Du­risch + Nol­li Ar­chi­tet­ti

Otto domande

Pia Durisch e Aldo Nolli rispondono alle Otto domande de "Lo spessore dell'involucro".

Publikationsdatum
20-10-2016
Revision
20-10-2016

1. In che modo secondo lei l’evoluzione delle richieste energetiche e di «comfort» ha cambiato negli ultimi vent’anni il modo di concepire una facciata?

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un aumento progressivo degli spessori di coibentazione dell’involucro, perché il miglioramento della resistenza termica costituisce il sistema tecnicamente più semplice per fare quadrare il bilancio energetico di un edificio, in modo da corrispondere alle nuove normative in fatto di risparmio energetico, che in generale corrispondono agli standard Minergie. Nel 1993 abbiamo progettato lo Swisscom Service Center a Giubiasco (fig. 1-2), un edificio che anticipava questo trend, con 6 progetti pilota in ambito energetico ed ecologico, che prevedeva un grado di resistenza termica delle facciate del tutto inusuale per il Ticino di quell’epoca, con spessori di isolamento di facciata di 18 cm, vetri isolanti tripli ad alto rendimento, sistemi intelligenti di gestione ottimizzata della luce naturale, della protezione solare e della luce artificiale. Questo edificio anticipava in un certo senso lo sviluppo cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni.

Sarebbe tuttavia riduttivo pensare che la facciata sia l’unico elemento dell’edificio che abbia subito un’evoluzione sostanziale in seguito alle richieste di risparmio energetico e di comfort ambientale. Per noi l’edificio è un organismo architettonico complesso, che integra diversi elementi che concorrono all’architettura, alla resa energetica, alla funzionalità e al comfort ambientale. L’evoluzione sostanziale dei sistemi di produzione e distribuzione energetica, i sistemi di gestione intelligente dell’edificio, la collaborazione della massa strutturale alla resa termica e al comfort, l’ecologia e la tecnologia dei materiali, l’ottimizzazione dei sistemi costruttivi e di posa, la fabbricazione digitale, hanno portato a concepire sempre di più delle architetture integrali.

2. Ad una «Podiumdiskussion» tenutasi nel corso dell’ultima edizione della Swissbau, qualcuno dei partecipanti sosteneva che tra i fenomeni evolutivi negativi ai quali stiamo assistendo, ci sarebbe l’abuso del ricorso alle facciate interamente vetrate, indifferenti e uguali tra loro. Gli edifici realizzati in questo modo e ripetuti ovunque nel mondo, sarebbero poco a poco responsabili della perdita di identità e specificità dei luoghi. Condivide questa tesi? O come la declinerebbe? Le pare invece che siano nate nuove specificità locali negli ultimi anni?

Noi crediamo nell’innocenza dei materiali e dei sistemi costruttivi e di conseguenza non pensiamo che siano determinati sistemi costruttivi a causare fenomeni evolutivi negativi come la mancanza d’identità dello spazio urbano o la monotonia di un’edilizia anonima e di scarsa qualità. I motivi sono altri, spesso legati a una cattiva gestione dei progetti da parte dei promotori immobiliari, come in Ticino, dove la mancanza di capacità progettuale e la speculazione causa l’evoluzione negativa del nostro territorio, che è sotto gli occhi di tutti. Un buon progetto prescinde dal materiale utilizzato. Qualsiasi sistema costruttivo può essere alla base di un buon progetto. Nel 2005 abbiamo costruito a Chiasso il m.a.x.museo (fig. 3-4), il cui volume è costituito da una facciata interamente vetrata, che dimostra come un edificio interamente vetrato possa conferire un’identità a un luogo caratterizzandolo e donando nuova dignità a un sito industriale abbandonato.

I fenomeni evolutivi negativi citati sono tuttavia una realtà le cui cause, complesse e molteplici, sono intrinseche al sistema. Nelle grandi città assistiamo a una crescita molto veloce dei volumi costruiti. Nelle maggiori città svizzere come Zurigo, Ginevra e Basilea, in cui lo sviluppo del territorio è seguito da vicino delle autorità, vi sono stati risultati apprezzabili, anche se la crescita di determinati quartieri è talmente veloce da porre comunque delle difficoltà nel conferire identità ai luoghi. In Ticino la crescita è disordinata e incontrollata, gli strumenti di gestione dei processi evolutivi inadeguati per garantire uno sviluppo sostenibile del territorio.

3. È una tipizzazione grossolana ma la concezione di una facciata può, in fondo, contare su un numero relativamente ristretto di tipi, ovvero:

  • la facciata interamente vetrata.
  • la facciata a «cappotto», o isolata esternamente, con l’aggiunta di sottili rivestimenti applicati direttamente allo strato isolante (intonaco, tessere in mosaico, in qualche caso elementi più consistenti come mattoni o pietre)
  • la facciata ventilata, che tra lo strato isolante e lo strato «visibile» (più o meno consistente o pesante, che potrebbe arrivare ad essere anche un collettore di energia) prevede una camera d’aria.
  • la facciata isolata internamente rispetto allo strato portante. Cioè una facciata che prevede che l’appoggio delle solette avvenga con giunti speciali in grado di evitare il ponte termico (Tipo «Shöckdorne»), oppure che l’isolamento venga risvoltato per qualche metro all’interno, sopra e sotto la soletta. Questa costruzione consente di mostrare e rendere visibile all’esterno lo strato portante normalmente in beton faccia a vista.
  • la facciata sandwich, ad elementi prefabbricati, sia in legno sia di elementi pesanti in beton.
  • Il beton isolante

Le sembra che l’elenco vada ampliato? Tra queste varianti (sempre che non ne voglia aggiungere qualcun’altra mancante) si è fatto un’idea precisa dei vantaggi, del potenziale economico, della pertinenza architettonica, culturale o espressiva di ciascuna di esse? Ovvero nella sua prassi professionale che ruolo gioca ciascuna di queste diverse possibilità? Ce le potrebbe commentare o criticare dal suo punto di vista?

L’elenco è molto dettagliato e si potrebbe ridurre a 3 tipologie di base: facciata massiccia | facciata isolata esternamente | facciata isolata internamente. Le altre facciate indicate sono a nostro avviso dei sottotipi rispetto alle tre tipologie di base. Forse oggi non è nemmeno indispensabile distinguere tra facciate vetrate e tamponamenti.

La scelta della tipologia costruttiva avviene in funzione del concetto architettonico del progetto e dell’espressione architettonica ricercata. Per cui i criteri per la selezione della tipologia di facciata sono gli stessi che determinano il progetto, partendo dal luogo e dal contesto ma anche dalle possibilità economiche. Nella nostra prassi professionale abbiamo utilizzato i più svariati sistemi di facciata in funzione degli obiettivi di progetto. Nel nostro progetto di residenza per 280 studenti a Lucerna (fig. 5-7), un progetto modulare basato sulla ripetizione in serie di pochi elementi uguali, era importante rendere leggibile in facciata il modulo costituivo del progetto, la camera, nonostante che per motivi economici s’imponesse l’adozione di un «cappotto», un sistema di facciata che non avevamo mai voluto utilizzare in precedenza. Proprio per questo abbiamo posto una grande cura nello studio della facciata, cercando di fare di necessità virtù, prevedendo le problematiche tipiche di questo tipo di facciata: anteponendole un brise–soleil in calcestruzzo che protegge la facciata dalle intemperie, utilizzando come rivestimento del cappotto un vetro–mosaico, che oltre ad offrire una migliore stabilità e resistenza alle muffe, rispetto all’intonaco, conferiva alla facciata la tessitura richiesta e una superficie satinata che riflette il contesto.

Per il Tribunale Penale Federale di Bellinzona (fig. 8-10), progettato insieme a Bearth & Deplazes Architekten, volevamo una facciata massiccia in calcestruzzo faccia a vista per creare un insieme con il corpo di fabbrica esistente. Di conseguenza abbiamo optato per una facciata portante, isolata internamente, sfruttando la modularità della facciata per ripetere sempre lo stesso dettaglio di connessione tra parete esterna portante e soletta tramite Isokorb. Si tratta del primo edificio pubblico certificato Minergie P Eco in Ticino (2013).

In altre occasioni, per case private con facciate portanti in cemento faccia a vista, abbiamo utilizzato varianti più semplici, molto usuali in Ticino, che consistono nel risvoltare sopra e sotto la soletta, per circa 80 cm l’isolamento termico.

La scelta del tipo di facciata avviene sempre in funzione del concetto architettonico. Nel progetto per il Centro di Formazione Professionale SSIC di Gordola (fig. 11-12) serviva una costruzione estremamente leggera in funzione del terreno sabbioso e nel contempo economica per contenere i costi al di sotto dei valori di riferimento di altre scuole professionali. Abbiamo scelto una facciata leggera ventilata, utilizzando sistemi di facciata industriali, di cui tuttavia abbiamo definito ogni particolare, ridisegnando i dettagli convenzionali in funzione del progetto, fino a raggiungere quella caratteristica sagoma con gli shed appuntiti, che rende inconfondibile l’edificio nel paesaggio.

Nel caso del Loft B a Riva San Vitale (fig. 13-15) abbiamo utilizzato un sistema innovativo di facciata in vetro profilato industriale doppio, in cui è inserito un isolamento termico traslucido, costituito da un filato di vetro. Questo sistema, insieme alla particolare tipologia architettonica dell’edificio, permette di avere spazi permeati da luce naturale diffusa, in analogia alle case tradizionali giapponesi (Katsura) e, grazie a sistemi ecologici di raffrescamento e ventilazione, un ottimo comfort abitativo.

Il confronto con la facciata e l’utilizzo delle diverse tipologie in funzione del progetto, non è comunque una prerogativa degli ultimi 20 anni. Già nel 1971 Giancarlo Durisch optò per la sua casa a Riva San Vitale per una parete massiccia in Beton Isolante, con palline di argilla espansa come inerti (Leca–Beton), perché voleva avere una parete in calcestruzzo a vista sia all’interno che all’esterno.

In fondo non esiste un sistema preferibile ad un altro. Ogni sistema può essere utilizzato sfruttandone al meglio le caratteristiche in funzione di un concetto architettonico.

4. In che modo nella composizione di una facciata o più in generale nella definizione del limite che separa il dentro dal fuori, si riesce ancora a istituire un legame con la tradizione storica o, se vogliamo, con gli esempi di alcuni maestri del passato? 

Per spiegare meglio il tema sul quale le chiediamo una riflessione, prendiamo un elemento architettonico specifico, ad esempio il «marcapiano» o la griglia strutturale. Negli edifici degli anni Cinquanta ma anche precedenti (pensiamo ad esempio al municipio di Göteborg di E.G.Asplund) questo elemento segnava in facciata la presenza della soletta «portante», separata dagli elementi di tamponamento «portati». Un riferimento contemporaneo a questa immagine dovrebbe realizzarsi necessariamente in modo costruttivamente diverso. 

E dunque, è ancora possibile, nel concepire facciate, un riferimento alla storia, oppure le nuove necessità costruttive devono farci rinunciare ai tentativi di istituire analogie con il passato?

La suddivisione netta tra esterno e interno, il taglio termico, ha portato in molti casi a una separazione netta tra struttura portante e facciata, che spesso si riduce a rivestimento autoportante esterno rispetto alla struttura. Questa separazione offre molte possibilità espressive e una grande libertà progettuale agli architetti. Si sono viste e si vedono facciate astratte, che non corrispondono alla struttura interna e alla tipologia dell’edificio. Crediamo comunque che vi sia un istinto naturale che ci porta a volere esprimere in facciata la tettonica dell’edificio, forse perché questo permette di conferire una scala all’edificio e di modulare, di conseguenza lo spazio urbano a misura d’uomo. Ma anche perché un edificio è un organismo complesso che nella migliore delle ipotesi esprime la sua essenza in modo naturale e auto esplicativo.

Se pensiamo ai palazzi veneziani e alla loro particolare struttura, in cui la facciata frontale non è strutturalmente portante, ma anche all’architettura palladiana, troviamo in fondo gli stessi temi: la facciata rappresenta un ordine architettonico, fatto di trabeazioni che non per forza corrispondono alla struttura massiccia dell’edificio, ma lo fanno apparire più leggero, più strutturato, più proporzionato, cioè a misura d’uomo.

I principi che sono alla base dell’architettura sono immutabili e sempre gli stessi, soltanto vengono interpretati in modo differente nelle diverse epoche. Non crediamo che si tratti di istituire analogie con il passato, ma pensiamo a una naturale esigenza di ordine, di ordine architettonico, di chiarezza concettuale, di complessità.

5. I sistemi di facciata sviluppati negli ultimi anni sono secondo lei esclusivamente soluzioni «tecniche» per conciliare architettura e requisiti di legge (termici/acustici -di comfort) o stanno creando una nuova architettura? A metà Novecento si è passati dalle facciate rivestite a quelle in calcestruzzo «faccia-vista», ritiene che ci sarà una nuova proposta architettonica che creerà una nuova «scuola» dell’architettura?

In questo millennio, in un contesto globalizzato e caratterizzato da un forte sviluppo e da un’evoluzione estremamente veloce, concetti come «stile» o «scuola» risultano superati. Noi crediamo che la qualità dell’architettura dipenda dagli autori, dagli architetti. Sarebbe forse più appropriato parlare di «trend», di tendenze, che sono riscontrabili in una produzione architettonica globale che ormai è presente in tempo reale nella rete.

I sistemi di facciata applicati negli ultimi anni mostrano una grande eterogeneità. Occorre anche considerare che nella produzione globale, la Svizzera è uno dei paesi che mostrano standard costruttivi ed energetici più avanzati, mentre vi sono ancora paesi in cui la produzione architettonica prescinde da criteri energetici.

Nel contesto urbano si può constatare un ritorno a facciate caratterizzate da una tettonica classica che in modo esplicativo riprende la struttura interna, coniugandola con la scala dello spazio urbano. Ci si sta rendendo conto che la città non consiste nell’allineamento di costruzioni solitarie, che vogliono dominare la situazione, ma piuttosto di costruzioni significative per la discreta delicatezza delle facciate e per l’inserimento preciso e integrato rispetto all’architettura della città.

In un momento di forte sviluppo tecnologico, occorre comprendere e riflettere sul passato, in modo da garantire all’architettura il ruolo di disciplina sociale, artistica e tecnica rilevante rispetto a un contesto sempre più tecnocratico.

6. Come giudica la spinta più tecnologica verso le facciate «attive» in grado di produrre energia? È una moda passeggera o ci sono i presupposti per rendere l’integrazione dei sistemi solari una soluzione di massa, accettabile dal progettista e adattabile alle diverse soluzioni?

La facciata costituisce l’interfaccia tra l’impianto dell’edificio e lo spazio urbano. È l’elemento architettonico che è espressione dell’impianto interno in quanto risponde a esigenze di illuminamento e di affaccio (vista) degli spazi retrostanti, coniugandoli con le esigenze di delimitazione dello spazio urbano. La «facciata» è la faccia dell’edificio, che ne determina l’espressione e la valenza verso l’esterno, ma anche la delimitazione fisica dell’interno verso l’esterno: deve proteggere dagli agenti atmosferici, dare protezione e sicurezza agli utenti, gestire l’illuminamento e l’oscuramento degli spazi interni.

In questo senso la facciata è quasi un’architettura a sé stante, che risponde già a tante funzioni, urbanistiche, architettoniche, fisiche e climatiche.

Non pensiamo che caricare la facciata di un’ulteriore funzione, quella di produrre energia, sia un’opportunità da cogliere. Anche perché per motivi di sostenibilità, la durata di una facciata dovrebbe essere di almeno trent’anni, la tecnologia in questo settore cambia in pratica ogni tre anni.

La nostra idea di architettura è quella di un’architettura integrale, in cui tutte le esigenze si fondono in un progetto complessivo. Ci sono molto piaciuti in questo senso, le ricerche di Hansjürg Leibundgut con viaGialla, sintetizzate nel 2010 nel libretto Zero Emission LowEx, che mostra soluzioni di gestione energetica e impiantista che prescindono in gran parte dalla facciata. È per contro interessante seguire i ragionamenti del prof. Leibundgut in merito alla facciata, laddove giunge alla conclusione che a partire da un certo punto (7,5 cm di coibentazione termica) la produzione di energia secondo il concetto ZeroEmission–LowEx risulta più economica rispetto a un maggiore spessore isolante.

Noi pensiamo vi sia una certa logica nel volere semplificare le facciate. Oggi viviamo in appartamenti totalmente ermetici, in cui nell’ambito delle certificazioni energetiche si va a verificare tramite blower-door test la tenuta stagna dell’edificio, dove i ricambi d’aria sono garantiti da una ventilazione artificiale, una ventilazione di «comfort». Forse dovremo riflettere sulle conseguenze igieniche di queste tipologie di gestione energetica, e sul comfort effettivo che ci portano nel tempo.

7. Le normative sul fabbisogno energetico stanno tecnicizzando notevolmente il processo di progettazione della facciata; le pare che il mondo dei progettisti sia assente dalla discussione, e dunque che si stia andando verso l’iper-specializzazione dei compiti nell’edilizia, oppure l’architetto possiede realmente ancora tutte le leve di progetto?

A suo giudizio gli architetti si stanno svincolando dallo studio di nuove soluzioni di facciata demandando il compito a specialisti, produttori di sistemi, fisici della costruzione? Se sì, secondo lei, perché?

L’architetto è il direttore generale del progetto. Senza architetto non vi è architettura. La complessità degli edifici, per esperienza è tale da rendere indispensabile il ricorso a specialisti e a consulenti. Fa parte dei compiti dell’architetto dirigere e coordinare tutti gli aspetti del progetto e della realizzazione. Proprio per questo per noi è importante che oggi l’architetto possa scegliere e coinvolgere i propri specialisti di fiducia già in fase di concorso.

L’esperienza fatta come pianificatori generali (Generalplaner), insieme a Bearth & Deplazes Architekten, con il progetto per il Tribunale Penale Federale di Bellinzona ci ha mostrato l’importanza di potere lavorare con un team di specialisti competenti e affiatati.

Crediamo fortemente in un’organizzazione di progetto in cui diversi specialisti collaborano in un team coordinato dall’architetto alla buona riuscita di un progetto architettonico integrale.

L’idea che l’architetto sviluppi un progetto, e poi lo giri agli specialisti per l’inserimento degli impianti, è un concetto superato anche se ancora molto diffuso nella realtà professionale locale, anche presso i committenti. Lo specialista per le facciate è un consulente importante, quanto gli altri, per la progettazione dei punti più complessi di una facciata. L’architetto deve avere conoscenze sufficienti per sapere quando far capo allo specialista per la soluzione dei suoi concetti architettonici.

8. Le nuove tecnologie di involucro sono spesso ritenute «non realmente sostenibili» (a causa della quantità e qualità del materiale utilizzato e dell’energia grigia in esso contenuta – non sempre in linea con l’obiettivo della riduzione degli impatti energetici delle nuove costruzioni). Ritiene siano possibili dei miglioramenti in questo ambito in termini legislativi, normativi, tecnologici?

In realtà la valutazione della sostenibilità di un sistema costruttivo o di un materiale è molto complessa ed è difficile considerare tutti gli aspetti e formulare i giusti criteri di valutazione. Anche perché i metodi di produzione sono in continua evoluzione insieme alle fonti energetiche applicate. Un edificio è un organismo complesso anche durante il suo esercizio, e tutti i parametri sono in continua mutazione.

La Svizzera è forse il paese più avanzato nella creazione delle basi legali adeguate nel campo della sostenibilità energetica ed ecologica. Lo standard Minergie è stato uno dei primi Label energetici applicati su larga scala nel campo delle costruzioni. La Svizzera ha inoltre il privilegio e il vantaggio di applicare ancora un pacchetto normativo estremamente efficace, pragmatico e preciso come le Norme SIA. Norme formulate da professionisti, al contrario delle Norme europee, che risultano spesso inutilmente voluminose, non esaustive, complicate se non contradditorie, troppo spesso formulate da lobby che hanno come scopo la diffusione dei loro prodotti.

Un eccesso di normative rischia di limitare lo sviluppo di nuove soluzioni tecniche ma in certi casi anche il potenziale progettuale a disposizione dell’architetto. Per contro vediamo un grande potenziale nello sviluppo di nuove tecnologie da parte di un’industria capace di cogliere le esigenze dei progettisti e contemporaneamente da parte di architetti capaci di suggerire soluzioni innovative.

Nella nostra attività architettonica, siamo sempre di più alla ricerca di soluzioni semplici e dirette, caratterizzate da una riduzione e semplificazione dei dettagli costruttivi, da una rinuncia ad applicare rivestimenti, dall’applicazione di materiali grezzi, sottoposti a poche lavorazioni e sofisticazioni.

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