Guar­da­re l'ar­chi­tet­tu­ra dal­l'au­to­mo­bi­le

Con l'automobile è nato un nuovo modo di vedere lo spazio: una rivoluzione che non poteva mancare di influenzare gli architetti. Marianna Charitonidou, curatrice della mostra «The View from the Car: Autopia as a New Perceptual Regime», racconta come le macchine abbiano contribuito a trasformare il rapporto tra città e architettura.

Data di pubblicazione
22-07-2021

La visione dell'automobilista ha creato un nuovo regime percettivo che, invece di funzionare semplicemente come uno strumento che permette di documentare le impressioni visive nel corso d'un tragitto, ha giocato un ruolo importante nell'elaborazione delle strategie di progettazione architettonica e urbana degli architetti. Questa visione ha introdotto una nuova episteme del paesaggio urbano e del territorio in generale, come testimonia Reyner Banham in Los Angeles: The Architecture of Four Ecologies, dove a proposito di questa nuova episteme del viaggio in macchina scrive: «Come in passato generazioni di intellettuali inglesi studiavano l'italiano per leggere Dante, per poter leggere Los Angeles io ho imparato a guidare».1 

Due film incentrati sull'influsso dell'automobile sull'architettura, View from The Road di Kevin Lynch (1965) e Reyner Banham Loves Los Angeles (1972), possono aiutarci a capire meglio come e perché gli architetti abbiano preso coscienza dell'importanza dell'automobile. Un'altra ricognizione importante è The View from the Road (1964) di Donald Appleyard, Kevin Lynch e John Myer, che elabora nuovi disegni interpretativi come i «diagrammi dello spazio e del movimento», i «diagrammi d'orientamento» e i «diagrammi sequenziali». I tre hanno sviluppato questo insieme di metodi che si propone di rappresentare e riflettere sugli aspetti caratteristici dello spostamento in automobile come, tra gli altri, il «ritmo presunto dell'attenzione», i punti di confusione e i punti di decisione. Il principale obiettivo di questi studi era di mettere a punto delle nuove strategie di rappresentazione capaci d'affrontare in maniera efficace «il nuovo mondo della visione congeniale alla nostra velocità di movimento [e] all'esperienza dell'autostrada».2

«Come in passato generazioni di intellettuali inglesi studiavano l'italiano per leggere Dante, per poter leggere Los Angeles io ho imparato a guidare»
Reyner Banham

Meno nota, l'opera di Alison Smithson AS in DS: An Eye on the Road (ill. 2) fa riferimento a «un nuovo tipo di libertà conferita dall'automobile»,3 oltre che a «la nuova sensibilità che deriva dalla visione del paesaggio in movimento».4 Il testo di Smithson insiste sulla necessità di «ripensare molti degli assunti di base che sono legati al nostro modo “ereditato” di vedere il paesaggio e le città» e di stabilire «nuovi protocolli per il tipo di luoghi che vogliamo costruire».5 Come «il diario di bordo di ciò che vede il passeggero dalla sua automobile», le sue descrizioni racchiudono quel «punto di vista del passeggero seduto nella parte anteriore dell'auto all'inizio degli anni Settanta [che] valeva la pena registrare». 

A differenza del viaggio in treno, la cui traiettoria è predeterminata, un viaggio in automobile ci lascia liberi di scegliere il tragitto e di sondare il territorio secondo i nostri desideri, e si accompagna alla reinvenzone della percezione di esso.

Denise Scott Brown, John Lautner, Alison e Peter Smithson, ma anche Aldo Rossi scattavano tutti molte foto dalle loro automobili. Se si associano i loro approcci ai rispettivi metodi di progettazione architettonica, si capisce come questa pratica fotografica sia potuta diventare il mezzo per stabilire una nuova episteme. Cercando di captare la “visione automobilistica” e di integrarla nella prassi della progettazione, gli architetti sono stati confrontati con diverse questioni metodologiche. Due tra esse in particolare hanno catturato la loro attenzione: in primo luogo, quali sono gli strumenti più efficaci per trasferire la visione automobilistica sul piano degli approcci progettuali? In secondo luogo, qual è il più appropriato per rappresentare l'aspetto sequenziale e seriale della visione dell'automobilista? I diagrammi realizzati da Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour in collaborazione con i loro studenti per Learning from Las Vegas sono l'espressione della loro volontà di vedere la realtà urbana concreta, lungi da ogni preconcetto concernente l'estetica dell'istantaneità. Inoltre, le loro fotografie e i loro film sono stati concepiti come strumenti complementari miranti a rendere esplicito come il rapido cambiamento dei punti di vista al volante abbia favorito un'estetica dell'istantaneo e si sia rapportato alla memoria in modo diverso, attraverso la sovrapposizione e la giustapposizione d'impressioni visive. Parallelamente, hanno rimesso in questione la dicotomia tra il valore stimolante e documentario delle rappresentazioni visive. In Learning from Pop, un saggio pubblicato originariamente nel 1971 su «Casabella», Scott Brown osservava che «le nuove tecniche analitiche devono utilizzare il film e il video per trasmettere il dinamismo dell'architettura delle insegne e dell'esperienza sequenziale dei paesaggi vasti».6 Riteneva che solo il medium filmico fosse compatibile con il desiderio di cogliere lo sviluppo dinamico delle città. Venturi e Scott Brown hanno spesso fatto ricorso a sequenze protofilmiche, che consideravano adatte a tradurre il carattere sequenziale e seriale della visione dell'automobilista, e anche a catturare «la giustapposizione non mediata di frammenti di realtà».7 Il disegno di Venturi della vista dal parabrezza per il piano generale della California City dimostra analogamente il loro interesse per la visione dall'automobile come strumento progettuale.

Il modo in cui gli architetti fotografano o filmano dall'interno di un'automobile, il loro interesse per le tipologie legate alla cultura automobilistica, sono legati al modo in cui affrontano il processo di progettazione. Il modo di inquadrare, la specificità delle loro tecniche e la scelta di certe tipologie e/o segnaletiche piuttosto che di altre nel corso dei loro spostamenti in macchina sono strettamente legati alla loro concezione dell'architettura come mezzo di comunicazione simbolico. Sono strumenti emersi dall'ambito della semiotica e della semiologia, che rimandano al logos dei segni introdotti dagli architetti per conoscere questa nuova realtà e conferirle un senso.


Marianna Charitonidou ha curato la mostra «The View from the Car: Autopia as a New Perceptual Regime». Questo articolo è apparso su espazium.ch/fr. Traduzione a cura della redazione.

 

Note

  1. Reyner Banham, Los Angeles: The Architecture of Four Ecologies (1971), prefazione di Joe Day, introduzione di Anthony Vidler, Berkeley, California; London, University of California Press, 2009, p. 5. Traduzione in italiano della redazione.
  2. Donald Appleyard, Kevin Lynch, John Myer, The View from the Road, Cambridge, Mass., The MIT Press, 1964, p. 63. Traduzione in italiano della redazione.
  3. Alison Smithson, AS in DS: An Eye on the Road, London & Delft, Delft University Press, 1983, p. 23. Traduzione in italiano della redazione.
  4. Ibid., p. 47.
  5. Ibid., p. 23.
  6. Denise Scott Brown, «Learning from Pop », in Robert Venturi, Denise Scott Brown, The View from the Campidoglio. Selected Essays 1953-1984, New York, Harper & Row, 1984, p. 28-31. Pubblicato originariamente in «Casabella», n° 359-360, 1971, pp. 15-23. Traduzione in italiano della redazione.
  7. Martino Stierli, Las Vegas in the Rearview Mirror: The City in Theory, Photography, and Film, Los Angeles, Getty Research Institute, 2013, p. 42. Traduzione in italiano della redazione.

«The View from the Car» è una mostra concepita in forma ibrida. Attualmente accessibile online, sarà presentata alla Bau­biblio­tek dell’ETHZ dal 15 settembre al 15 ottobre 2021.

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