Smiljan Radić: il gioco delle evocazioni
Il lavoro dell'architetto cileno Smiljan Radić – oggi conosciuto a livello internazionale per progetti come il padiglione della Serpentine Gallery (2014), il ristorante Mestizo (2007) e il Museo di Arte Precolombiana (2014) a Santiago, il teatro regionale del Bío Bío a Concepción e la cappella vaticana sull’isola di San Giorgio a Venezia (entrambi del 2018) – spazia dall’architettura residenziale a video concettuali, da analisi storiche a sinergie con l’arte, dall’uso di materiali trascurati nell’architettura contemporanea ad ardite sfide ingegneristiche. Un ampio respiro di cui ha dato ben conto nel corso della conferenza del 4 aprile 2019 alla SUPSI, organizzata nell’ambito della collaborazione avviata con «Casabella-formazione» per la formazione continua.
Particolarmente interessante è il nesso a volte sottile, altre volte più articolato e complesso, che lega le opere di Radić. I suoi progetti, oltre a dipendere da contesti specifici, sono attraversati da un invisibile dialogo che è emerso chiaramente dalle sue appassionate spiegazioni. La fascinazione per gli oggetti scartati, dimenticati; i materiali industriali, sintetici e naturali; l’ingegno delle persone ai margini della società: queste sono ispirazioni primarie per i lavori di Radić.
Nel sottile gioco di evocazioni, non solo architettoniche, ogni elemento può trovare parallelismi interessanti, come i sacchetti di plastica riutilizzati come banderuole segnaletiche dai venditori ambulanti ai lati delle carreggiate oppure come vestiti da un senzatetto; essi sono stati associati dall'architetto, nella loro effimera presenza, all’iconica immagine suadente della gonna di Marilyn Monroe che fluttua sospinta dall’aria.
Ma il suo non è un discorso ai margini dell’architettura, anzi: spesso si riallaccia a grandi maestri del Novecento come Le Corbusier, Buckminster Fuller o Constant Nieuwenhuys, artista che lo ha enormemente ispirato lungo tutta la sua carriera.
La sua ricerca sull'architettura del passato emerge in sottili rimandi, come nella casa del poema dell’angolo retto, direttamente ispirata all’omonima opera di Le Corbusier, oppure nel progetto per un'abitazione in corso d’opera in Giappone dove attua un’interessante reinterpretazione della Prism House di Kazuo Shinohara. In altri casi un’opera d’arte nota diventa il punto di partenza per un lavoro personale, come nell’installazione Il bambino nascosto in un pesce presentata alla Biennale di Venezia del 2010 e ispirata all’omonima incisione di David Hockney. I suoi lavori sono caratterizzati da sistemi statici che creano equilibri apparentemente azzardati che trasmettono un inquieto senso d’instabilità, quasi fossero acrobati sul filo, dei quale si intuisce il sottile bilanciamento e il rischio di perderlo; così, spesso le sue opere appaiono congelate in uno stato di sospensione momentanea.
Nei suoi progetti sono inoltre molto presenti i forti contrasti: tra leggerezza e pesantezza, fragilità e robustezza, con corpi ciclopici che dialogano con sottili membrane apparentemente effimere, come ad esempio nel centro NAVE di Santiago e nel teatro regionale del Bío Bío di Concepción. «Nascondere significa mostrare in un’altra maniera», così si è espresso Radić parlando delle proprie opere, dove non esiste né menzogna né verità assoluta, ma con modestia si esprimono delle scoperte, delle piccole verità.
La sua costante ricerca di semplicità non lo porta alla banalità; i suoi edifici trasportano il fruitore in percorsi allungati, a volte labirintici; lo spazio diventa un’esperienza in sé, l’opposto di un percorso lineare, funzionale da A a B. La sua continua ricerca, a volte anche ludica, lo porta a sviluppare idee che poi riaffiorano in progetti anni dopo, come nel caso della Serpentine Gallery, nata da un precedente progetto generato a sua volta dal racconto di Oscar Wilde Il gigante egoista.
Ci sono poi temi che accomunano il suo lavoro a quello di altri architetti cileni contemporanei, come la finitura imperfetta degli edifici, non sempre facile da apprezzare per i colleghi europei. In questo senso è singolare la difficoltà “al contrario” con cui si è misurato l’architetto cileno: chiamato a realizzare lavori in Europa, deve battersi per riuscire ad ottenere finiture deliberatamente imprecise, che finiscono per costare di più.
Nel suo lavoro si legge infine un rapporto diverso con la storia rispetto a quello diffuso in Europa, causato da un lato dalla brutale dittatura cilena (1973-1990), rispetto alla quale è ancora in atto un processo di comprensione e superamento; dall’altro dalla costante presenza, nel suo paese, di potenti terremoti che hanno fatto sì che gran parte del contesto costruito regionale risalisse soltanto agli ultimi decenni. Questa differenza con lo storicamente carico contesto europeo è stata trasformata in una fruttuosa opportunità da numerosi architetti cileni, come appunto da Radić, che agisce e lavora con una libertà finora difficilmente compresa dai colleghi del più rigido “vecchio continente”.