Il Co­di­ce deon­to­lo­gi­co del­l'O­TIA /7

Rapporti con gli enti pubblici

In questa puntata del ciclo sul codice deontologico, il giurista Spartaco Chiesa esamina i rapporti di ingegneri e architetti con gli enti pubblici.

Data di pubblicazione
15-06-2019
Spartaco Chiesa
Dottore in diritto, giudice del Tribunale d’appello, presidente della commissione di vigilanza OTIA

I rapporti di ingegneri e architetti con enti pubblici sono frequenti e pertanto il Codice deontologico se ne occupa a giusta ragione. Infatti, in specie la procedura prevista dalla Legge edilizia cantonale (LE) relativa alle licenze edilizie impone a chi intenda costruire, ricostruire, trasformare o demolire edifici e altre opere, rispettivamente modificare in modo importante la configurazione del suolo, di farne richiesta al Municipio nel cui territorio si trovi il bene immobile interessato dall’operazione. In particolare, l’art. 3 LE crea la competenza dei Municipi per la concessione di licenze edilizie, indicando che le relative domande devono essere corredate della documentazione necessaria e che esse devono essere firmate dal proprietario del fondo e dal progettista; dispone inoltre che «i progetti e i documenti annessi devono essere elaborati e firmati da un architetto o da un ingegnere, a seconda della natura dell’opera, iscritto all’albo OTIA» (art. 4 LE). In tal modo, nell’ambito del controllo della conformità di una domanda alla legislazione vigente, in particolare al Piano regolatore comunale (ma non solo), il Municipio – eventualmente per il tramite dell’Ufficio tecnico comunale (laddove esista) – gode di un rapporto diretto con il progettista cui può rivolgersi per ogni necessità che scaturisca dall’esame della documentazione.

Nell’ambito di questi rapporti previsti dalla legge, ma anche – se del caso – in altri stadi della procedura, ingegneri e architetti sono tenuti non solo a comportarsi «con correttezza nel rispetto delle funzioni svolte dalle pubbliche autorità e dai loro servizi», ma devono altresì favorire tali rapporti (art. 7.1 del Codice deontologico). Anche qui il termine correttezza vuol dire diligenza e lealtà, come indica in modo chiaro l’art. 1.1. Scorrettezze compiute nei confronti di enti pubblici sono da considerare come gravi infrazioni del Codice, tali certamente da compromettere gravemente la dignità professionale dell’agente. In tal senso aveva deciso a suo tempo la Commissione di vigilanza dell’OTIA nei confronti di un architetto che, per ottenere più rapidamente l’abitabilità di un edificio da lui progettato, aveva prodotto all’Ufficio tecnico competente un documento fotografico manipolato, non conforme allo stato delle cose.

Il Capitolo 7 del Codice deontologico si occupa anche in particolare dei possibili conflitti d’interesse, considerando tre fattispecie particolari. La prima – descritta all’art. 7.2 – concerne il caso in cui un ingegnere o un architetto sia legato da rapporti di parentela o di amicizia a uno o più membri di una pubblica amministrazione competente – ad esempio – per l’esame di una determinata domanda di costruzione. Ora, tale situazione di ambiguità non può essere regolata dal Codice deontologico per mezzo di norme di astensione o di ricusa, ma – potendo rivolgersi in modo esclusivo ai membri dell’OTIA – la normativa deve limitarsi a imporre loro di non utilizzare tali rapporti privilegiati «per trarne profitto, direttamente o indirettamente, nell’esercizio dell’attività professionale». Diversa è la fattispecie dell’art. 7.3, che rappresenta una situazione ricorrente nella pratica, ossia quando ingegneri e architetti rivestono cariche pubbliche, in particolare come membri di autorità competenti a trattare procedure di natura edilizia o pianificatoria, e rispettivamente sono chiamati – in tale veste – a prendere decisioni che concernono la loro attività professionale. In tal caso – analogamente alla norma considerata prima – tali professionisti non possono trarre vantaggi dalla loro posizione pubblica, né direttamente né indirettamente, né per se stessi né per altri, specie per i loro committenti. È questo il caso classico del conflitto d’interessi. Diversamente regolata è invece la posizione del professionista in relazione esclusiva alla carica pubblica rivestita, campo nel quale valgono le norme del diritto pubblico cantonale, segnatamente l’art. 100 cpv. 1 della Legge organica comunale (LOG – 181.100) che esclude dalla discussione e dal voto un membro di Municipio relativamente a «oggetti che riguardano il suo personale interesse», ciò che comprende – senza ombra di dubbio – il proprio vantaggio professionale.

Il Codice deontologico esamina infine (art. 7.4) una terza situazione, tenendo conto del fatto che architetti e ingegneri non sono limitati nell’esercizio della loro professione alle attività di progettista e di direzione lavori; essi infatti possono assumere mandati che vengono considerati attività collaterali dal Codice deontologico (Capitolo 5), quindi possono anche fungere da consulenti per enti pubblici nei campi della loro competenza professionale. Ebbene anche in questi casi il Codice impone loro di non assumere incarichi professionali che siano o siano stati oggetto di una loro attività di consulenza, a prescindere dal fatto che la stessa sia stata svolta in forma occasionale o continuativa; divieto che la norma estende «ai colleghi che con il consulente abbiano in atto rapporti di collaborazione», intendendo con ciò – ad esempio – colleghi dello stesso studio professionale.

A proposito di quest’ultima disposizione si osserva infine che – diversamente dagli art. 7.2 e 7.3 dove il Codice deontologico assume come elemento discriminante dell’esistenza di un effettivo conflitto d’interessi il vantaggio pratico ed economico derivante all’architetto o all’ingegnere – essa esprime nei confronti dei membri dell’Ordine un esplicito divieto di assumere mandati che fin dall’inizio appaiono formalmente non conformi alla correttezza professionale.

 

I contributi di Spartaco Chiesa sul codice deontologico dell'OTIA sono raccolti in questo dossier.

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