Il Co­di­ce deon­to­lo­gi­co dell’OTIA /2

Sempre a proposito dell’art. 4.1

I professionisti devono «agire nel rispetto dei principi fondamentali dell’indipendenza, della dignità, dell’integrità morale e della lealtà»

Data di pubblicazione
31-12-2015
Revision
31-12-2015
Spartaco Chiesa
Dottore in diritto, giudice del Tribunale d’appello, presidente della commissione di vigilanza OTIA

Nel numero 1 di questa piccola rubrica, apparso in Archi 4/2015, si è analizzato il significato dell’impegno di ingegneri e architetti a svolgere la professione secondo scienza e coscienza. Ma, a ben vedere, altri aspetti della stessa norma meritano una breve riflessione: infatti, essa recita anche che gli stessi professionisti devono «agire nel rispetto dei principi fondamentali dell’indipendenza, della dignità, dell’integrità morale e della lealtà»: concetti tutti che, a una prima lettura, possono sembrare ovvi, ma che in realtà hanno un loro contenuto specifico e un motivo per aver trovato collocazione nel Codice deontologico

Quale indipendenza si chiede a ingegneri e architetti nello svolgimento della loro professione? Questa attitudine è facilmente riferibile a un giudice o a un arbitro, concretamente a un ingegnere o a un architetto chiamati a fungere da perito o da arbitratore; meno immediato per contro è il suo significato nello svolgimento quotidiano della professione. Sennonché, l’art. 3.2 del Codice spiega proprio: «In qualsiasi forma eserciti la professione, ogni ingegnere e ogni architetto deve disporre di sufficiente indipendenza personale per poter sempre conformarsi al suo ruolo, ai compiti assegnatigli e alle norme deontologiche, assumendosi in tal modo la responsabilità degli atti che compie». L’indipendenza personale è un concetto che attiene anzitutto alle sfera intima, e si configura in tal senso in quello che diversamente viene chiamato indipendenza di giudizio, o indipendenza intellettuale, o autonomia culturale, così come viene formulata in altri Codici professionali, segnatamente esteri. Essa ha però anche un aspetto concreto, dal momento che «indipendente» viene definito l’architetto o l’ingegnere che non svolge prestazioni professionali in condizioni di incompatibilità con il proprio stato giuridico e con il proprio ruolo, né quando il suo interesse o quello della committenza siano in contrasto con i suoi doveri professionali: si tratta del principio che sta alla base di alcune norme di dettaglio del nostro codice, segnatamente e ad esempio degli art. 4.9, 6.5 e 6.7 nonché, in misura ancora più evidente, degli art. 7.2 e 7.3, al cui contenuto si rinvia. 

La norma evoca anche il presupposto della dignità dove si può benissimo intendere tale concetto rivolto sia alla  persona del singolo membro dell’ordine, sia alla corporazione e alla professione in genere. Esso fa parte dell’aspetto etico nel comportamento dei professionisti, al pari della correttezza e del decoro, considerando che quanto può essere considerato moralmente indegno di un architetto o di un ingegnere crea in ogni modo un’ombra o un pregiudizio sulla rispettiva categoria professionale e quindi tende a intaccare anche quella dignità. Al proposito il già citato Codice d’onore della SIA (art. 1) include nella definizione del proprio scopo anche la salvaguardia «dell’onore professionale e della dignità dei soci»; e simile è peraltro il tenore del Codice deontologico del Consiglio nazionale italiano degli ingegneri (2006) che pone «la tutela della dignità e del decoro della professione» come fine principale del Codice stesso e del suo rispetto. Non potendo formulare una casistica di comportamenti indegni in professioni come quelle che ci concernono, sarà l’applicazione del Codice a darcene un’idea più concreta.     

L’integrità morale cui pure accenna l’art. 4.1 del Codice deontologico rientra in un discorso analogo poiché concerne anch’essa una valutazione di tipo etico del comportamento dell’architetto o dell’ingegnere. Quando tuttavia si parla di integrità morale non ci si limita a considerare un comportamento o una fattispecie isolata nella vita di un professionista, ma l’attenzione è rivolta alla sua persona in generale.  Evidentemente il Codice non vuole interessarsi allo stile di vita di architetti e ingegneri, ma chiede loro di attenersi in generale a criteri di onestà, di decoro e di correttezza personali – quindi non solo nello svolgimento della professione – tali da non nuocere all’immagine e al buon nome dell’Ordine nel suo insieme. A tal proposito è doveroso osservare che un Codice deontologico come quello in esame non è fatto soltanto per essere rispettato dai soci e per delineare il confine fra comportamenti conformi o no allo statuto professionale di ingegneri e di architetti, ma il suo fine ultimo è quello di creare autorevolezza e rispetto nei confronti dell’Ordine e delle categorie professionali che in esso si riconoscono, attraverso la salvaguardia di tutta una serie di presupposti positivi – anche personali – in favore di ogni singolo membro.          

Nello stesso ordine di idee, l’art. 4.1 annovera fra gli impegni di ingegneri e architetti anche la lealtà che può essere letta come sinonimo di fidatezza, onestà, franchezza, trasparenza, rettitudine, ma che evoca soprattutto il concetto generale della buona fede, ossia di uno dei principi cardine del diritto in merito al rapporto degli individui con gli altri, siano essi privati o autorità.

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