progetti di rinaturalizzazione del delta del Ticino Delta Vivo (2010), quello della foce del Cassarate (2014) a opera di Officina del Paesaggio, il progetto dell'Aire (2015) coordinato da Atelier Descombes Rampini, studio che ha realizzato anche la sistemazione de la plage des Eaux-Vives (2020) nel Cantone di Ginevra, il parco fluviale dell’Île de la Suze a Bienne (2017) nel Canton Berna, la riqualificazione della zona golenale Pian di Alne (2010), Area in­du­stria­le Jen­ny a Ziegelbrücke nel Canton Glarona (2011) progettato da Beglinger+Bryan Landschaftsarchitektur (cfr. Archi 2/2013) sono alcuni dei progetti elvetici che hanno avuto maggiore visibilità.

A questi si affianca una rete di progetti minori, come piccole arginature, riqualificazioni dei riali, sostituzione di briglie e rinnovo di vecchie paratoie che impegnano i progettisti locali e che sono indispensabili a una attenta gestione del territorio nella sua globalità. Il rinnovo della briglia fluviale Platzspitz, alla confluenza dei fiumi Sihl e Limmat a Zurigo (2013-2021), e la bonifica di siti contaminati nel lago di Zurigo al largo di Uetikon (2016-2020), seguiti dal gruppo TBF Partners, sono altre opere di natura soprattutto monofunzionale, che si uniscono a una rete di progetti di rinnovo di infrastrutture quali vecchi depuratori, centrali idroelettriche e di teleriscaldamento, ma anche di piccoli spazi urbani destinati prevalentemente al tempo libero, come ad esempio il Griespark di ASP Landscape Architects (2007-2009).

Si segnala infine il masterplan per la riqualificazione del lungolago di Lugano, per il quale è stato organizzato un mandato di studio parallelo da cui è emersa come proposta raccomandata quella dello studio Inches Geleta Architetti con Demattè Fontana Architekten. Con questo progetto, insieme ad altri interventi programmati, che sono ancora in una fase preliminare e di studio, la Svizzera tenta di costrui­re un paesaggio in grado di convivere con l’acqua e con le sue dinamiche.

Note

 

1. Sul tema dell’infrastruttura in generale si rimanda a A. Ferlenga, M. Biraghi, B. Albrecht (a cura di), L’architettura del mondo. Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi, Compositori, Milano 2012.

 

2. Herbert Dreiseitl è uno dei maggiori teorici e fra i più importanti progettisti di queste infrastrutture dell’acqua. Per questo motivo si rimanda a uno dei suoi scritti sul tema: H. Dreiseitl, G. Grau, New Waterscapes; Planning, Building And Designing With Water, Birkhäuser, Basel 2005.

 

3. Adrian Geuze l’ha definita più volte la «seconda natura». Si rimanda a tal proposito a uno dei suoi scritti: A. Geuze, Second Nature. New territories of wilderness for unknown future colonisation, «Topos», 2010, n. 71, pp. 40-42.

 

4. Seppur non sia possibile in questo numero fare una disamina esaustiva sul tema dell’ibridazione tra natura e costruito nell'architettura e nell'ingegneria, è doveroso sottolineare l’esistenza di una vasta ricerca, in cui l’Information Technology ha un ruolo primario, attraverso cui architetti e ingegneri – quali ad esempio Ecologic Studio, François Roche, Achim Menges – promuovono e sperimentano nuovi materiali, biotecnologie e tecniche all’avanguardia per la costruzione di architetture e processi costruttivi più sostenibili, per la costruzione di bioarchitetture.

 

5. Sull’infrastrutturazione del suolo si rimanda a: A. De Cesaris, Il progetto del suolo-sottosuolo, Gangemi, Roma 2012.

 

6. Si rimanda più in generale alla ricerca e agli scritti di Antonino Saggio, in part.: A. Saggio, Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura, Carocci, Roma 2007 (contributo fondamentale sull'impatto dell'Information Technology sull'architettura). In questa sede, trattando dell'infrastruttura contemporanea, è doveroso citare anche la serie di articoli da lui firmati sul tema tra il 2014 e il 2016, pubblicati su «L'architetto», e disponibili on line: www.arc1.uniroma1.it/saggio/#Publications.

 

7. Si rimanda a M. Mehaffy, N.A. Salingaros, Toward Resilient Architectures 1: Biology Lessons, «Metropolis», 2013. Disponibile online: www.metropolismag.com.

 

8. Si rimanda al volume G. De Francesco, Architettura dell’Acqua. L’emergenza idrica come occasione progettuale nella città contemporanea, Quodlibet, Macerata 2020 che offre una panoramica su diverse strategie messe in atto nella città contemporanea per mitigare il rischio di urban flooding attraverso un approccio integrato.

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