swiss­made – Con no­mos a Ma­drid, Lis­bona e Kaya

La serie «SWISSMADE», a cura di Yony Santos, presenta studi svizzeri che hanno esportato le proprie attività e conoscenze all'estero. Con le sue tre sedi (Ginevra, Lisbona e Madrid) e un elenco di opere all'insegna dell'eclettismo (conta progetti in Spagna, Portogallo e Burkina Faso), NOMOS ne è un perfetto esempio. In quest'intervista, i titolari degli uffici a Ginevra e Madrid dimostrano che anche amicizia e volontariato possono essere forze motrici dell'architettura contemporanea.

Date de publication
20-05-2021

La storia dello studio NOMOS è piuttosto insolita. La struttura originale, fondata nel 2011 a Ginevra da tre giovani progettisti e guidata a tutt'oggi da Katrien Vertenten & Lucas Camponovo (entrambi laureatisi all'Accademia di Mendrisio), ha sviluppato il suo savoir-faire appoggiandosi all'esperienza dello studio ginevrino «Groupement d'architectes SA». Grazie a questa unione e alle numerose collaborazioni avviate per realizzare i progetti più impegnativi, l'ufficio si è forgiato un'identità propria, che gli ha fatto da trampolino di lancio professionale e gli ha permesso di esportare gradualmente al di fuori dell'area ginevrina la propria produzione. Con Ophélie Herranz Lespagnol & Paul Galindo, amici e oggi soci, NOMOS ha aperto nel 2012 una prima sede all'estero, collocata a Madrid, nel cuore della Spagna. Qualche anno più tardi, nel 2016, ecco inaugurato – un po' per caso, un po' per interesse verso il panorama internazionale – un terzo ufficio a Lisbona, con il sostegno di due collaboratori lusitani: Jorge Paquete & Veronica Pires.

Oggi la prassi progettuale decentralizzata di NOMOS, plasmata su progetti multiformi e cosmopoliti, gli ha permesso di distaccarsi gradualmente dal pragmatismo del suo contesto d'origine. Alimentando il proprio pensiero e i propri progetti con immaginari sorprendenti e contrastanti, NOMOS e i suoi soci si sono costruiti nel corso degli anni un approccio originale e fresco.

Intervista a:

  • Katrien Vertenten (KV) & Lucas Camponovo (LC) a Ginevra
  • Ophélie Herranz Lespagnol (OH) & Paul Galindo (PG) a Madrid

espazium.ch – Molti studi d'architettura oggi esportano parte del proprio lavoro all'estero. Opportunità o necessità?

KV – Un po' entrambe. I nostri mandati all'estero sono nati per caso. Per contro, già all'epoca dei nostri studi in Ticino e poi delle nostre prime esperienze professionali abbiamo sentito il bisogno di sperimentare l'architettura altrove. E proprio quando abbiamo fatto tappa negli Stati Uniti, Lucas e io abbiamo incontrato, a New York, Paul e Ophélie; non potevamo certo immaginare che solo qualche anno dopo saremmo diventati soci…
 

Come sono nati i vostri incarichi oltre frontiera?

KV – Ogni progetto ha la sua storia. Il nostro edificio in Burkina Faso è nato dall'incontro fortuito tra uno dei nostri collaboratori e un medico svizzero che era volontario dell'ONG burkinabé Morija: ne è nata l'opportunità di partecipare a un concorso d'architettura organizzato sotto forma di premio di solidarietà, cosa che abbiamo fatto. Qualche settimana dopo avevamo all'attivo la realizzazione di un centro medico-chirurgico in Africa.

PG – I progetti in Spagna hanno un'origine completamente diversa: il nostro incontro a New York nel 2008. Di ritorno nei nostri rispettivi paesi, le nostre affinità architettoniche ci hanno spinti in un primo tempo a partecipare a dei concorsi d'architettura con le nostre strutture indipendenti in Spagna e Svizzera, e poi a collaborare a delle opportunità più grandi, come il progetto di La Nave a Madrid. Un'opera che abbiamo realizzato da soci.

KV – Per il Portogallo è ancora un'altra storia. Tutto è cominciato nel 2014, con uno dei nostri clienti di Neuchâtel che voleva investire nel mercato immobiliare portoghese. All'inizio l'abbiamo accompagnato nella valutazione degli immobili, con più di un centinaio di studi di fattibilità. Ne sono emerse due operazioni immobiliari che intendevamo sviluppare a distanza. Ma il destino ha voluto che due dei nostri collaboratori d'allora volessero rientrare a Lisbona: allora abbiamo colto l'opportunità per aprire una struttura lì, così da seguire la realizzazione del progetto in loco.

«Il nostro edificio in Burkina Faso è nato dall'incontro fortuito tra uno dei nostri collaboratori e un medico volontario dell'ONG Morija: ne è nata l'opportunità di partecipare a un concorso in forma di premio di solidarietà. Qualche settimana dopo avevamo all'attivo la realizzazione di un centro medico-chirurgico» 
Katrien Vertenten

In che modo la vostra conoscenza di contesti culturali e normativi diversi ha influenzato il vostro approccio alla progettazione?

OH – Il fatto che siamo delle équipes che hanno sede nel paese in cui operano rende molto più facile relazionarci ai contesti. Possiamo adattarci più facilmente alle regole locali e sviluppare le nostre idee in funzione delle risorse e dei mezzi a disposizione. Bisogna però dire che per arrivare al progetto la metodologia di lavoro è comune alle tre strutture, poco importa dove venga realizzato.
 

E viceversa, le vostre esperienze all'estero influenzano il vostro modo di pensare l'architettura in Svizzera?

LC – Senza dubbio! Accantonare la propria cultura e i propri riferimenti architettonici per immergersi in nuovi contesti è molto stimolante. Di ritorno alle nostre condizioni locali, questi viaggi intellettuali e questi confronti con altri contesti sono – involontariamente ma profondamente – una fonte d'ispirazione per i nostri progetti in Svizzera. Ogni nuovo progetto all'estero è una storia che in qualche modo va a reinventarci come architetti.

KV – In quanto progettisti, la distanza culturale che percepiamo lavorando in altri paesi è una forma di liberazione architettonica. Con questi progetti impariamo a distanziarci dalle problematiche e i pragmatismi locali. Il nostro «Paso Doble», a Lancy, ne è un esempio: si tratta di un'opera che non sarebbe quella che è se non fossimo passati dall'Africa e dal Portogallo. In qualche modo, questi contesti «altri» sono «laboratori» per testare soluzioni che possiamo poi importare in Svizzera.
 

Tra le altre cose, avete anche fatto da padroni di casa in Svizzera per un certo studio straniero… Come è stata la vostra esperienza con Lacaton Vassal a Chêne-Bourg?

LC – Con Lacaton Vassal ci siamo trovati nella posizione inversa di architetti che facevano da interpreti per dei colleghi stranieri. Come capita a noi in Portogallo o in Spagna, abbiamo dovuto adattare la cultura architettonica di Lacaton Vassal al contesto normativo e culturale di un paese che loro non conoscevano dall'interno. Ciò che a priori non sembrava evidente, a causa delle regolamentazioni e degli standard diversi da quelli francesi, si è rivelato un successo e una delle nostre esperienze più arricchenti.

A proposito del progetto di Lacaton Vassal in collaborazione con NOMOS a Chêne-Bourg, l'articolo di Valentin Bourdon

Come si gestisce uno studio d'architettura tricefalo come il vostro?

LC – All'inizio lavoravamo via workshop, con molte trasferte fisiche da un paese all'altro. Questo sistema non era una soluzione sostenibile a lungo termine per varie ragioni. Dopo qualche anno, e assai prima del Covid, abbiamo messo in piedi un sistema di videoconferenze molto efficiente che ci permette, tra le altre cose, di filmare i nostri schizzi in diretta o di mostrare dei modelli nel modo più semplice possibile. Anche se, virtualmente, il nostro obiettivo è avere la sensazione di trovarci «allo stesso tavolo».

OH – Bisogna dire che, per arrivare alla flessibilità e fluidità con cui lavoriamo attualmente, è stato necessario un processo d'apprendimento di diversi anni: ha richiesto la sperimentazione di molti formati lavorativi diversi che sono ancora in continuo perfezionamento.

KV – Un altro aspetto essenziale della gestione dei nostri progetti all'estero è la fiducia nelle équipes locali. Funzona solo se riusciamo a stringere dei rapporti forti con loro.

LC – Ad ogni modo il fatto di essere prima di tutto amici, oltre che soci, ha reso questo compito enormemente più facile.

KV – In effetti, l'amicizia ha semplificato le cose. Non è necessario pianificare al millimetro ogni incontro di lavoro perché durante scambi più informali in cui parliamo di famiglia, viaggi o tempo libero capita di arrivare involontariamente a risolvere delle questioni architettoniche in sospeso.

«Accantonare la propria cultura e i propri riferimenti architettonici per immergersi in nuovi contesti è stimolante. Questi viaggi intellettuali sono una fonte d'ispirazione per i nostri progetti in Svizzera» 
Lucas Camponovo

Come sono percepite dai vostri investitori e promotori le idee che importate da esperienze all'estero?

LC – Nel caso del centro medico in Burkina Faso, si trattava di un progetto di volontariato e dunque senza interesse economico; è stato molto più semplice far passare le nostre idee perché tutti avevamo lo stesso obiettivo: non c'era rivalità tra committente e progettista. Questo è qualcosa che ci ha impressionati lavorando con Anne Lacaton. Poco importa cosa ci sia in gioco sul piano economico o progettuale, lei ha sempre trovato il modo e la capacità di dialogare e collaborare con i committenti.
 

Certi studi si lamentano della «concorrenza sleale» di chi, come voi, esternalizza una parte delle risorse umane all'estero per poter coprire tutti gli incarichi. Come vi ponete di fronte a questo tema?

KV – I nostri uffici sono situati nel paese in cui lavoriamo. Se un giorno smetteremo di avere dei progetti da portare avanti in quel paese, molto semplicemente non ci sarà più ufficio. Certo, c'è un effetto di «vasi comunicanti» tra le nostre tre strutture, e capita a volte che i nostri collaboratori in Svizzera si occupino di certi progetti all'estero, sebbene ciò generi un deficit economico.

LC – Non abbiamo aperto le nostre strutture all'estero per alleggerire le nostre spese in Svizzera. La priorità è sempre stata lo scambio e la collaborazione. Fintanto che queste esperienze continueranno ad apportarci dei benefici intellettuali e metodologici, continueremo a portarle avanti, badando poco alle conseguenze, dirette o indirette.

PG – In controtendenza rispetto alla produzione architettonica dei secoli scorsi, lo spirito collaborativo tra studi d'architettura di tutta Europa è un fenomeno sempre più diffuso. Per partecipare a dei concorsi noi lavoriamo ad esempio con strutture in Belgio e Francia; approfittiamo dell'arricchimento concettuale o metodologico di queste esperienze senza preoccuparci della «proprietà intellettuale» delle nostre idee.

«In controtendenza rispetto alla produzione architettonica dei secoli scorsi, lo spirito collaborativo tra studi d'architettura di tutta Europa è un fenomeno sempre più diffuso»
Paul Galindo

La Svizzera è presa spesso a modello per il suo sistema di concorsi pubblici. Quali sono le particolarità dei paesi dove avete lavorato da cui potrebbe imparare?

LC – Avendo studiato con Peter Zumthor, l'approccio alla materia è sempre stato uno dei punti che ci interessa di più. Cerchiamo di applicare questa cultura del dettaglio in un modo che sia più economico e più semplice da realizzare. Vedere che in altri paesi, come il Portogallo o la Spagna, questo approccio alla materia, alle tecniche artigianali, ai materiali riciclati si realizza ancora «a mano» (e non solo tramite macchine) ci fa venire voglia di lavorare così anche in Svizzera.

KV – Non credo alla chimera della «carta bianca» e del tutto è permesso. Nessuno dei contesti dove abbiamo lavorato è perfetto. Direi anzi che avere dei vincoli precisi, delle linee guida chiare o dei limiti è importante per un architetto. È la nostra capacità di rispondere a questo coacervo di regole e tecniche che ci permette di approdare a soluzioni di qualità.

PG – Io direi che è piuttosto la Spagna che dovrebbe tendere verso modelli più «elvetici» per non «sprecare» le sue risorse economiche e territoriali. L'improvvisazione è molto difficile da gestire economicamente e genera problematiche che sarebbe meglio evitare.

KV – L'esperienza con Lacaton Vassal è di nuovo un esempio che va in questa direzione. Quella che all'inizio sembrava una battaglia impossibile con gli enti preposti all'energia per convalidare alcune scelte progettuali si è trasformata in un dialogo fruttuoso che ha creato un precedente nel modo di analizzare le prestazioni climatiche d'un edificio.
 

«Avere dei vincoli precisi è importante per un architetto. È la nostra capacità di rispondere a questo coacervo di regole e tecniche che ci permette di approdare a soluzioni di qualità»
Katrien Vertenten

Quale futuro prevedete per le vostre sedi all'estero? Cosa avete imparato da queste esperienze?

PG – Questa avventura che dura ormai da quasi 15 anni ci regala un'enorme flessibilità grazie a cui rispondere alle diverse opportunità che ci si presentano. Negli ultimi anni ci siamo circondati di studi all'estero che lavorano nelle nostre stesse condizioni. Questa rete decentralizzata ci permette di ampliare la nostra visione dell'architettura e, indirettamente, di proteggerci da un contesto professionale dove le piccole e medie strutture hanno poche chance di sopravvivere senza queste collaborazioni e condivisioni di interessi.

KV – L'attitudine che ci ha portati alla situazione in cui siamo ora è stata rafforzata considerevolmente in questi ultimi anni grazie al perfezionamento delle nostre relazioni trasversali. Non abbiamo una visione strategica o l'ambizione di espandere le nostre strutture all'estero, ma finché queste esperienze ci arricchiranno continueremo a perseguirle.

L'intervista in lingua originale e il dossier «SWISSMADE»

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