Le Cor­bu­sier e la su­per­fi­cie: i ri­ves­ti­menti d'in­to­naco delle prime ville pu­riste

Le ville di Le Corbusier e Pierre Jeanneret degli anni Venti sono state largamente pubblicate, accompagnate da fotografie in bianco e nero: sono infatti entrate nella storia dell'architettura come volumi bianchi sotto la luce. Un'analisi dei documenti dell'epoca rivela invece al contrario, l'esistenza di una serie di superfici intonacate, per le quali il bianco non esiste.

Date de publication
01-11-2012
Revision
14-11-2016

Le ville di Le Corbusier e Pierre Jeanneret degli anni Venti sono state propagandate da fotografie in bianco e nero, e sono entrate nella storia dell’architettura e nell’immaginario collettivo come bianchi volumi sotto la luce. Invece l’analisi dei documenti mostra l’esistenza di una gamma di valori di superfici intonacate in cui non esisteva in origine quel bianco che adesso qualifica quelle opere. Le Corbusier ricerca tipi di intonaco resistenti alle conseguenze della sua ossessione estetica di ridurre ogni modanatura a una linea sottile, sino a farla scomparire del tutto, lasciando le facciate prive di ogni protezione. Si sviluppa in questo contesto estetico quella sperimentazione su “mouchetis”, intonaci a base di calce, intonaci a base di “plâtre” ordinario, “lithogène”, “cimentaline”, “ciment blanc”, intonaci a base di cemento ordinario, “ciment-pierre”, ognuno di questi da mettere in opera quasi sempre senza strato di pittura, perciò lasciati a vista con il colore proprio degli inerti, colore che la letteratura dell’epoca indicava come “simili-pierre”. Non sfuggirà, dunque, la crucialità di quella che possiamo definire una vera e propria scoperta che azzera l’idea che il bianco fosse il colore ricercato da Le Corbusier per la sua architettura purista, e quindi conseguentemente azzera tutte le considerazioni filosofico-estetiche che da questa errata convinzione sono state formulate e sulle quali si è costruita una falsa immagine dell’architettura del purismo. Nella maggior parte dei casi, i radicali interventi di restauro compiuti a più riprese sulle architetture di Le Corbusier – ed emblematico è il cantiere dei restauri della villa Savoye -, hanno reso il testo – l’opera – irrimediabilmente perduto, come nel caso di un restauro pittorico che avesse raschiato i trattamenti superficiali ultimi che i pittori stendevano sui loro quadri per infondere lucentezza o opacità. Nel caso dell’architettura, si è spesso asportata non la patina ma l’intera scorza di rivestimento e con essa il colore naturale dell’intonaco. Se poi consideriamo che certi intonaci usati da Le Corbusier all’inizio degli anni Venti ormai spariti dal commercio, si capirà ancor meglio come la prospettiva di avere un’idea della originaria qualità della superficie delle sue architettura sia diventata una pura illusione. È in questo quadro che i documenti di cantiere conservati presso la Fondation Le Corbusier appaiono nella loro tragicità di testimonianza di una pelle di cui resta solo la descrizione e di cui solo possiamo immaginare il colore.

I. Il “devis” per la costruzione della Maison Citrohan del 1922 e il rivestimento in “mouchetis”

La messa a punto delle tecniche costruttive più idonee alla realizzazione dei principi dell’estetica purista in architettura avviene tra il 1922 e il 1924 con la costruzione delle prime case puriste: la villa per George Besnus, a Vaucresson, la casa-atelier per Amédée Ozenfant, a Parigi, e gli hôtels particuliers per Raul La Roche e Albert Jeanneret, a Parigi.
Uno dei primi documenti relativi ad alcuni modi costruttivi, che si affermeranno in queste opere, è il “devis” dei lavori del progetto per la Maison Citrohan, redatto nel marzo 19221. Circa in questo periodo la Maison Citrohan è diventata il modello della casa che Pierre Gaut intende edificarsi presso il Parc de Montsouris, a Parigi, dopo aver visto il progetto pubblicato nel numero 13 di “L’Esprit Nouveau” del 1921.2
Tra il gennaio e il febbraio 1922 Gaut richiede una prima valutazione del costo della casa a Le Corbusier. Sarà l’impresa G.-L. Meyer & Cie. Ingénieurs Constructeurs Entreprise Générale Béton Armé, con sede in 44 rue Blanche, a Parigi, a fornire, nel marzo 1922, il dettagliato “devis” per la costruzione di un prototipo di Maison Citrohan edificabile nella periferia parigina3.
L’occasione del progetto per la casa Gaut e la messa a punto del prototipo di Maison Citrohan servono a Le Corbusier per sondare le soluzioni più economiche al fine di realizzare l’estetica purista in architettura. Tuttavia tra la descrizione fornita in “L’Esprit Nouveau” nel 1921 e quella nel “devis” del marzo 1922 esistono significative differenze relativamente alla qualità formale della superficie.
Nell’articolo le pareti all’interno della casa sono descritte quali “murs lisses comme des feuilles de tôle”4. È probabile, benché tutt’altro che comprovato, che questo tipo di finitura sia previsto anche per il rivestimento esterno. Il dubbio sulla finitura dell’esterno deriva dal fatto che i “murs lisses” sono tali solo nella descrizione che Le Corbusier fa a commento del disegno del soggiorno a doppia altezza5.
Nel caso della costruzione della Maison Citrohan per conto di Gaut, i muri sono da intonacare con “enduit de plâtre” all’interno e con “enduit chaux mouchetis” all’esterno, come risulta dal “devis”6. L’“enduit de plâtre” è a base di gesso ordinario, a grana fine, ideale per ottenere l’effetto di “murs lisses” come la “tôle”. Nella tradizione edilizia parigina, questo tipo di intonaco è diffuso anche per il rivestimento degli esterni, tuttavia protetto da una pittura ad olio. Il fatto che il “devis” del marzo 1922 non preveda l’“enduit de plâtre” per gli esterni si spiega con la profonda trasformazione delle soluzioni di rivestimento in atto proprio all’inizio degli anni Venti. È in questo periodo che l’industria edilizia francese si concentra sulla ricerca e importazione di prodotti tecnici in grado di ottenere rivestimenti in “enduit” caratterizzati da un grado di durevolezza maggiore senza più ricorrere alla pittura ad olio. In questo frangente anche gli intonaci di calce e di cemento, già esistenti ma non particolarmente diffusi, assumono nuova attualità per le loro caratteristiche meccaniche. Tra i nuovi prodotti per i rivestimenti esterni si affermano in modo particolare il “plâtre-pierre” e il “ciment blanc”.
Per il rivestimento esterno del prototipo della Maison Citrohan viene previsto un intonaco di calce “mouchetis” - “enduit chaux mouchetis”7. Noto anche come “enduit tyrolien”, l’intonaco “mouchetis” è un composto formato da un legante che può essere calce, cemento o “plâtre”, cui viene addizionato del materiale inerte quale la sabbia umida e chiara. Nel “devis” del marzo 1922, la scelta della “chaux” come legante è sicuramente determinata da ragioni di costo e durevolezza (infatti la calce è più economica del cemento e più resistente del “plâtre”). La particolarità, sottolineata dall’aggettivo “mouchetis” o “tyrolien”, consiste nella qualità della superficie, che è sempre granulosa, a causa dell’inerte, anche se in una vasta gamma di diversi gradi di plasticità, ottenibile, quest’ultima, con accorgimenti nella messa in opera del rivestimento. Non a caso nel linguaggio tecnico è assai ricorrente l’espressione di “grenue” per indicare la particolare qualità della superficie. Il sinonimo di “mouchetis”, “tyrolien”, fa chiaramente riferimento alla tradizione edilizia tirolese, caratterizzata da rivestimenti di intonaco dalla superficie granulosa ottenuta con un apparecchio a manovella per la proiezione dell’intonaco (apparecchio denominato “moustiquette” o “tyrolienne”).
Il fatto che nel “devis” del marzo 1922 non sia previsto nessun trattamento del “mouchetis” lascia supporre che Le Corbusier preveda di rivestire il prototipo della Maison Citrohan con un intonaco grezzo. Questa scelta potrebbe essere giustificata dal particolare sito in cui Le Corbusier prevede la costruzione della Maison Citrohan, immersa nella vegetazione come una casa tirolese o come le case da lui stesso realizzate a La Chaux-de-Fonds8. Del resto anche nel progetto del 1917 per le case a Saint Nicolas-d'Aliermont, Le Corbusier aveva previsto, come rivestimento dei muri di mattoni, un “crépi brut blanchi à la chaux”9 – “soubassement en ciment lissé”10. Fondamentale non solo per la comprensione dei tipi di superficie di rivestimento dell’architettura di Le Corbusier è la decisione di lasciare il “crépis” allo stato “brut”, per ottenere un effetto rustico, adeguato al paesaggio agreste di Saint Nicolas-d'Aliermont.
Così se consideriamo gli esempi delle case a Saint Nicolas-d'Aliermont e della Maison Citrohan descritta nel 1922 risulta che la superficie lecorbusieriana è ancora reattiva al paesaggio, presenta ancora quelle caratteristiche rustiche delle architetture vernacolari e, pertanto, il purismo non è ancora quella estetica integralmente industriale. L’effetto della “tôle” da “machine à habiter” di cui Le Corbusier scrive nel 1921 contempla ancora varianti significative che porterebbero a rintracciare nella poetica lecorbusieriana una sorta di purismo dagli accenti vernacolari. Che questo carattere vernacolare delle forme cubiche astratte puriste, ottenuto proprio grazie all’intonaco – il “mouchetis” – non sia un fenomeno isolato nell’architettura francese dei primi anni Venti, e non solo quella francese, è confermato dai progetti di Pol Abraham e di Adolf Loos. Documento significativo della diffusione del “mouchetis”, in una versione caratterizzata da un importate grado di rusticità, è il progetto di Loos per la villa dell’attore austriaco Alexander Moissi al Lido di Venezia, esposto al Salon d’Automne di Parigi nel 192311.
L’opzione di Le Corbusier per questo tipo di rivestimento potrebbe dipendere anche dal fatto che il “mouchetis” cela, grazie alla rugosità della superficie, le eventuali fessurazioni del rivestimento. Questa caratteristica non è trascurabile se consideriamo che nel prototipo della Maison Citrohan è assente ogni aggettante cornicione di protezione. La ricerca della superficie continua e del volume puro non coronato da alcun cornicione di protezione sporgente, induce Le Corbusier a tentare la soluzione di un cornicione rientrante all’interno del filo della facciata.
Le successive ricerche di Le Corbusier sul rivestimento delle ville puriste saranno volte alla individuazione di un intonaco resistente alle intemperie e dalla superficie liscia, surrogato della carrozzeria metallica delle automobili che rappresenta il modello ideale e di finitura tecnica delle sue case.

II. Il progetto dei rivestimenti della villa Besnus, 1923

L’estate 1923, quando si sta costruendo il grezzo delle strutture in calcestruzzo armato della villa Besnus e dell’atelier Ozenfant, è decisiva per la verifica dei principi costruttivi del purismo. Se il “devis” della Maison Citrohan precisa alcune caratteristiche tecniche dell’estetica purista, di contro le prime verifiche pratiche avvengono proprio nei cantieri della villa Besnus e dell’atelier Ozenfant.
L’interrogativo che si apre nell’opera di Le Corbusier intorno al 1923 è quello di individuare una tecnica artistica capace di reintrodurre, nella superficie intonacata, valori decorativi, che precedentemente aveva introdotto o con le decorazioni “style sapin” o con la logica perrettiana dei materiali a vista.
Nel febbraio 1923 Le Corbusier e Jeanneret trasmettono a Besnus la bozza della “note descriptive des travaux de toutes natures pour la construction d’une maison à Vaucresson”12. Nella “note descriptive” gli intonaci risultano essere in “plâtre à la Lyonnaise” per gli interni e in “mortier de chaux hydraulique au bouclier”, per gli esterni13. Probabilmente il “plâtre à la Lyonnaise” indica un intonaco magro da lisciare con un abrasivo. Raramente Le Corbusier prevede questo tipo di rivestimento per gli interni (solitamente fa ricorso ad un semplice intonaco di “plâtre”).
Il “mortier de chaux hydraulique” previsto per il rivestimento esterno dei muri è costituito da calce idraulica, sabbia pura e acqua, e possiede una buona plasticità, superiore anche a quella del cemento; tuttavia si tratta di un intonaco poroso e scarsamente resistente al gelo. Conoscere le modalità di applicazione del “mortier de chaux hydraulique”, non precisate nella “note descriptive”, consentirebbe di risalire all’effetto di superficie voluto da Le Corbusier nella prima fase di studio della villa Besnus. Infatti i diversi tipi di applicazione consentono di ottenere epidermidi più o meno granulose. Nella “note descriptive” viene semplicemente previsto un trattamento "au bouclier", cioè con un attrezzo di legno, o acciaio, che serve a pareggiare, compattare e lisciare l’intonaco producendo superfici lisce ma facilmente fessurabili.
Le indicazioni della “note descriptive” relative ai lavori di pittura si limitano agli interni. L’assenza di indicazioni relative alla pittura delle facciate potrebbe significare che il rivestimento in “mortier de chaux hydraulique au bouclier” sia da lasciare a vista14. Le fotografie scattate alla conclusione del cantiere mostrano una superficie articolata in campi irregolari, corrispondenti alle fasi di stesura del rivestimento (probabilmente questo effetto non sarebbe risultato così evidente nel caso di una finitura a pittura)15.
I lavori di costruzione della villa Besnus vengono affidati all’impresa George Summer, ingénieur constructeur Entreprise Générale Béton Armé, con sede in 38 avenue Junot a Parigi. È a partire da questa opera che nascerà una collaborazione tra Le Corbusier e Summer che si protrarrà per tutto il corso degli anni Venti. Il contratto tra Besnus e Summer viene siglato il 23 aprile ed è redatto sulla base di correzioni e precisazioni appuntate da Le Corbusier sulla “note descriptive”, probabilmente a seguito delle discussioni avute con lo stesso Summer16.
Con il contratto dell’aprile viene apportata una significativa modifica alle opere di finitura della villa. La modifica riguarda il tipo d’intonaco delle facciate, per il quale è ora indicato un rivestimento non più in “mortier de chaux hydraulique”, bensì in “lithogène ou toute autre matière analogue reconstituant la pierre et résistant parfaitement au gel et n’étant pas poreux”17. Invece per il settore di facciata sulla strada corrispondente al piano interrato è previsto un intonaco di cemento più resistente18. In documenti successivi non verrà fatto riferimento al rivestimento della fascia basamentale in cemento : “Les façades seront absolument lisses enduites au lithogène ou en tout autre enduit semblable, d’excellente qualité et résistant au gel et à la pluie”19.
Il “lithogène” appartiene ad un genere di rivestimenti noto come “plâtre-pierre” ed é costituito da un tipo di “plâtre” studiato a partire dalla fine dell’Ottocento, il “plâtre aluné”, al quale viene addizionato un calcare duro, come quello compatto a grana fine diffuso in Francia, che gli conferisce una consistenza e una resistenza maggiori rispetto a quelle degli intonaci dello stesso genere. Una delle sue caratteristiche è infatti la durata nel tempo favorita da una superficie difficilmente scalfibile dagli agenti atmosferici. La scelta di un tipo d’intonaco come il “lithogène”, non solo dalle caratteristiche meccaniche superiori a quello previsto inizialmente, ma anche di una qualità formale tale da imitare quella della pietra, apre una serie di interrogativi fondamentali circa la finitura delle superfici nelle prime architetture puriste20.
L’indicazione “reconstituant la pierre”, riportata nel contratto del 23 aprile, e l’assenza di indicazioni circa una finitura a pittura degli esterni, potrebbero essere una conferma del fatto che l’intonaco delle facciate sia stato previsto da lasciare in vista senza aggiunta di uno strato di colore. Questa ipotesi è confermata dalle caratteristiche del particolare intonaco scelto da Summer e Le Corbusier che consente di economizzare sulla pittura non avendo bisogno né di protezioni contro la pioggia né di colorazioni aggiuntive21.
Le lavorazioni di finitura solitamente adottate all’inizio degli anni Venti per i rivestimenti in “lithogène” prevedono soltanto un “grésage”, cioè una politura della superficie una volta che lo strato d’intonaco è indurito22. È probabile, dunque, che la colorazione del rivestimento delle facciate della villa Besnus corrisponda al colore della pietra utilizzata per ottenere il “lithogène”. Nel contratto del 23 aprile, essendo stilato secondo le consuetudini, non è precisato il tipo di attrezzo e di finitura del “lithogène” (né altri documenti forniscono indicazioni in tale senso).
Se è vera l’ipotesi di un intonaco del genere “plâtre-pierre” privo di uno strato di pittura, allora la scelta del “lithogène” a vista potrebbe essere una soluzione adottata da Le Corbusier al fine di ottenere un rivestimento polito e durevole, e di evitare il rapido deperimento di una tinteggiatura.
Vale la pena notare che nella costruzione dell’hôtel particulier Gaut, nel 1923, Perret usa il “lithogène” come rivestimento delle facciate, compreso il cornicione, senza applicazione dello strato di pittura23. Il tipo di “lithogène” usato da Perret è ottenuto con un “plâtre aluné” derivato non dal “gypse” ma dall’alabastro – si tratta di un procedimento diffuso in Francia e all’origine della invenzione inglese del cemento “Keene”. Questo tipo di “plâtre aluné” è più duro e resistente di quello ottenuto dal “gypse”, e presenta una colorazione giallastra con cristalli translucidi.
Inoltre durante il viaggio in Italia del settembre 1922, Le Corbusier ha modo di osservare i rivestimenti in marmorino, che sono simili, per effetti di superficie, al “lithogène”, di opere di Palladio come la Rotonda, e di edifici a Venezia.
Nella villa Besnus, l’utilizzo del rivestimento in “lithogène”, o, come scritto nel contratto del 23 aprile, in “toute autre matière analogue reconstituant la pierre et résistant parfaitement au gel et n’étant pas poreux”, comporta una concezione della superficie in cui la finitura è quella del materiale e non quella del colore. Se così fosse, cioè se la villa fosse stata realizzata priva di colore aggiunto all’esterno, come l’hôtel particulier Gaut, allora le valutazioni sinora formulate circa il candore dell’architettura del primo purismo andrebbero radicalmente riviste.
La scelta del “lithogène” per la villa Besnus significa che Le Corbusier è alla ricerca di un tipo d’intonaco resistente alle intemperie indipendentemente dallo strato di colore.
È possibile sostenere che il “lithogène” rappresenti, nel campo della ricerca sugli intonaci, un prodotto concettualmente confrontabile con le esperienze condotte da Anatole De Baudot, François Le Coeur o Perret nel campo del calcestruzzo armato da lasciare a vista nel quale il colore deve essere ottenuto con la scelta di inerti da aggiungere al composto. Visto in questa prospettiva, anche il “lithogène” di Le Corbusier è una premessa fondamentale, e sinora ignorata, del “béton brut” a vista delle sue architetture del secondo dopoguerra. È chiaro che la superficie, per Le Corbusier, è un valore complesso, enigmatico, ora vicino alla verità dei materiali, ora pura espressione di valori concettuali astratti.
Il contratto del 23 aprile 1923 non è il documento che consente di stabilire in quale modo sia stato effettivamente realizzato l’intonaco della villa Besnus. Una lettera di Summer del 27 agosto 1924, indirizzata a Le Corbusier e scritta nel quadro della costruzione degli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret, attesta che le facciate della villa Besnus sono state rivestite con un “enduit ciment blanc égrisé”24.
Nell’ambito della ricerca sui rivestimenti, il “ciment blanc” è una possibile alternativa, molto discussa nella manualistica dell’epoca, alla confezione degli intonaci del genere “plâtre-pierre” e al semplice intonaco di cemento dalla colorazione grigiastra. La differenza rispetto a quest’ultimo tipo d’intonaco consiste nel fatto che ad essere aggiunto alla sabbia è un legante – cemento Portland puro o “ciment blanc” – che consente di ottenere un rivestimento più chiaro possibile, da lasciare in vista senza ulteriori strati di pittura. Nel caso si voglia imitare l’effetto di superficie lapidea, l’inerte da aggiungere al “ciment blanc” può essere una “pierre broyée granulée”, o della “sable naturel et pierre broyée”25.
Gli intonaci a base di “ciment blanc” che imitano superfici lapidee vengono inclusi nel genere di intonaci detti “ciment-pierre”, cioè quelli a base di leganti idraulici, addizionati con inerti lapidei. Il fatto che nella lettera del 1924, Summer si riferisca ad un “enduit ciment blanc” non fuga tutti i dubbi sulla natura tecnica del rivestimento effettivamente utilizzato nella villa Besnus, in quanto nel gergo di muratori, imprenditori e architetti dell’epoca si registra una confusione terminologica. Infatti il “plâtre-pierre” - cioè quello a base di “plâtre aluné” e di aspetto simile al “ciment-pierre” e in cui rientra il “lithogène” - viene anche erroneamente chiamato “ciment blanc” dai produttori che profittano del fatto che il “plâtre aluné” è noto anche come “ciment anglais”, per illudere gli acquirenti di usare un prodotto resistente come il “ciment blanc”26.
Per quanto sia probabile, anche stando ad altri documenti del 1923-24 della corrispondenza tra Summer e Le Corbusier per la costruzione dell’atelier Ozenfant e degli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret, che Summer e Le Corbusier siano al corrente della differenza tecnica esistente tra “lithogène” e “ciment blanc”, non è impossibile affermare con sicurezza se quello delle facciate della villa Besnus sia un rivestimento appartenente al genere del “plâtre-pierre” (“lithogène”) o a quello del “ciment-pierre” (“ciment blanc”), senza delle analisi di laboratorio su eventuali campioni (se mai sopravvissuti alle gravissime alterazioni subite dalla villa).
Nella lettera del 27 agosto 1924, Summer specifica che l’“enduit ciment blanc” steso sulle facciate della villa Besnus è “égrisé”. Ciò significa che l’intonaco, una volta steso, viene sottoposto ad una operazione di finitura volta a spianare la superficie e fatta mediante abrasivi – una variante del “grisage”. È la stessa operazione eseguita su pietre e marmi, e che precede la politura definitiva della loro superficie. Quindi, stando alla terminologia risultante dai documenti e dai manuali dell’epoca, le facciate della villa Besnus avrebbero dovuto presentare una superficie spianata ma non perfettamente polita. Tuttavia va ribadito il traguardo descritto da Le Corbusier nei documenti della villa: “les façades seront absolument lisses”27.
Dopo la previsione originaria in “mortier de chaux hydraulique au bouclier” e in una fase intermedia tra il rivestimento in “lithogène” e la sua esecuzione probabilmente in “ciment blanc”, con lavorazione finale in “égrisage”, Le Corbusier prevede un rivestimento delle facciate della villa Besnus con un intonaco in “ciment blanc” dalla superficie non rifinita. È quanto risulta dalla affermazione di Summer che sostiene di aver eseguito a proprie spese l’“égrisage” anche se non previsto nel “devis”, e su richiesta successiva di Le Corbusier28. Il fatto che la scelta del “ciment blanc égrisé” sia compiuta nel corso dei lavori, dimostra le incertezze di Le Corbusier sui materiali ideali per la costruzione della superficie purista in architettura.
Tutta la ricerca dell’intonaco perfetto e resistente anche alla pioggia, come specificato in un documento del 192329, dipende anche, nel caso delle ville di Le Corbusier, dalla volontà formale di ottenere delle facciate coronate soltanto da “un larmier en ciment de faible saillie”30 - nel contratto del 23 aprile 1923 è definito "larmier en ciment avec jet d’eau"31. Questo coronamento è addirittura soppresso nel volume contenente la scala. Così per poter realizzare il “volume simple” teorizzato in “L’Esprit Nouveau”32, senza cornicione di protezione, Le Corbusier e Jeanneret cercano di migliorare la resistenza del rivestimento d’intonaco. La superficie purista non è dunque soltanto un valore formale dipendente dall’estetica; essa inizia a diventare una questione tecnica, e delle più fondanti per Le Corbusier, al fine di poter ottenere un volume primario senza sporgenze e resistente alle intemperie.

III. Atelier Ozenfant, 1923-24: rivestimento d’intonaco “clair et gris”

Nello stesso periodo in cui Summer costruisce l’ossatura della villa Besnus, l’“Entreprise Générale Pierre Vié, ingénieur-constructeur” costruisce quella dell’atelier Ozenfant33. Il cantiere è considerato da Le Corbusier una esperienza fondamentale per la messa a punto delle tecniche costruttive del purismo. “[…] la Maison de Monsieur Ozenfant – scrive a Vié - doit être très simple d’aspect; elle doit être exécutée avec la plus stricte exactitude et c’est le point sur le quel j’insisterai et sur le quel je serai très exigeant”33.
La scelta dell’intonaco si conferma cruciale per la qualificazione delle superfici esterne dell’architettura purista. Come nel “devis” proposto da Vié per la villa Besnus nell’aprile 1923, anche nel caso dell’atelier Ozenfant il “devis estimatif”, stilato sempre nell’aprile 1923, prevede un “enduit extérier au lithogène”34. Nel contratto dei lavori sottoscritto da Ozenfant e Vié nella primavera del 1923, il passo relativo al rivestimento delle facciate è lo stesso di quello scritto anche nei documenti della villa Besnus: “les enduits extérieurs en lithogène ou toute autre matière analogue reconstituant la pierre et résistant parfaitement au gel et n’étant pas poreuse”35. lI 25 febbraio, Le Corbusier attende ancora “les échantillons pour cet enduit […]”36. Verso il 6 marzo vengono approntati in cantiere dei campioni al fine di “décider couleur ciment d’enduit”37. La nota è della massima importanza per ricostruire la finitura anche cromatica delle facciate dell’atelier Ozenfant. Essa indica che nella confezione dell’intonaco, che avviene in cantiere, si studiano i componenti per ottenere una particolare gradazione cromatica del rivestimento e quindi di una superficie prevista priva di pittura. La prima considerazione riguarda il legante: rispetto al rivestimento in “lithogène” previsto nell’aprile 1923, la nota attesta che adesso si sta studiando un rivestimento con legante di cemento. A meno non vi sia il solito fraintendimento terminologico tra “plâtre-pierre” e “ciment blanc”, è chiaro che come nel caso della villa Besnus, anche nell’atelier Ozenfant, Le Corbusier opta per un intonaco più resistente, a base di cemento, distinguendosi quindi dal rivestimento in “lithogène” che caratterizza l’hôtel particulier Gaut situato a poche decine di metri dall’atelier Ozenfant, all’altra estremità della rue Nansouty. Anche grazie al resistente intonaco di cemento, le facciate possono essere coronate da un cornicione contratto, disegnato a partire da quello costruito nella villa Besnus.
I campioni di intonaco approntati all’inizio del marzo 1924 presentano una varietà di colore probabilmente dovuta al tipo di cemento usato come legante. È proprio il colore dell’intonaco ad essere in gioco nella preparazione dei campioni, e non altre sue caratteristiche tecniche. Le Corbusier opta per il campione numero uno, perché “le plus clair et le plus gris”37. Questa notazione di tono di colore è quella tipica del “ciment blanc” o Portland puro, e dovrebbe essere anche quella che qualifica la superficie finita delle facciate dell’atelier Ozenfant. Del resto non vi sono documenti che attestino una finitura a pittura del rivestimento. Anche nel “devis”, alla voce pittura non viene inclusa alcuna opera per gli esterni (si fa riferimento soltanto agli infissi). Solo il muro “mitoyen” con la proprietà Braque viene previsto da rivestire con “enduit mortier chaux”38. Il 30 aprile 1924 risulta che “sur les terrasses les enduits et raccords sont encore à faire […]”[3]. Il ritardo nella messa in opera dei tubicini per il deflusso dell’acqua dai davanzali provoca inconvenienti all’intonaco della facciate. L’ammonimento di Le Corbusier all’imprenditore conferma che la superficie è un intonaco privo di pittura e che nel caso si sporchi occorre raschiarlo.
Una lettera non firmata indirizzata a Ozenfant il 22 dicembre 1925 e scritta dallo stesso Le Corbusier39, contiene preziose indicazioni sia per stabilire il tipo di finitura dell’intonaco delle facciate, che risultano essere prive della pittura parigina a olio, sia per conoscere quei difetti costruttivi che impediscono la realizzazione di una superficie purista senza macchie di sporco e di umidità. Il fatto che venga consigliato di proteggere l’intonaco con una pittura ad olio non prevista sino ad allora mostra una significativa evoluzione nella esperienza di Le Corbusier in materia di rivestimenti d’intonaco e della loro protezione. La pittura ad olio è probabilmente consigliata proprio per creare una superficie idrorepellente facilmente lavabile e tale da impedire l’infiltrazione dello sporco nell’intonaco. Il riferimento alla pittura a olio degli edifici in pietra della rue Castiglione, a Parigi, conferma che si tratta di uno strato neutro semplicemente protettivo privo di un suo proprio colore. Un tipo di pittura protettiva del genere è all’epoca già in uso ma si tratta di pitture non ad olio bensì silicatiche.
"Ces jours derniers – scrive Le Corbusier a Ozenfant -, de passage dans votre quartier, nous avons remarqué, que vos façades étaient dans un très mauvais état. Il y a différents remèdes pour combattre cet état de chose. Si toutefois vous ne voyez pas l’utilité de nous consulter, nous allons par ces lignes vous expliquer ce qu’il faudrait faire. I°. Les bavettes existantes ne dépassent pas assez le nu du mur des façades. 2°. L’extrémité des  bavettes devraient [sic] dépasser de chaque coté de la fenêtre, de 2 centimètre au moins, et etre [sic] légèrement relevées. 3°. Pour les taches qui se trouvent en dessus des parties en saillie (Marquise garage et portes) il faudrait le long des façades, relever une forte gorge en ciment. 4°. Les tubes de bués, donnent de mauvais résultats: pour bien faire il faudrait les supprimer, et changer complètement les bavettes, de manière à ce que ces dernières, passent sous les châssis, et dépassent à l’intérieur avec un profil formant rigole. 5°. Pour Paris, la peinture à l’huile est à recommander; certaines très belles maisons de la rue de Castlione [sic], et bien d’autre, qui quoique en pierre, sont peintes à l’huile. Il serait toutefois très regrettable, d’employer ce dernier moyen, sans exécuter les modifications citées plus haut"43.

IV. Hôtels particuliers La Roche e Jeanneret: ricerca degli intonaci senza pittura

Dopo la costruzione della villa Besnus e dell’atelier Ozenfant, l’altra opera cruciale per la messa a punto delle soluzioni tecniche proprie dell’estetica architettonica purista è il complesso dei due hôtels particuliers ad Auteuil, presso Parigi, progettati tra il 1923 e il 1924 e appartenenti, uno, al banchiere Raoul La Roche, l’altro al fratello di Le Corbusier, Albert Jeanneret.
Per l’hôtel particulier Jeanneret vengono contattate più imprese, tutte attive a Parigi: quelle di Vié e di Summer 44; l’Entreprise Générale de Construction Juliot Jouannaud et Ferrien, con sede in 17 rue Vulplan45; l’Entreprise Générale de Travaux Béton Armé Emile Hatton, con sede in 52 rue Philippe-de-Girard46; e l’Entreprise Générale de Travaux Particuliers Maçonnerie – Béton Armé F. Guilbaud, con sede in 37 rue de l’Abbé Groult47. Per la costruzione dell’hôtel particulier La Roche, oltre a Summer, viene consultata anche l’impresa Kuntz & Pigeard Travaux Publics et Particuliers, con sede a Auteuil48. I lavori di entrambi gli hôtels particuliers vengono affidati a Summer49. Per i lavori di pittura di entrambi gli hôtels particuliers, Le Corbusier si rivolge all’Entreprise Générale de peinture A. Célio, con sede in 218 rue Saint-Jacques, a Parigi, iniziando una collaborazione che continuerà sino agli anni Trenta50.
La documentazione frammentaria, soprattutto nelle prime fasi del progetto - quelle intorno alla primavera-estate 1923 -, non consente di ricostruire compiutamente tutti i passaggi nella scelta dei vari tipi di rivestimento per gli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret. Il preventivo dei lavori di Célio per le pitture dell’hôtel particulier Jeanneret, datato 31 luglio 1923, non contempla alcuna pittura per esterni51.
Il primo documento significativo, da cui ricavare notizie sui rivestimenti delle facciate, riguarda l’hôtel particulier Jeanneret ed è il “devis” stilato da Summer e datato 1 agosto 192352. A questa data per tutte le facciate è indicato un rivestimento di “enduit ciment blanc”53. Rispetto ai precedenti “devis” riferiti alla villa Besnus e all’atelier Ozenfant appaiono delle precisazioni relative alla stesura dell’intonaco che comportano, come indicato, dei “plus-values pour arrêtes verticales”54. Inoltre è previsto un “soubassement en ciment”55. Così Le Corbusier esplora la possibilità di un intonaco in “ciment blanc” quando invece per la villa Besnus e l’atelier Ozenfant prevede, in aprile, il “lithogène” (non sappiamo con esattezza quando in queste due opere opti per quel “ciment blanc” di cui fa fare i campioni nel marzo 1924 nel cantiere dell’atelier Ozenfant).
La nota di Le Corbusier, “1 seule façade”, scritta a fianco della voce sull’intonaco di “ciment blanc”, nel “devis” del 1 agosto 1923, lascia supporre che sia stata presa la decisone di ridurre i metri quadrati di quel tipo di intonaco a quelli della sola facciata principale, al fine di abbattere i costi di costruzione56. A seguito di una telefonata di Le Corbusier, il 7 agosto Summer apporta delle modifiche fondamentali al “devis”, due delle quali riguardano i rivestimenti delle facciate. In “ciment blanc” resta soltanto la facciata principale57. I tre muri “mitoyens” sono previsti in “enduit à la chaux”58. L’ipotesi più enigmatica, e anche quella più gravida di conseguenze negli sviluppi dell’opera di Le Corbusier, riguarda le due piccole facciate posteriori (“façades jardins” 59). Per queste, al posto del “ciment blanc” è previsto di lasciare a vista i blocchi di cemento del tamponamento e anche le ossature. È quanto risulta dalla notazione: “rejointoyage sur agglomérés”60. Si tratta di una pulitura della malta dei giunti per poi aggiungere altra malta e rifare le commettiture, spesso in rilievo. Un tipo di muro simile verrà realizzato da Le Corbusier sul retro del Padiglione Svizzero. Così nella variante suggerita da Le Corbusier all’inizio d’agosto per ragioni economiche, risulta un hôtel particulier Jeanneret con tre diversi tipi di finitura di facciata, ognuno gerarchizzato in funzione del paesaggio.
È nell’autunno 1923 che i documenti registrano un altro significativo cambiamento nei rivestimenti dell’hôtel particulier, quando ormai La Roche ha deciso di costruire il proprio hôtel in contiguità con quello di Jeanneret. In questo periodo vengono stesi i “cahiers des charges” dei due hôtels particuliers; quello per la residenza di Jeanneret è datato 25 ottobre61.
I “cahiers des charges” consentono di ricostruire le prime scelte costruttive in merito alla realizzazione delle superfici. È a questo punto che Le Corbusier rimette in discussione la qualità delle superfici. Le facciate principali dei due hôtels sono entrambe previste in “lithogène” per creare l’effetto di unitarietà del complesso. Così mentre nella villa Besnus, sta probabilmente già terminando la stesura del rivestimento in “ciment blanc”, nei due hôtels ad Auteuil Le Corbusier spera di poter realizzare quell’intonaco anche cromaticamente più simile alla pietra parigina e che per ragioni economiche non è riuscito a sperimentare a Vaucresson. Si ha l’impressione che il “lait de chaux”, di cui scriverà l’apologia62, non sia affatto il traguardo della qualità della superficie che Le Corbusier persegue nei cantieri del 1923 per le facciate.
Se i due hôtels La Roche e Jeanneret devono presentare lo stesso rivestimento nelle facciate principali, di contro ragioni economiche determinano le diversità dei rivestimenti nel caso delle altre facciate. Così sulle altre facciate dell’hôtel particulier Jeanneret, Le Corbusier indica come materiale di rivestimento la più economica “chaux lissée au bouclier”, già prevista come rivestimento originario nella villa Besnus. È nel “cahier des charges” dell’hôtel Jeanneret che viene indicata, per la prima volta nei cantieri delle ville puriste, la finitura del rivestimento mediante una “peinture au lait de chaux”63. Si tratta non di un pigmento di colore bensì di latte di calce, il prodotto per imbiancare più diffuso nella storia dell’edilizia di vari popoli. Le Corbusier aveva avuto modo di apprezzare le qualità del latte di calce durante il suo viaggio del 1911 attraverso i Balcani e la Turchia64. Inoltre aveva già utilizzato il latte di calce, anche se con addizionati pigmenti e altre sostanze, per dipingere gli intonaci delle ville a La Chaux-de-Fonds e a Le Locle.
Dunque nell’ottobre 1923 fa la comparsa, nella versione del latte di calce e come corollario destinato a facciate secondarie, quel colore che invece diverrà emblematico della nuova architettura.
Nel “cahier des charges” dell’hôtel particulier Jeanneret, la frase in cui viene precisata la pittura ha un margine di ambiguità, potendo intendere anche che il latte di calce sia previsto da stendere anche sul “lithogène” (“au lithogène à l’extérieur sur façade principale à la chaux lissée en bouclier sur les autres façades et peinture au lait de chaux”65). Tuttavia si tratta di una imprecisione nella forma della scrittura, come risulta in parte dalle correzioni apportate alla versione manoscritta e, soprattutto, dal “cahier des charges” dei lavori per l’hôtel particulier La Roche, dove si legge chiaramente che il latte di calce è da stendere solo sul rivestimento diverso dal “lithogène”.
Il fatto che nei due “cahiers des charges” venga indicata la pittura nel solo caso del rivestimento di calce e cemento conferma che il costoso e resistente “lithogène” è lasciato a vista con il colore del composto, mentre l’economico intonaco di cemento o di calce, anch’esso resistente, viene dipinto a causa del suo colore grigio o per regioni di resistenza alle intemperie. Dunque in questa fase del progetto delle superfici, Le Corbusier scompone le tonalità dell’hôtel particulier Jeanneret a seconda dei due tipi di intonaco. Le differenze sarebbero state comunque non direttamente percettibili essendo le due facciate contrapposte. All’interno è previsto di stendere sui muri un “enduit en plâtre”66.
Per quanto riguarda il rivestimento della facciata principale altri documenti precisano il tipo di lavorazione. Dal “devis” dei lavori presentato il 25 novembre 1923 dalla “Entreprise Générale de Travaux Particuliers. Maçonnerie – Béton Armé. F. Guilbaud”, risulta che il primo strato di intonaco – il “crépis” – sarà un “crépis chienné en plâtre à la colle”, cioè un intonaco a base di “plâtre” e malta con collante solitamente usata per migliorare l’aderenza di rivestimenti di mattonelle67. Questo “crépis” verrà steso con un attrezzo – lo “chien” – che produce striature atte a facilitare l’adesione dello strato di “lithogène”68. Nella fase del “devis” il tono di colore del “lithogène” non è precisato – “ton au choix” -; invece viene escluso il tipo di lavorazione finale con abrasivo - “grèsé” [sic: grésé”]69.
“Sur le mur de façade sur cour – si legge nello stesso documento – enduit de chaux ou de ciment pouvant être peint par les soins du client. Sur la façade postérieure parallèle à la façade sur voie nouvelle enduit en mortier de chaux ou de ciment d’ [sic] à celui de la cour. Si les murs de la cave sont exécutés en briques il sera exécuté à l’extérieur un enduit en mortier de ciment étanche. Si ce mur est monté en moellons il ne sera pas fait d’enduit”70.
L’ultima indicazione suggerisce l’eventuale presenza, nella cantina, di muri con pietre rustiche sbozzate da lasciare vista.
Nel caso dell’hôtel particulier La Roche, grazie alle disponibilità finanziare del committente, Le Corbusier prevede che tutte le facciate siano da rivestire con “lithogène”; solo per i “murs mitoyens” indica un intonaco di cemento, anche in questo caso dipinto con “lait de chaux”71. Questa soluzione viene confermata sino all’inizio del gennaio 192472, quando Le Corbusier decide, il giorno 21, di limitare il “lithogène” alla sola facciata principale e di rivestire la “façade arrière & laterale sur jardin” come il muro “mitoyen” previsto nel “devis” del 25 ottobre, cioè in “enduit au ciment & badigeon chaux”73.
Quindi nel gennaio 1924 il progetto per le superfici prevede che sia l’hôtel particulier Jeanneret sia quello La Roche presentino due tipi di rivestimento, il “lithogène” per le loro facciate principali, e per le facciate sul retro un intonaco a base di calce (hôtel Jeanneret) o di cemento (hôtel La Roche), in entrambi i casi resi uniformi da una pittura a base di latte di calce. Ancora a questa data per il “lithogène” non è prevista alcuna pittura.
È probabile che il “devis” riferito all’hôtel particulier La Roche, indirizzato a Le Corbusier dalla impresa Kuntz & Pigeard il 30 gennaio 1924, contenga un fraintendimento relativamente alla voce dei rivestimenti d’intonaco delle facciate, nonostante l’affermazione che “les enduits extérieurs” siano stati “prévus comme indiqué au cahier des charges”74.
Infatti la distribuzione dei tipi di intonaco risulta invertita (il fraintendimento dovrebbe risiedere in cosa è “côté jardin” e “côté rue”): “enduit au litogène [sic] sur la façade côté jardin, enduit au ciment et lait de chaux sur les murs mitoyens et sur la façade côté rue”75.
Nel corso dei mesi successivi vengono precisati alcuni dettagli concernenti la realizzazione degli intonaci delle facciate. Così, nell’aprile 1924, per creare un controsoffitto sotto il solaio della galleria, nel vuoto del giardino, viene previsto di applicare non il “bacula” come negli interni, ma un supporto più resistente: “toile métallique sous galerie tableaux pour enduit façades”76.
Il cantiere dei due hôtels particuliers apre nel marzo 1924. Tra il gennaio 1924, data degli ultimi documenti relativi agli intonaci, e l’estate successiva, quando probabilmente gli intonaci sono stesi, viene presa la decisione di sostituire il “lithogène” della facciata principale dei due hôtels particuliers con il “cimentaline”, cioè un tipo di intonaco “plâtre-pierre”, quindi dello stesso genere del “lithogène”, ma più economico e realizzato con l’aggiunta di un calcare tenero (perciò meno resistente del “lithogène”)77. Questa modifica non altera sostanzialmente le decisioni prese nel gennaio 1924 sulla qualità delle superfici. Infatti anche il “cimentaline” può essere steso senza necessità di una protezione con la pittura; quindi è probabile che, come nel caso del “lithogène”, sia previsto di lasciare l’intonaco a vista. Come nel caso del “lithogène”, non si fa riferimento ad alcuna operazione di finitura a “égrisage”.
Se consideriamo che nel marzo 1924 Le Corbusier fa eseguire i campioni di intonaco di cemento dell’atelier Ozenfant per scegliere il colore adatto del composto, risulta evidente che nel corso del 1924 la questione tecnica della superficie delle facciate è al centro delle sue preoccupazioni estetiche. In tutte le architetture, dalla villa Besnus all’atelier Ozenfant, agli hôtels particuliers Jeanneret e La Roche ad essere in gioco è la natura tecnica e cromatica dell’intonaco da lasciare a vista.
Verso la fine dell’agosto 1924 viene presa una nuova decisione per il tipo di intonaco della facciata principale dei due hôtels particuliers La Roche e Jeanneret. Durante una visita ai lavori, in assenza di Summer, Le Corbusier comunica al capocantiere di voler sostituire il “cimentaline” con il tipo di intonaco usato nella villa Besnus: “enduit ciment blanc égrisé”78. È probabile che su questa nuova scelta abbiano influito considerazioni sulla resistenza alle intemperie di un intonaco come il “cimentaline” su facciate per niente protette da aggetti o cornicioni. Avendo rinunciato al più resistente “lithogène”, adesso Le Corbusier si orienta su un tipo di intonaco a base di cemento e non più di “plâtre”. E nella famiglia degli intonaci a base di cemento predilige quelli in cui il legante è un tipo di cemento più chiaro possibile, come se il candore del tradizionale “lait de chaux” steso sull’intonaco sia adesso incluso nel composto stesso dell’intonaco diventando idealmente perenne. È un tipo di ricerca, quella che include il colore nell’impasto, che i costruttori francesi stanno contemporaneamente sperimentando anche per il calcestruzzo armato.
Se consideriamo che Le Corbusier ha già visitato l’esposizione del gruppo De Stijl tenutasi a Parigi nel 1923, risulterà chiaro come ancora nel corso del 1924 la sua concezione estetica della superficie dei volumi architettonici non contempli il colore neppure nell’accezione del puro bianco (infatti questo è limitato alle facciate secondarie), e resti sostanzialmente legata alla pratica edilizia parigina. Si può persino affermare che la sua concezione sia ancora legata ad un orientamento di derivazione perrettiana in materia di intonaci da lasciare a vista.
La proposta di Le Corbusier di utilizzare per la facciata principale degli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret lo stesso intonaco e la stessa lavorazione del rivestimento della villa Besnus viene osteggiata da Summer esclusivamente per ragioni economiche. Il documento di Summer conferma che la messa in opera del “cimentaline” non prevede la finitura a “égrisage” che all’epoca è comunque contemplata come possibilità per il trattamento degli intonaci del genere “plâtre-pierre”. Quindi il rivestimento in “cimentaline” inizialmente concordato tra Le Corbusier e Summer non ha una finitura perfettamente polita.
“Monsieur Duflon m’informe – scrive Summer a Le Corbusier – que pendant mon absence, vous avez décidé de remplacer les enduits de façade que nous étions d’accord de faire en cimentaline par un enduit ciment blanc égrisé comme celui de Vaudresson. Je vous signale que si j’ai fait le sacrifice de ne rien computer pour l’égrisage des façades de Vaucresson ce n’était que pour vous donner entière sitisfaction, mais je ne puis recommencer à l’infini de tels sacrifices. Je n’avais pas compté d’égrisage pour Auteuil et si vous maintenez votre décision, je serai dans l’obligation de vous demander une plus-value d’environ Frs 3200,00 […] pour Madame Jeanneret et de Frs 4800,00 […] pour Monsieur La Roche. D’autre part je vous signale que le délai qui m’est demandé pour la livraison du ciment blanc est de un mois et demi à partir de la commande plus la durée du transport soit deux mois environ. Veuillez me faire connaître votre décision définitive le plus rapidement possible”79.
Costi e tempi costringono Le Corbusier a tornare sulla soluzione del rivestimento in “cimentaline”. Così la facciata principale dei due hôtels particuliers viene effettivamente rivestita con questo tipo di intonaco. Forse alla base dell’edificio viene stesa una fascia di rivestimento in intonaco di cemento, più resistente all’umidità. È questa una soluzione diffusa soprattutto nel caso di un rivestimento in intonaco a base di “plâtre” (forse lo è meno per gli intonaci del genere “plâtre-pierre”). Il rivestimento in “lithogène” dell’hôtel particulier Gaut è sprovvisto della fascia di cemento (tuttavia esiste uno zoccolo contratto, parte di una nervatura strutturale generale che articola la continuità del piano delle facciate).
Il fatto che la facciata principale degli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret sia rivestita con “cimentaline” risulta anche dai lavori del primo restauro, eseguiti tra maggio e giugno 1928 dallo stesso Summer: “ravalement de la façade, raccords en cimentaline et soubassement en ciment”80. L’indicazione del “soubassement” è troppo sintetica per poter stabilire se si tratti del rifacimento di uno zoccolo esistente oppure di una aggiunta per distaccare dall’umidità del terreno l’intonaco in “cimentaline”81.
Le fotografie dell’epoca mostrano, soprattutto sulla facciata curva della galleria nell’hôtel particulier La Roche, tracce evidenti della stesura dell’intonaco, a conferma di un tipo di trattamento della superficie privo della finitura ad abrasivo e privo anche di pittura.
Nel contesto della conferenza intitolata L’Esprit Nouveau en Architecture, tenuta a Parigi in due occasioni, il 12 giungo e il 10 novembre 1924, Le Corbusier, discute le conseguenze formali e tecniche della soppressione del cornicione per facciate intonacate. A questo proposito accenna ad alcuni dettagli tecnici che confermano le preoccupazioni centrali delle sue ricerche sui materiali dell’intonaco senza pittura intraprese a partire dalla villa Besnus sino agli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret.
“Deux phénomènes restent pourtant à vaincre – afferma -: 1° celui de porosité des mortiers généralement employés et leur matité: l’eau de la pluie au cours des heures, s’infiltre lentement de haut en bas formant une ‘bavure’ momentanée bien laide qui disparaîtra au premier rayon de soleil. Mais aussi pourquoi se limiter aux mortiers imitant la pierre et ne pas admettre des enduits luisants sur lesquels ce phénomène de porosité ne se produit pas?”82.

 

Note

  1. Entreprise Générale G.-L. Meyer & Cie., devis, documento dattiloscritto, datato 7 marzo 1922, FLC, I1.7.1-8.
  2. Le Corbusier, lettera a P. Gaut, 13 febbraio 1922, FLC, E2.03.66. Cfr. anche: Le Corbusier, lettera a P. Gaut, 11 marzo 1922, FLC, E2.03.71; Le Corbusier-Saugnier, Maisons en série, in L’Esprit Nouveau, 1921, n. 13, pp. 1525-1542 - in particolare pp. 1538-39.
  3. Entreprise Générale G.-L. Meyer & Cie., devis, datato 7 marzo 1922, cit.
  4. Le Corbusier-Saugnier, Maisons en série, cit., p. 1538.
  5. Ibid.
  6. Entreprise Générale G.-L. Meyer & Cie., devis, datato 7 marzo 1922, cit.
  7. Ibid.
  8. Nelle architetture realizzate da Le Corbusier a La Chaux-de-Fonds l’intonaco viene steso con la cazzuola ma non lisciato bensì gettato violentemente contro il muro in modo da creare una superficie increspata e irregolare. Mentre questo tipo di intonaco, nei casi delle ville Fallet, Stotzer, Jacquemet, a La Chaux-de-Fonds corrisponde ad una figurazione naturalistica ed è introdotto per creare accordi formali con le pietre lavorate a bugnato, nella villa Jeanneret-Perret cambia di significato divenendo espressione pura di un processo di lavorazione. Anche il modo di lavorare l’intonaco corrisponde dunque alla nuova composizione ornamentale di tipo costruttivo perseguita da Le Corbusier. Vale la pena anticipare che questo modo di applicare l’intonaco per ottenere una superficie grezza crea le premesse della superficie realizzata con il cement gun che Le Corbusier utilizzerà in diversi cantieri a partire dagli anni Venti fino al secondo dopoguerra. Sul rivestimento d’intonaco della villa Jeanneret-Perret, si veda L. Schubert, La villa Jeanneret-Perret di Le Corbusier, 1912. La prima opera autonoma, Marsilio, Mestre-Venezia 2006; A. Rüegg, K. Spechtenhauser, Association Maison Blanche (a cura di), Charles-Édouard Jeanneret/Le Corbusier: Maison Blanche: Geschichte und Restaurierung der Villa Jeanneret-Perret 1912-2005, Birkhäuser, Basel 2007.
  9. Le Corbusier, Type C Etablissement Duverdrey et Blocquel. Cité ouvrière de Saint Nicolas d’Aliermont. Logement des ouvriers. Face antérieure. Face postérieure, disegno datato ottobre 1917, FLC, 22383.
  10. Ibid.
  11. Si veda la fotografia del plastico della villa pubblicata in B. Rukschcio, R. Schachel, Adolf Loos: Leben und Werk, Residenz, Salisburgo, Vienna 1982, p. 287.
  12. Le Corbusier e P. Jeanneret, Propriété de Monsieur G. Besnus à Vaucresson. Note descriptive des travaux de toutes natures pour la construction d’une maison à Vaucresson", documento dattiloscritto, s.d. [febbraio 1923 circa], FLC, H1.9.81-84.
  13. Ibid.
  14. Ibid.
  15. Cfr., la fotografia d’epoca della villa pubblicata in W. Boesiger, O. Stonorov (a cura di), Le Corbusier et Pierre Jeanneret uvre Complète 1910-1929, Les Éditions d’Architecture (Artemis), Zürich 1930, p. 49.
  16. Contrat, entre les Soussignés Monsieur Besnus [] et Monsieur Summer []", 23 aprile 1923, FLC, H1.9.43-46.
  17. Ibid. L’intonaco interno di questi murs è previsto in plâtre à la lyonnaise. Il lithogène era già stato previsto in un dévisdall’impresa Entreprise Générale Pierre Vié, ingénieur-constructeur, con sede in 106 rue de la Tour a Parigi. L’impresa era stata contattata dallo stesso Le Corbusier nell’aprile 1923 per ottenere una stima per la costruzione della villa (P. Vié, lettera a Le Corbusier, 12 aprile 1923, FLC, H1.7.71-72; a questa lettera è allegato il dévis datato 11 aprile 1923).
  18. Ibid.
  19. Le Corbusier, P. Jeanneret, Propriété de Monsieur Besnus à Vaucresson, nota descrittiva, documento dattiloscritto con annotazioni, s.d. [post. aprile 1923 circa], FLC, H1.9.90.
  20. Nell’edilizia francese il lithogène si sta diffondendo proprio all’inizio degli anni Venti, sullo sfondo dei problemi posti dalla manutenzione dell’intonaco di plâtre, il più utilizzato ma da proteggere, se posizionato all’esterno, con costose pitture ad olio che devono essere periodicamente rifatte, dell’intonaco di calce, poroso e scarsamente resistente al gelo, e dell’intonaco di cemento, quest’ultimo particolarmente resistente all’umidità senza necessità di pittura protettiva, ma ritenuto esteticamente non soddisfacente a causa del naturale colore grigio. Sulla produzione e la fabbricazione di prodotti a base di plâtre aluné si vedano ad esempio: Application du ciment extra-blanc Keene, in Revue des matériaux de construction et des travaux publics, settembre 1922, n. 156, p. 175; J. Fritsch, Ciment de Paris, in Id. Le Plâtre. Fabrication  Propriétés Applications, Desforges, Paris 1923, pp. 177-178, A propos des similis-marbre, in La revue ds Matériaux de Construction et de Travaux Publics, febbraio 1923, n. 161, pp. 12/M-13/M; Normes américaines relatives au gypse et au plâtre, La Revue des Matériaux de Construction et de Travaux Publics, aprile 1923, n. 163, pp.85-87; Taté, Enduits, in Chambre Sindacale des entrepreneurs de maçonnerie, ciment et béton armé de la ville de Paris, Congrés Technique de la Maçonnerie et du Béton Armé, 1928.
  21. I manuali indicano come gli intonaci della famiglia del lithogène’ n’ont pas besoin de protection contre la pluie, et comme ils sont colorés dans la masse on peut se dispenser de les peindre, ce qui constitue une grosse économie (G. Debès, Maçonneries béton, béton armé, chaux et ciments  mortiers, Pierre Naturelles et Artificielles, Plâtre, Goudron et Bitume, in Encyclopedie Industrielle et Commerciale, Léon Eyrolles, Paris 1931, pp. 553-580).
  22. Questa politura è la stessa in uso per le pietre e i marmi, e può essere effettuata con vari attrezzi, anche questi gli stessi utilizzati per pietre e marmi, come carta da vetro o toile émeri. Altre soluzioni sono un abrasivo a base di polvere di roccia di Corindon incollata su tela, nel caso di intonaci teneri; brique de carborundum, nel caso di intonaci duri; oppure au chemin de fer - si tratta di un attrezzo di legno con impugnatura e serie lame di acciaio con denti fini. Una volta lavorato con uno di questi attrezzi, il lithogène presenta una superficie dura e polita come quella delle pietre. Con l’utilizzo di questi attrezzi possono anche essere ottenuti effetti superficiali diversi a seconda della lavorazione di finitura: aspects grenus imitant telles ou telles pierres ou surfaces polies (G. Debès, Maçonneries béton, béton armé, chaux et ciments  mortiers, Pierre Naturelles et Artificielles, Plâtre, Goudron et Bitume, cit., pp. 553-580).
  23. Nel commento al progetto stilato da Jean Badovici in L’Architecture Vivante, il lithogène viene descritto come un tipo di intonaco formato da plâtre d’albâtre et poussière de pierres ([J. Badovici], Petit Hôtel particulier, à Paris rue Nansouty, par A. et G. Perret, in L’Architecture Vivante, primavera, 1924, p. 15, nota 1).
  24. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 27 agosto 1924, FLC, H1.3.96. La lettera permette anche di constatare che, come sarà nel caso degli hôtels particuliers La Roche e Jeanneret, anche a Vaucresson l’égrisage delle facciate viene previsto in un secondo momento.
  25. G. Debès, Maçonneries béton, béton armé, chaux et ciments  mortiers, Pierre Naturelles et Artificielles, Plâtre, Goudron et Bitume, cit. Nelle sue prime applicazioni, per imitare la pietra, spesso vengono disegnati i giunti con un apposito strumento - crochet o au fer.
  26. Ibid. Diversi sono i saggi e gli articoli che cercano di chiarire la terminologia di questi due prodotti. In un articolo del 1928 è indicato: le plâtre aluné qui fut dénommé aussi ciment blanc ou ciment anglais, désignation fausse puisque c’est un sulfate de chaux et non un silico-aluminate de chaux comme le ciment Portlant et autres (Taté, Enduits, cit.).
  27. Le Corbusier, P. Jeanneret, Propriété de Monsieur Besnus à Vaucresson, nota descrittiva, documento dattiloscritto con annotazioni, s.d. [post. aprile 1923 circa], cit.
  28. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 27 agosto 1924 cit.
  29. Le Corbusier, P. Jeanneret, Propriété de Monsieur Besnus à Vaucresson, nota descrittiva, documento dattiloscritto con annotazioni, s.d. [post. aprile 1923 circa], cit.
  30. Ibid.
  31. Contrat, entre les Soussignés Monsieur Besnus [] et Monsieur Summer []", 23 aprile 1923, cit.
  32. Le Corbusier-Saugnier, Trois rappels à MM. LES ARCHITECTES. Second rappel: la surface, in L’Esprit Nouveau, 1920, n. 2, pp. 195-199.
  33. Per l’atelier Ozenfant Vié invia un devis nell’aprile 1922 (P. Vié, lettera a Le Corbusier, 10 aprile 1923, FLC, H1.7.27-28).
  34. Le Corbusier, lettera a P. Vié, 6 giugno 1923, FLC, H1.7.79.
  35. P. Vié, lettera a Le Corbusier, 10 aprile 1923, cit.
  36. Contrat tra Ozenfant e Vié, s.d. [aprile 1923], FLC, H1.7.5-8.
  37. Le Corbusier, lettara a P. Vié, 25 febbraio 1924, FLC, H1.7.135.
  38. A. Ozenfant, lettera manoscritta a Le Corbusier, 6 marzo 1924, FLC, H1.7.54.
  39. Le Corbusier, note, in A. Ozenfant, lettera a Le Corbusier, 6 marzo 1924, cit.
  40. P. Vié, lettera a Le Corbusier, 13 febbraio 1924, FLC, H1.7.134.
  41. Le Corbusier, lettera a P. Vié, 30 aprile 1924, FLC, H1.7.147.
  42. [Le Corbusier], lettera a A. Ozenfant, 22 dicembre 1925, FLC, H1.7.171.
  43. Ibid.
  44. P. Jeanneret, lettera a P. Vié, 29 luglio 1923, FLC, H1.2.117; G. Summer, devis de maçonnérie pour l’exécution d’un petit hôtel pour monsieur Jeanneret à Auteuil, documento dattiloscritto con annotazioni, datato 1 agosto 1923, FLC, H1.2.118-119.
  45. Entreprise Générale de construction Juliot Jouannaud et Ferrien, lettera a Le Corbusier, 10 agosto 1923, FLC, H1.2.122.
  46. Entreprise Générale de Travaux Béton Armé Emile Hatton, lettera a Le Corbusier, 24 agosto 1923, FLC, H1.2.123.
  47. F. Guilbaud, lettera a Le Corbusier, 25 novembre 1923, FLC, H1.2.126-130; Id. lettera a Le Corbusier, 26 dicembre 1923, FLC, H1.2.131.
  48. Kuntz & Pigeard. Travaux Publics et Particuliers, lettera a Le Corbusier, 30 gennaio 1924, FLC, H1.3.72-73.
  49. Nel febbraio 1924 Summer accetta l’incarico della costruzione dell’hôtel particulier La Roche (G. Summer, lettera a Le Corbusier, 11 febbraio 1924, FLC, H1.3.85.
  50. A. Célio, lettera a Le Corbusier, 31 luglio 1923, FLC, H1.2.316; A. Célio, lettera a Le Corbusier, 15 dicembre 1923, FLC, H1.3.249-50. Nel caso dell’hôtel particulier La Roche Le Corbusier contatta anche la ditta Peinture & décoration Lucien Bled di Parigi (Peinture & décoration Lucien Bled, devis, documento dattiloscritto, datato 29 gennaio 1924, FLC, H1.3.251).
  51. A. Célio, lettera a Le Corbusier, 31 luglio 1923, cit.
  52. G. Summer, devis de maçonnérie pour l’exécution d’un petit hôtel pour monsieur Jeanneret à Auteuil, datato 1 agosto 1923, cit.
  53. Ibid.
  54. Ibid.
  55. Ibid.
  56. Ibid.
  57. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 7 agosto 1923, FLC, H1.3.69.
  58. Ibid.
  59. Ibid.
  60. Ibid.
  61. Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel La Roche], documento dattiloscritto, s.d. [ottobre 1923], FLC, P5.1.184-190; Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel Jeanneret], documento manoscritto, datato 25 ottobre 1923, FLC, H1.2.14-24; Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel Jeanneret], s.d. [ottobre 1923], FLC, H1.2.25-29.
  62. Le Corbusier, La loi du Ripolin le Lait de Chaux, in Id., L’Art Décoratif d’Aujourd’hui, G. Grès et Cie, Paris 1925, pp.190-95.
  63. Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel Jeanneret], s.d. [ottobre 1923], cit.
  64. Nell’articolo La loi du Ripolin le Lait de Chaux, Le Corbusier ricorda il suo viaggio in Turchia (Le Corbusier, La loi du Ripolin le Lait de Chaux, cit., p. 192).
  65. Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel Jeanneret], 25 ottobre 1923, cit.
  66. Ibid.
  67. F. Guilbaud, lettera a Le Corbusier, 25 novembre 1923, FLC, H1.2.126-130.
  68. Ibid.
  69. Ibid.
  70. Ibid.
  71. Le Corbusier, P. Jeanneret, Cahier des charges général [hôtel La Roche], s.d. [ottobre 1923], cit.
  72. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 2 gennaio 1924, FLC H1.3.68.
  73. G. Summer, devis, documento dattiloscritto, datato 23 gennaio 1924, FLC, H1.3.70.
  74. Kuntz & Pigeard, devis, documento dattiloscritto, 30 gennaio, cit.
  75. Ibid.
  76. [P. Jeanneret], Hotel La Roche, nota datata 6 aprile 1924, FLC, H1.3.86.
  77. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 27 agosto 1924, cit.
  78. Ibid. Anche nel caso di Vaucresson l’égrisage delle facciate era stato previsto in un secondo momento.
  79. Ibid.
  80. G. Summer, lettera a Le Corbusier, 18 giugno 1928, FLC, H1.3.185-188. Alla lettera è allegato il devis.
  81. Ibid.
  82. Le Corbusier, L’Esprit Nouveau en Architecture, in Id., Almanach d’Architecture Moderne, Crès et Cie, Paris 1926, p. 39.
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