Dia­rio dell'ar­chi­tetto, gen­naio 2013

16 gennaio 2013: Paesaggio e territorio. Dalla definizione di paesaggio alla legge cantonale sullo sviluppo territoriale.

Date de publication
22-02-2013
Revision
19-10-2015

Le derive estetiche del paesaggio

Paesaggio è in definitiva una definizione generica, nel senso che ci si può mettere dentro un po’ di tutto, città periferie villaggi colline montagne boschi radure prati pianure agricoltura e così via. Tutte componenti che vanno a configurare il paesaggio. Ma se questo paesaggio presenta – come presenta – degli squilibri e delle incongruenze e importanti perdite di valori, allora occorre capire dove e perché. Il dove: i luoghi più problematici del paesaggio sono le periferie delle città, sono le aree circostanti i villaggi, sono le colline che circondano gli abitati, sono i fondovalle e sono le rive dei laghi. Infatti: all’interno delle città le normative pianificatorie sono chiare (pur con molte contraddizioni) e gli interventi pianificatori e architettonici sono bene o male tesi verso una qualificazione spaziale dei luoghi della collettività, le piazze, le strade, le zone pedonali. Nelle periferie invece la dilatazione del costruito è avanzata con normative legate in prevalenza alle quantità, molto meno sulla qualità. Abbandonati al loro destino (qualitativo) sono soprattutto gli spazi pubblici, dalle strade che si limitano a incanalare il traffico alle aree verdi che sono piuttosto terreni di risulta o alle zone pedonali che sono inesistenti. Sulle colline la situazione è identica, forse anche peggio: affastellate le une sulle altre in piccoli appezzamenti, ville e villette si disperdono lungo viottoli e strade tracciate a caso su per i pendii, sopra muri in pietra, in cemento, in prefabbricati «fai da te», coronati da alte siepi alla ricerca di un’utopica privacy. E lontane tutte dai mezzi di trasporto pubblico. Nessuna area di svago, un parco che sia un parco: tanto – dicono – i sentieri di montagna sono poco distanti. Ma se le colline piangono, i fondovalle non ridono: occupati dalla cacofonia dei capannoni industriali e dei depositi, lungo strade percorse da camion di giorno e deserte di notte, su terreni ritenuti di nessun valore naturalistico o paesaggistico, offrono un quadro desolante nella loro banalità urbana. Non una gerarchia, un momento di «respiro spaziale», un viale alberato. Nulla.

Le cause e gli effetti

Premesso che l’evoluzione di un territorio è un fatto positivo perché traduce un’economia dinamica, vi è tuttavia da chiedersi come questa evoluzione avviene. E se di storture si tratta, occorre valutarne le cause e le conseguenze. Sono riconducibili fondamentalmente a due aspetti. Primo, chi occupa le periferie e le colline sono (salvo i luoghi dorati dei milionari con vista lago) gli abitanti delle città stesse, costretti a cercare un’alternativa ad affitti divenuti troppo cari nei centri delle città. Secondo, gli enti comunali, per nulla preoccupati di questa «emigrazione», dilatano le aree edificabili e asfaltano nuove strade in periferia. Mai però hanno fatto un «progetto» architettonico di carattere collettivo, anzi di qualità per la collettività. Non si conta un quartiere, nemmeno uno, degno di questo nome. Un quartiere vero, come lo definisce l’Enciclopedia Treccani: «Nucleo o settore che, all’interno di una città, si individua rispetto al restante agglomerato urbano per particolari caratteristiche geografiche e topografiche». Quartiere capace di offrire abitazioni di qualità a costi controllati, con aree verdi in comune, con strade veicolari divise dai pedoni e percorsi pedonali per raggiungere le scuole e le fermate dei mezzi di trasporto pubblico e i negozi e così via. In assenza di questi quartieri, il tutto è lasciato all’iniziativa della proprietà privata, che – per carità, talvolta anche bene – ha costruito singoli palazzi su singoli terreni. Nel Cantone Ticino «insomma» le città, come già si è scritto in queste colonne, le fanno i privati, non gli enti pubblici: e i privati, come è logico, fanno i loro interessi. Dalla periferia alle colline il discorso è forse più grave, perché lo spezzettamento del territorio è ben maggiore, non è per niente piatto ma contorto in mille pieghe e mille pendii, perché i muri di sostegno la fanno da padrone per tirare orizzontale quello che non lo è per posarci sopra un tavolo con delle sedie, un ombrellone e l’immancabile barbecue.


Un effetto inatteso: le nuove emergenze nel paesaggio

Se da un lato questa evoluzione urbanistica e le conseguenze che implica sono un’azione dinamica nella sua negatività, a fianco emerge un altro effetto – inatteso – di carattere invece passivo, non provocato ma subìto: la sempre maggiore importanza che, per la qualità del paesaggio, hanno oggi assunto le aree emergenti e di eccezione dentro il contesto edificato. Emergenti per il loro valore intrinseco, come ovvio, ma anche per la loro eccezionalità dentro questo paesaggio modificato, oppure per il loro ruolo di equilibrio dentro un’urbanizzazione diffusa. Alcune di queste aree sono protette a livello cantonale o comunale, ma molte invece hanno acquisito questo ruolo di «emergenza» in questi ultimi anni: non tanto per qualità proprie o perché abbellite di recente, ma perché è il «resto» che sta intorno ad essere cambiato, a essersi totalmente urbanizzato. E quindi queste aree sono rimaste come uniche isole di qualità e di identità e di eccezione dentro la banalità del paesaggio. La dilatazione del costruito è una realtà preoccupante se si osserva la spalmatura di ville e palazzine nel Mendrisiotto o in Capriasca o in sponda destra del Ticino tra Bellinzona e Gordola, o addirittura drammatica su per le falde del Brè sopra Lugano o del San Salvatore sopra Paradiso o a Orselina sopra Locarno. E sempre più evidente emerge, quale contrappunto, il valore di quello che resta dei quartieri di primo Novecento a Minusio o Muralto o Bellinzona o Mendrisio, oppure singoli edifici grandi o piccoli degli anni Sessanta e Settanta, oppure ancora le macchie ancora verdi nelle periferie di Lugano o Mendrisio o Bellinzona o Locarno, o il ponte in ferro o pietra di fine Ottocento. Oggi insomma un terreno non ancora edificato posto dentro una periferia anonima può avere un’importanza – per l’equilibrio del paesaggio – ben maggiore rispetto a cinque o dieci anni fa. Ma questo luogo divenuto oggi paesaggisticamente importante è ancora edificabile, come lo erano gli altri terreni circostanti. Il Piano regolatore, nato al minimo un dieci anni fa, ovviamente ne ignorava il ruolo strategico attuale, e ne prevede la sua edificabilità.


Progettare significa scegliere

In estrema sintesi, il paesaggio è afflitto da due fattori: primo, l’eccessiva dilatazione dell’abitato nelle periferie delle città e sulle colline che sovrastano laghi e villaggi e pianure; secondo, luoghi e spazi edificabili circondati dalla dilatazione diffusa dell’edificato e dalla sua banalità sono oggi divenuti importanti per la qualità e l’equilibrio del paesaggio. Ma poiché piangere serve a ben poco, occorre riflettere non tanto su possibili rimedi, ma piuttosto sulla necessità di «disegnare», o se si preferisce di progettare, questo paesaggio in profonda trasformazione. Poiché progettare significa in primo luogo scegliere per determinare valori e gerarchie, queste scelte non possono che essere tre: primo, arrestare la dilatazione del costruito mediante una riduzione delle aree edificabili; secondo, per garantire lo sviluppo (indispensabile) di città e agglomerati operare una densificazione del costruito all’interno degli abitati; terzo, salvaguardare edifici e spazi e aree verdi importanti per la qualità del paesaggio.

Strumenti per progettare il territorio

Di questa rapida evoluzione è cosciente anche il Cantone, che in questi ultimi decenni ha assunto un ruolo attivo e propositivo e si è dotato di strumenti giuridici per un maggiore controllo del territorio. Alcuni già da alcuni anni, come il Piano Direttore (un progetto di organizzazione territoriale per orientare le trasformazioni dell’insieme del Cantone), altri più recenti come i Programmi di agglomerato, i Piani di utilizzazione cantonale (puc, pianificazioni intercomunali per aree complesse), i Concetti di organizzazione territoriale nelle diverse regioni, gli Inventari dei paesaggi di importanza cantonale, i Progetti di paesaggio comprensoriale (linee guida per comprensori geograficamente unitari). Sono strumenti pianificatori e progettuali importanti, alcuni dei quali, istituiti di recente, non hanno ancora trovato uno sbocco concreto e sono in fase di gestazione ed elaborazione. Ma strumenti comunque indispensabili per gestire l’edificato in un Cantone che progressivamente si è quasi intera mente urbanizzato e che richiede strumenti legislativi capaci di gestire un intero territorio, e non solo il ridotto limite comunale dei Piani Regolatori.


Legge federale sulla pianificazione del territorio: la votazione del 3 marzo

Poiché i problemi urbanistici tratteggiati in Ticino sono in definitiva identici a quelli che si osservano in altri Cantoni svizzeri, pur nelle loro maggiori dimensioni, a Berna il Governo e il Parlamento hanno approvato una revisione della lpt, la Legge federale sulla pianificazione del territorio. Contro questa revisione è stato promosso un referendum e si andrà a votare il 3 marzo 2013. Cosa prevede questa revisione? Sostanzialmente due misure: primo, l’obbligo di ridurre le zone edificabili sovradimensionate. Sono terreni per la maggior parte ancora liberi da edifici posti all’esterno delle zone abitate, e che non ha più senso oggi edificare per non dilatare ulteriormente gli agglomerati. La seconda misura riguarda il plusvalore: vale a dire la tassazione dell’aumento del valore economico di un terreno edificabile se questo viene inserito in una zona edificabile, oppure quando aumenta l’indice di sfruttamento. Un bel regalo e un evidente guadagno per il proprietario e che la Confederazione vuole tassare per un principio ovvio di parità di trattamento.

Legge cantonale sullo sviluppo territoriale: plusvalore

Anche il Cantone Ticino si muove in parallelo con la Confederazione e propone una modifica alla Legge sullo sviluppo territoriale legata ai vantaggi e svantaggi che derivano dalla pianificazione. In concreto, si vuole tassare il plusvalore di quei terreni che vengono resi edificabili oppure che beneficiano di un aumento della loro edificabilità (altezze e indici di sfruttamento). Il ricavato di questa tassa andrebbe ad alimentare un fondo a favore del paesaggio, e in particolare per indennizzare quei proprietari i cui terreni o edifici sarebbero vincolati o addirittura resi inedificabili. Non credo che le misure proposte dalla Confederazione e dal Cantone siano una rivoluzione o un attentato contro la proprietà privata e il libero mercato, come si vuol far credere. Ma piuttosto una scelta civile a favore della qualità del paesaggio, a favore della collettività. Sono strumenti oggi indispensabili per fronteggiare la sempre maggiore trasformazione di un territorio la cui qualità si regge su rapporti estremamente delicati. E, aggiungo, per far sì che i rapporti di forza tra pubblico e privato ritrovino quell’equilibrio che in questi ultimi decenni di boom immobiliare sembra andato perso.

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