Au­to­fo­cus – Mar­cel­lo Ma­ria­na

Nel 1960 Fernand Pouillon scriveva: «L'illustrazione del libro d'architettura appartiene oggi ai fotografi. Le riviste contemporanee, che pure hanno a disposizione i disegni originali […], preferiscono la fotografia». Sessant'anni dopo è ancor più evidente come quest'arte abbia plasmato lo sguardo sull'architettura: se la realizzazione di un progetto è suggellata proprio dal momento in cui se ne scattano le fotografie, i rendering non sono altro che “previsioni” di fotografie, fotografie dal futuro. In un territorio ristretto come la Svizzera italiana è allora interessante capire chi sono i fotografi che guidano il nostro sguardo sul panorama costruito. Abbiamo posto loro cinque domande, sempre le stesse, per dare conto delle prospettive di ciascuno sul proprio mestiere.

Data di pubblicazione
18-11-2020

Come ha iniziato a occuparsi di fotografia d'architettura?
Per caso. Andrea Martiradonna cercava un assistente, mi presentai in tuta da ginnastica e a quanto pare lo colpii favorevolmente. Senza di lui sarei forse qualcos’altro… Gli voglio bene.

Con quali architetti collabora più spesso? Ci racconterebbe un aneddoto legato a uno di loro?
I valtellinesi, quelli di casa, sono i miei preferiti, perché parliamo la stessa lingua.
Ricordo un progettista che, tutte le volte che mi presentava ai proprietari di una casa che ero in procinto di fotografare, esordiva dicendo: «Lui è Marcello Mariana, adesso voi lo vedete un po’ così ma in realtà è bravissimo…» Credo lo dicesse perché pare che io non sia esattamente il tipo che vorresti veder passeggiare per il tuo soggiorno…

Secondo lei la fotografia d'architettura ha un modo diverso di approcciarsi ai suoi soggetti rispetto alla fotografia tout court? Se sì, quali sono le differenze?
La fotografia è davvero un concetto molto semplice: luce, spazio, tempo… Non lo so, alla fine è pur sempre questione di come si combinano questi tre elementi. Io quando lo faccio cerco esclusivamente di divertirmi.

«La fotografia è un concetto molto semplice: luce, spazio, tempo… Alla fine è pur sempre questione di come si combinano questi elementi. Io cerco di farlo divertendomi»

La chiamano per fotografare un edificio. In che modo si approccia al soggetto? Cosa cerca, cosa le interessa mostrare?
Cerco le cose a me più familiari: la malinconia, il mistero, l’ambivalenza… A volte mi spavento perché c’è qualcosa che non riconosco e non riesco di conseguenza a gestire; a quel punto sei costretto fare un salto nel vuoto e vedere cosa succede. Magico.

Tra le fotografie che ci propone, le chiederei di sceglierne una che le sembra particolarmente riuscita e commentarla. Cosa mostra e perché le sembra che questa fotografia funzioni?
È interessante constatare come, quando ti chiedono di ripescare nel tuo archivio, si reagisca in maniera ambigua alla vista di vecchi scatti: e in questo momento stavo giusto pensando che quelli che sto valutando non sono poi un granché!
Ce n’è comunque una sulla quale capita che mi soffermi spesso: è l’immagine che vedete di Caldesini, opera di Rocco Borromini. Come per molte fotografie, succede che tu non debba far niente, passi di lì e la vedi. Questa l’ho vista e l’ho dovuta soltanto inquadrare, decidere cioè cosa tenere e cosa levare, ma a tutt’oggi ancora non la capisco… Senza voler apparire eccessivamente lirico o romantico, devo dire che l’unica cosa che riesco a mettere a fuoco di quell’immagine è il suono, che fortunatamente esiste solo nella mia testa.

Marcello Mariana è un fotografo d’architettura; molti importanti studi di progettazione e aziende si rivolgono a lui per avere un’interpretazione delle loro opere.


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