Un mec­ca­ni­smo lu­mi­no­so

I nuovi stabilimenti della Audemars Piguet, situati a Le Locle, celebrano l’arte orologiaia in ogni sua forma. Contrariamente alla tradizione, in cui le manifatture di orologi si costruivano rivolte verso nord, il nuovo complesso è luminoso e, in parte, anche pervaso di luce solare diretta. Che l’opera sia stata progettata per essere così piena di luce, lo si deve ad alcune scoperte scientifiche che illustrano come il sole abbia una forte influenza sui nostri ritmi, sull’energia vitale e sul buonumore.

Data di pubblicazione
21-12-2021

La nuova manifattura di orologi firmati Audemars Piguet è un meccanismo davvero sorprendente, proprio come lo sono le sue stupefacenti creazioni. Gli stabilimenti sono resi operativi grazie al sole, alla topografia del Giura e ai fotorecettori. È raro che un’architettura presenti e riassuma in sé, in modo così chiaro ed evidente, il processo complesso che porta alla creazione di un manufatto, e in questo caso parliamo di orologi di lusso. L’architettura va intesa qui come una grande macchina che, con un solo gesto, non soltanto è in grado di organizzare gli spazi e la tecnologia, ma anche di raccontare la storia, collocando l’arte orologiaia in una rete di produzione che spazia dall'artigianato al commercio su scala mondiale.

Consultare al proposito l’articolo: 
Objektivierte Lichtstimmungen: die Tageslichtnorm SN EN 17037

Oggi la Audemars Piguet conta in tutto il mondo 2000 collaboratori; le sue principali sedi di produzione si trovano a Le Brassus (dove nel lontano 1907 nasce la prima manifattura), a Le Locle e a Meyrin. La casa produttrice è una delle poche che è riuscita a mantenere in un solo luogo buona parte delle tappe del processo produttivo. A Le Brassus, la Audemars Piguet ha costruito una manifattura funzionale (Dolci-Tekhne, 2006-2009), le cui unità produttive sono orientate verso nord. Qui è nata anche una piccola icona: il «Musée-Atelier» (BIG, 2020), concepito a forma di doppia spirale, un’opera che, simbolicamente, mette in risalto la qualità del prodotto. La manifattura di Le Locle soddisfa al contempo due requisiti, sia quello produttivo che quello iconico. Di fatto, a Le Locle l’intera ambientazione funge da icona, poiché permette, nel vero senso della parola, di «mettere in luce» tutta la produzione.

La manifattura: «paesaggio urbano dell’industria orologiera»

Il termine «manifattura» designa un luogo in cui è il lavoro artigianale a dettare i ritmi dell’organizzazione e non viceversa. Al momento della costruzione si è posto, ed era inevitabile, un problema di fondo: come riuscire ad offrire condizioni di illuminazione ottimali che potessero soddisfare le esigenze di ogni artigiano, ciascuno con una propria e diversa sensibilità? Tale quesito era accompagnato da una seconda sfida, quella di riuscire a raccontare, attraverso l’architettura, la storia di un marchio di orologi di pregio.

Il progetto, opera di Kuník de Morsier, non si è accontentato di cercare la «luce del nord», come era tradizione nelle manifatture di orologi. Già dai primi schizzi, infatti, gli architetti hanno riflettuto su come la luce potesse influenzare al meglio il benessere psicofisico degli utenti. È stata l’impresa specializzata Oculight Dynamics ad offrire consulenza ai progettisti, affiancandoli nel definire le diverse atmosfere luminose coinvolte nel ciclo intero di una giornata. A detta della cofondatrice, Marilyne Andersen, la luce naturale influenza il benessere, le emozioni, con effetti positivi sulla salute.

Al proposito, consultare l’articolo:
Intervista a Marilyne Andersen sulla norma europea EN 17037 «Luce diurna negli edifici»

La Andersen ritiene che in una manifattura che mira alla produttività le condizioni di lavoro solitamente considerate ottimali (21 °C, 500 lux, tasso di CO2 stabile ecc.) non funzionino. Di fatto, il buonumore, il sonno, la digestione, ma anche la produttività, e dunque la concentrazione, sono condizionati dal ritmo circadiano. L’orologio interno si sincronizza con il ritmo diurno-notturno attraverso i fotorecettori, cellule specifiche che si trovano nella retina e sono sensibili alla luce blu. Per poter stimolare le emozioni bisogna dunque creare ambienti diversificati e garantire un contatto e uno scambio costante con il mondo esterno.

La manifattura, inserita in questo ciclo, funziona come un orologio. L’atmosfera cambia in base alle varie attività e ai momenti della giornata. Gli atelier, occupati sin dalle prime ore del mattino, sono rivolti a nord, ma ricevono luce indiretta, creata dal riflesso dei soffitti e delle sovrastrutture. L’apporto di luce è rafforzato da aperture puntuali che gli orologiai utilizzano per esaminare eventuali difetti. Le finestre sono provviste di vetri elettrocromici, dotati di un rivestimento attivo, al quale viene applicata una tensione elettrica che permette di abbassare gradualmente la trasmissione luminosa. Grazie a questo dispositivo le squadre di lavoro possono adattare l’apporto di luce naturale in base alle proprie esigenze individuali. Negli spazi dedicati alla ricerca e allo sviluppo si è puntato invece sulla luce diretta e in continuo cambiamento, con un effetto stimolante fin verso le ore serali.

L’architettura come narrazione

Una delle più grandi sfide del progetto è stata quella di fare in modo che gli acquirenti potessero accedere al centro di produzione e immergersi completamente nella sua atmosfera. La pianta dell’edificio riunisce le diverse unità di produzione attorno a una sorta di piazza centrale, un’agora che offre una visione a raggiera su tutte le tappe della fabbricazione. 

Potremmo dire che gli orologi sono un vero paradosso. Oggi, infatti, non hanno praticamente più alcuna utilità pratica, eppure conservano tutto il loro prestigio, un prestigio che poggia sull’esclusiva raffinatezza del loro funzionamento. L’intera manifattura scaturisce da questa stessa contraddizione. L’architettura, per quanto funzionale, non ha qui però niente a che vedere con il funzionalismo. Al contrario, si tratta di un’architettura narrativa, didattica1, il cui scopo è quello di scrivere la storia in base alla funzione: qui i movimenti, i gesti, il savoir-faire e le procedure che scandiscono il ritmo dell’arte orologiaia, sono messi, concretamente, in luce, a 360 gradi.

La versione integrale dell’articolo è stata pubblicata in tedesco su TEC21 37/2021 «Energie aus Tageslicht».

 

Manifattura di orologi, Le Locle (NE)

Committente
Audemars Piguet, Le Brassus
Architetti
Kunik de Morsier architectes, Losanna
Direzione dei lavori
Pierre Liechti architectes, Bienne;
Rmoved, Valangin
Struttura portante
GVH, Saint-Blaise
Architettura del paesaggio
Forster-Paysage, Prilly
Facciate
BCS, Neuchâtel
RVCS
Amstein + Walthert, Zurigo
Fisica della costruzione
Planair
Luce naturale e fisiologia
Oculight, Losanna
Luce artificiale
DCube, Confignon
Protezione antincendio
Ignis Salutem, Saint-Légier
Geotecnica
De Cérenville, Neuchâtel
Acustica e pedologia
Prona
Mobilità
Citec, Ginevra
Misurazioni geometrice
MAP, Auvernier e La Chaux-de-Fonds
Workspace
Studio Banana, Losanna
Studi dinamici
Résonance, Carouge

Osservazioni

1 Questo plusvalore è probabilmente legato a quella che potremmo definire trasparenza didattica nei confronti dell’oggetto tecnologico. Per Gilbert Simondon, il fatto di ignorare il proprio «modo di esistere» è la causa di una sorta di alienazione dell’umanità nei confronti dell’ambiente tecnologico che ci circonda. La manifattura di Le Locle risponde a questa stessa sfida didattica. Gilbert Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, 1958.

Testo tradotto dal francese da Patrizia Borsa www.skarabeo.ch 

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