Gli in­geg­neri sono ar­chi­tetti e ur­ba­nisti in­con­sa­pe­voli?

Essenza ed esperienza nella progettazione dei ponti

Non c’è dubbio: gli ingegneri civili agiscono come architetti e urbanisti senza saperlo o senza ammetterlo.

Date de publication
10-02-2014
Revision
08-10-2015

Chi costruisce le opere che emergono maestose nei nostri paesaggi agricoli e urbani?1 Chi stabilisce i tracciati e l’aspetto fisico delle vie di comunicazione che fissano nuovi limiti territoriali incisivi? Chi si occupa di scavare porzioni della nostra città sotterranea? La risposta è: gli ingegneri civili, ben più degli architetti, che, al limite, possono farsi notare per qualche manufatto notevole e per un grattacielo, costruito con l’ausilio dell’ingegnere.

Questo fatto conferisce agli ingegneri civili di oggi una missione civilizzatrice ben più importante che nel passato. Pur essendo ancora fondamentalmente formati per realizzare opere tecnicamente ad alte prestazioni e al miglior prezzo, sono pochi quelli che si mettono ancora in gioco per discutere le conseguenze urbanistiche/territoriali del loro mandato. Oltrepassare la mera funzione tecnica della struttura, questo dovrebbe essere un obiettivo responsabile da inserire al centro, non a margine, della formazione degli ingegneri.

Per quanto riguarda i ponti, strutture assai visibili nel territorio, l’ingegnere solitamente si trova a affrontare problematiche che vanno oltre la semplice funzione. È evidente che il ponte debba resistere a carichi statici e dinamici, alle intemperie, all’invecchiamento, ai sismi, ecc. La sua ragione d’essere va oltre tali prerogative e ricerca quell’«eleganza» che spesso gli ingegneri definiscono «estetica».

Nella storia, protagonisti quali i Grubenmann, Maillart (Fig. 2),2 Sarasin, Hofer (Fig. 1), Menn, per citare solo alcuni protagonisti svizzeri la cui fama va ben oltre le nostre frontiere, hanno superato l’approccio strettamente utilitario e trovato delle soluzioni progettuali molto eleganti.

Qual è l’essenza di un ponte?

La natura intrinseca di un ponte è in primo luogo quella di rendere più agevole la comunicazione fra delle regioni dello spazio, dei luoghi divisi da ostacoli di natura topografica o altro. Il filosofo Martin Heidegger ha espresso la natura del ponte scrivendo: «Il ponte si slancia leggero e possente al di sopra del fiume. Esso non solo collega due rive già esistenti. Il collegamento stabilito dal ponte – anzitutto – fa sì che le due rive appaiano come rive. È il ponte che le oppone propriamente l’una all’altra. L’una riva si distacca e si contrappone all’altra in virtù del ponte. Le rive, poi, non costeggiano semplicemente il fiume come indifferenziati bordi di terra ferma. Con le rive, il ponte porta di volta in volta al fiume l’una e l’altra distesa del paesaggio retrostante. Esso porta il fiume e le rive e la terra in una reciproca vicinanza [...…].»3 

Pertanto, benché ci siano delle rive, non è solo a causa del notevole costo per la comunità, ma soprattutto per la sua capacità di essere in grado di collegare delle terre finora separate, che il ponte è oggetto di inaugurazioni solenni. In questo senso, il ponte è un grande dono. Accade troppo spesso, tuttavia, che il ponte risulti un «calice avvelenato». In genere la maggior parte dei ponti, viadotti, ferrovie, autostrade e altre bretelle di accesso, non sono più soggetti alle inaugurazioni ufficiali. Al contrario, sono accusati di aver operato cesure o di aver unito frammenti di quartieri, estranei alla storia dei luoghi, senza alcuna pianificazione ambientale. 

In assenza di un progetto, gli spazi al di sotto dei viadotti stradali diventano spesso terra di nessuno (Fig. 3-4). In altri contesti succede esattamente il contrario: il viadotto che originariamente attraversava possente una valle, a posteriori viene soffocato dall’ espansione urbana sotto la pressione speculativa sui prezzi dei terreni. 

Vivere l’esperienza di un ponte: «evento» lungo un percorso

Obiettivo primario dei tracciati delle vie di comunicazione è di garantire la continuità, la fluidità del trasporto. Qual è la relazione con il viaggiatore che attraversa l’ostacolo? La maggior parte dei ponti contemporanei trattano l’ostacolo come se non esistesse più, oppure come se non esistesse il ponte stesso. È vero che le strutture odierne, ponti, viadotti, si sono moltiplicati a tal punto che hanno perso il loro significato speciale lungo un percorso. Il fruitore che li attraversa spesso non li nota nemmeno più. Talvolta questo è un bene, ma non sempre!

Prendiamo un esempio del passato, in Ticino, forse dimenticato: la sostituzione del vecchio ponte sradicato dalle piene del Melazza a Golino. La proposta per il nuovo ponte nel 1976 era il progetto razionale di un ingegnere, nello spirito di concepire una struttura che facilitasse meccanicamente la circolazione viaria, una sorta di «macchina da trasporto» che in qualche modo occultava l’evento della traversata. Oggigiorno l’approccio della costruzione a nastro continuo sarebbe probabilmente ancora più radicale, e il ponte si ridurrebbe a un’ampia curva, incrementando la velocità, senza «gomiti» in ingresso e in uscita. Nel momento in cui ci si avvicinasse a Golino, verrebbe però apposto un cartello di riduzione velocità a «30 chilometri all’ora», e così l’assurdità degli investimenti avrebbe raggiunto il suo picco. 

Luigi Snozzi, probabilmente uno degli architetti, pensatori e critici più importanti in Ticino nel XX secolo, pronto a mettere in discussione le «abitudini troppo consolidate» allora in adozione, propose un contro-progetto (rifiutato) con l’idea di mantenere il significato e l’esperienza della traversata. Il principio di Snozzi è semplice e fondamentale: un vero ponte ha bisogno delle sue «teste di ponte». In altre parole, bisogna sottolineare e far sentire l’entrata e l’uscita, il momento in cui si attraversa o lascia un ponte, o più raramente la sua mezzeria, il suo «centro».4

Un altro esempio: il Canale di Corinto che accorcia il viaggio per mare di 400km per le navi fino a 10.000 tonnellate (ne è previsto l’allargamento). Oltre a questa funzione, il Canale sottolinea, attraverso il suo profondo squarcio, la distinzione geografica del Peloponneso rispetto alla Grecia continentale con una storia diversa appartenente ai due territori. Mettere in scena questo importante evento è quasi un’imposizione per evidenziarne le specificità! Passare da un «subcontinente» a un altro, non è cosa ovvia e banale (Fig. 6-7).

Esaminiamo i «potenziali eventi» di cinque ponti che attraversano il canale: il vecchio ponte in disuso della ferrovia, il ponte stradale, il nuovo ponte ferroviario, il nuovo ponte autostradale e il ponte che scompare sotto l’acqua per cedere il passo alle navi in transito. Tutti i nostri mezzi sensoriali contribuiscono alla nostra percezione - la vista (paesaggio), l’udito, le vibrazioni, il cambio di velocità e di direzione, tutti contribuiscono a segnalare un particolare episodio durante il nostro viaggio (in treno, in auto, a piedi o con qualsiasi altro mezzo di trasporto).

Nessun ponte sul Canale di Corinto è particolarmente «elegante». La loro triste storia è di essere stati distrutti durante le guerre. Nel 1941 gli inglesi distrussero tutti i ponti per rallentare l’avanzata dell’esercito tedesco, che peraltro ripristinò questi passaggi con gran rapidità. Nel 1944 durante la ritirata tedesca i ponti furono ancora una volta distrutti e il Canale venne reso impraticabile ribaltandovi i vagoni ferroviari. Ecco la sorte toccata alla povera Grecia! I ponti costruiti a buon mercato svelano la mediocrità concettuale; l’assenza di intenzione (tranne la funzione tecnica di attraversamento) solleva da ogni considerazione estetica e porta ad affrontare il tema del potenziale episodico dei ponti nella prospettiva del viaggiatore.

1. Il ponte della ferrovia nel 1884, ricostruito nel 1947-1948, in disuso dal 2005. Un traliccio in acciaio (Fig. 8):
- in avvicinamento, il treno rallenta, affrontando l’attraversamento con precauzione;
- durante la traversata, le normali vibrazioni del treno cambiano di natura;
- anche l’udito è messo in guardia da una sonorità «cava» particolare (acciaio);
- il passeggero si incolla al finestrino per non perdere l’evento.

2. Ponte della strada nazionale del 1889, ricostruito nel 1947-1948, raddoppiato nel 1975. Ponti ordinari che hanno trovato comunque la loro ragion d’essere (Fig. 8):
- il restringimento della carreggiata e l’aggiunta di un percorso pedonale su entrambi i lati conferiscono al ponte l’appellativo di «Belvedere del Canale»;
- l’abisso così spettacolare e così stretto e profondo fa registrare un’attività fotografica pari a quella che avviene di fronte alla Torre Eiffel; la gola non ha mancato di ispirare anche fanatici bungee jumping, stunt men in moto che saltano i 70 metri di larghezza del canale, e alpinisti;
- in barba a qualsiasi pianificazione, numerose e grandi bancarelle e venditori di souvlaki si sono installati all’ingresso del ponte, uno dei migliori ristoranti «on the road» nel mondo!

3. Il nuovo ponte ferroviario 2003 (Fig. ​9):
- non c’è né alcun riconoscimento del passaggio nessun rallentamento, sensazioni uditive o vibrazioni, riconoscimento visivo di teste di ponte o della sovrastruttura. Unico obiettivo raggiunto: il nastro continuo. Nessun sospetto per il viaggiatore di passare da un subcontinente all’altro.

4. Il nuovo cavalcavia 1996 (Fig. 10):
- non vi è il minimo riconoscimento di passaggio, né rallentamenti o fermate, sensazioni uditive vibrazioni. Unico obiettivo raggiunto: il nastro continuo. Nessun viaggiatore è consapevole dell’evento né della traversata.

5. Il ponte sommergibile del 1987 all’ingresso del canale (Fig. 11-13):
- alle due estremità del canale è stato costruito un ponte che non viene utilizzato per il flusso ad alte prestazioni, ma piuttosto per le comunicazioni locali; entrambi i ponti scompaiono sotto l’acqua per cedere il passaggio alle navi, se necessario;
- ecco un evento sia per chi vede la continuità del suo viaggio su strada interrotto dalla vista della scomparsa del suo ponte sotto l’acqua, sia per i naviganti che vedono e salutano, dopo tante ore o giorni di viaggio in mare, la prima presenza umana;
- naturalmente i commercianti hanno colto l’occasione: su ogni sponda è posizionato un caffè con ampia terrazza per festeggiare lo spettacolo.

La lezione che possiamo trarre da questi ponti è che, secondo l’importanza di ciò che si attraversa, vale la pena di prendere in considerazione il ruolo del ponte come evento ed esperienza e, se del caso, aggiungerlo alle specifiche tecniche.

I ponti sono belli o eleganti?

Supponiamo che il termine «bellezza» sia legato alle convenzioni estetiche di un determinato periodo, mentre «eleganza» suggerisce un’emozione più intrinseca e senza tempo. Considerata l’estensione dell’aspettativa di vita di un ponte (anche se solo per il suo costo elevato), suggerisco di convalidarne l’eleganza piuttosto che la bellezza.

Parlando di architettura anziché di strutture: perché mai dovremmo avere una fissazione per le cattedrali, anche se la loro estetica è francamente ai margini del nostro senso contemporaneo di bellezza? Il denominatore comune non si trova forse nell’eleganza di queste strutture slanciate, ove i fasci di pilastri e il rapporto con la forza di gravità cedono il passo alla penetrazione della luce? (Fig. 16). Allo stesso modo si potrebbero annoverare tra le strutture eleganti i ponti di Arta (Fig. 14), un ponte di Robert Maillart (Fig. 2) o di Christian Menn, i viadotti della Räthische Bahn e quello che si eleva sopra il Castello di Chillon (Paul Hofer, Fig. 1), alcuni ponti sospesi (non tutti!) e molti ponti pedonali contemporanei. Questi ultimi sopravvivranno molto bene alle mutazioni del gusto e della moda, perché la loro forma è essenziale.

Per essere più concreti, chiediamoci quali potrebbero essere alcune caratteristiche di un «ponte elegante»

Tra i fattori relativamente sicuri troviamo ispirazione dall’osservazione della natura: le strutture di piante, tra cui alberi – le foglie, i rami, il tronco, le radici – ma anche nelle ali spiegate degli uccelli ecc. Ciò che accomuna queste strutture è la loro scomposizione in parti operanti insieme per un unico scopo: gestire la gravità e la resistenza al vento e ad altri elementi. Per ragioni di economia queste piante o questi animali distribuiscono il flusso delle forze in elementi filiformi e leggeri: quest’approccio sfocia in forme che possono essere considerate eleganti, dandoci un senso di intendimento e di soddisfazione. Ne facciamo esperienza dalla nostra infanzia5 (Fig. 1, 2, 16).

È poi indispensabile il rapporto con il sito

Il ponte è un ponte e un ponte non è una trave. Il viadotto sovrappassa un paesaggio o una città, il ponte è un luogo specifico per l’attraversamento di un ostacolo. Per intenderci, deve essere compresa la distinzione tra i due. Il viadotto è «linea» (Fig. 1), il ponte è «attraversamento». Il ponte è locale: è luogo di passaggio e qualche volta soglia, eretta a caro prezzo (anche se oggi non dobbiamo più pagare il pedaggio).

Per quanto riguarda il ponte in città o in campagna, in assenza di teste di ponte, sceglierei una struttura portante al di sopra dell’impalcato, che in questo modo manifesta la sua esistenza ai passanti e segnala la sua presenza percepita altrove, e che nella maggioranza dei casi può diventare un utile punto di riferimento urbano o territoriale.

I criteri di «evento» e di «eleganza» figurano troppo raramente nei bandi di concorso. Perché un tale pudore? Dobbiamo porci la domanda e trovarvi una risposta.

Note

  1. Vasiljevic, Slobodan: Les grands traceurs de plans, Ingénieurs et Architectes Suisses, 10 febbraio 1988.
  2. vedi anche: Favre, Renaud: La pérennité de l’arc dans la construction, Ingénieurs et Architectes Suisses, 5 luglio 1999.
  3. Heidegger, Martin: Essais et conférences, 1958.
  4. von Meiss, Pierre: Trois regards sur les ponts et viaducs, in «Techniques et Architecture» n. 336, Parigi, giugno 1981.
  5. von Meiss, Pierre: De la Forme au Lieu + de la Tectonique – une introduction à l’étude de l’architecture, cap. 9, in «Esthétique de la gravité», PPUR, Losanna, 2012.
Étiquettes

Sur ce sujet