In­ter­vi­sta a Jo­ris Van We­ze­mael

Joris Van Wezemael, nuovo direttore della Società svizzera degli ingegneri e degli architetti (SIA), ha conseguito un dottorato in Geografia economica presso l’Università di Zurigo (UZH) e ha ottenuto un’abilitazione in Sociologia dell’architettura presso il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ). Dopo un soggiorno di ricerca nel Regno Unito ha condotto l’ETH-Wohnforum e ha insegnato Geografia degli insediamenti e Sviluppo territoriale all’Università di Friburgo. Attualmente gestisce una fondazione d’investimento immobiliare presso il Gruppo Pensimo ed è docente all’ETHZ.

Data di pubblicazione
04-06-2018
Revision
01-10-2018

Si presenti in poche parole: chi è e cosa fa?

Ho 44 anni, sono sposato e ho tre figli. Sono affascinato dall’evoluzione delle città e dei paesaggi, sia come risultati culturali, sia come sistemi urbani indipendenti da una progettualità, e sono interessato a tutti gli aspetti che influenzano la traiettoria della loro evoluzione e che creano connessioni. Il mio background in geografia, economia, sociologia e pianificazione e la mia passione per lo sviluppo tecnologico mi aiutano a mantenere una prospettiva di ampio respiro sui processi più rilevanti.

Quali sono i fattori che più hanno contribuito alla sua formazione?

Un autore che ha cambiato il mio modo di pensare, di affrontare i problemi e probabilmente alcune delle mie modalità di ragionamento è il filosofo francese Gilles Deleuze, nella rilettura del filosofo-artista messicano-americano Manuel DeLanda, che ha tradotto il messaggio di Deleuze in una forma più accessibile per un giovane con un background scientifico. Ho imparato da loro il valore delle relazioni piuttosto che delle cose; a usare i concetti chiave delle scienze della complessità per reinterpretarli e applicarli nel campo della pianificazione e dell’economia; ho imparato quanto è importante comprendere che non si può sfuggire al fatto di essere in medias res: «inizio» e «fine» sono solo pericolose illusioni, come lo sono le letture semplificate dell’autorialità o la riduzione del concetto di creatività al genio del singolo individuo.

La mia passione per lo spazio urbano è stata probabilmente risvegliata dalle città del Nord Italia, dove i miei genitori mi portavano molto spesso quando ero bambino; questa fascinazione era parallela a una profonda attrazione per le grandi infrastrutture, nutrita dall’immaginario visivo della mia città natale, Anversa, e dal suo porto. Gli amici mi prendevano in giro perché preferivo la ruggine del New Jersey al Parco Provinciale dell’Algonquin!

E infine, quando stavamo sviluppando il tema delle «geografie dell’abitare» come focus di ricerca presso il dipartimento di Geografia dell’Università di Zurigo, ho visitato le regioni della Germania dell’Est e ho imparato a conoscere i diversi modi in cui vengono gestiti i mercati dell’edilizia e delle costruzioni e allo stesso tempo a comprendere le interdipendenze tra politica e pianificazione. Credo che sia importante avere ben presenti diversi contesti culturali, geografici e anche tecnici quando si devono, ad esempio, affrontare i giusti problemi attuali e soprattutto futuri per la pianificazione nazionale in Svizzera. 

Come interpreta il concetto di Baukultur?

Credo di far parte di una generazione fortemente orientata ai processi. Pertanto, per me, Baukultur si riferisce soprattutto alla Kultur des Bauens (building culture, cultura della costruzione). Ciò allarga la prospettiva sul termine, allenta il suo orientamento all’oggetto e include non solo le nostre professioni legate alla pianificazione, ma in particolare il mondo del cliente (= Bauherr) e in particolare l’utente.

Come possono le istituzioni come la SIA contribuire allo sviluppo e alla diffusione di una cultura del progetto che produca un incremento della qualità dell’ambiente costruito?

La SIA deve prendere parte al discorso sulla qualità dell’ambiente costruito guardando nello stesso tempo ai professionisti, come i pianificatori e i clienti, al pubblico più vasto, così come al sistema politico. Bisogna rivolgersi alla gente comune nell’intento di comprendere le sue posizioni, mettersi al suo posto, parlare la sua lingua; soprattutto bisogna smettere di giocare a fare gli esperti davanti a un pubblico di profani, come quando un pianificatore illuminato insegna ai non addetti ai lavori come devono vivere e interpretare i loro spazi. «Qualità» è un termine vago, così come «cultura». Se si vogliono mettere questi termini al centro della propria agenda di lavoro, l’approccio deve essere principalmente dal basso e deve procedere secondo i criteri di rilevanza esplicitati dell’utente, non con quelli proposti dall’esperto. Ad esempio, se è necessario riqualificare uno spazio pubblico, è altamente probabile che debba essere modificata la sua destinazione d’uso, mentre per recuperare un edificio potrebbe invece essere importante produrre un piano di investimento e innescare un processo basato sullo spirito imprenditoriale, che punti a uno sviluppo economico futuro. Questo ragionamento si applica anche ai luoghi della residenza, dello shopping, del lavoro, ai contenitori di funzioni pubbliche, private o miste. 

Come possono una persona fisica oppure un’istituzione (come la SIA) contribuire a diffondere una cultura dell’abitare e del costruire che integri i concetti di sostenibilità, non solo ecologica, ma anche economica e umana, la partecipazione al progetto o almeno l’informazione?

In primo luogo, un’istituzione dovrebbe identificare i desideri dei diversi gruppi che compongono il tessuto sociale di riferimento e integrarli in strategie di comunicazione fattive, mostrando progetti concreti e risultati che si realizzano nella dimensione specifica di quel pubblico. In seguito dovrebbe mostrare ai potenziali investitori che il concept così creato è fattibile e desiderabile, perché un progetto ottiene popolarità attraverso la sua dimensione di patrimonio culturale e diventa una proposta commerciale allettante, unica e irripetibile. Ad esempio, utilizzare la bicicletta piuttosto che l’automobile deve essere una scelta attrattiva e divertente – e non solo un gesto consapevole nei confronti dell’ambiente.

In secondo luogo, l’istituzione dovrebbe mettere in moto un sistema di validi incentivi economici, in modo da poter attrarre e coinvolgere i principali soggetti attivi nella pianificazione. Grazie a questi incentivi, per un’impresa dovrebbe diventare economicamente interessante abbassare i costi di costruzione e per i responsabili della pianificazione dovrebbe diventare una buona prassi quella di integrare il fattore costi nei modelli di costruzione, di progettare semplici sistemi tecnologici di costruzione oppure di ottimizzare l’impiego di edifici e infrastrutture per la loro intera vita utile, tenendo in considerazione i rispettivi cicli di utilizzo dei diversi manufatti edilizi. Credo che la SIA possa contribuire attivamente al disegno di questi nuovi modelli di sviluppo di progetti di ampio respiro; può farlo diventare il suo core business, la sua struttura identitaria, anche modificando e ottimizzando in questo senso il suo sistema di norme e regolamenti.

Approfondimento: "L'interdisciplinarità mi ha sempre accompagnato".

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