Ap­punti sulla cultura del mo­dello in Sviz­zera nel XX e XXI se­colo

Nella prassi e nella didattica dell’architettura svizzere degli ultimi decenni il modello è molto presente, al punto da spingere a chiedersi: tale presenza rappresenta una specificità svizzera? E, se così è, cosa può averne favorito lo sviluppo? Tra tendenze alla miniaturizzazione, influssi delle avanguardie storiche e spunti scientifici, Gabriele Neri ripercorre la storia del modello in Svizzera, in una panoramica che si apre con i grandi plastici "alpini" del Settecento per arrivare fin negli studi di alcuni rinomati architetti contemporanei.

Che ruolo occupa il modello architettonico – inteso nella sua forma fisica, tangibile e tridimensionale – all’interno della cultura progettuale svizzera nel XX e XXI secolo? In quali modi è stato utilizzato questo straordinario e polisemico dispositivo – e con quali obiettivi – nelle differenti discipline e dai diversi attori che partecipano alla teoria e alla pratica del costruire? È possibile affermare l’esistenza di una specificità – o addirittura di un’eccezionalità – della pratica del modello in Svizzera?

Qui la versione inglese di questo saggio

Tali domande, cui si cercherà di dare parziale risposta – o piuttosto la traccia per una loro analisi critica – nelle pagine che seguono, sono mosse innanzitutto dalla constatazione di una significativa presenza del modello architettonico in scala ridotta nella prassi e nella didattica dell’architettura in Svizzera negli ultimi decenni. Infatti, com’è noto, per molti architetti elvetici esso è uno strumento pratico e/o critico indispensabile in uno o più dei momenti che compongono l’iter progettuale, tra concepimento, gestazione, verifica e messa in mostra dei risultati ottenuti. In parallelo, esso occupa un posto di rilievo nell’insegnamento dell’architettura presso molti atenei svizzeri, da nord a sud, confrontandosi oggi sempre di più – in forme di antagonismo o cooperazione – con il progresso degli strumenti informatici.

Fino a qui, un simile scenario sembra assimilabile a quello di altri paesi europei. E del resto, a prima vista appare difficile separare chirurgicamente la specificità svizzera nell’uso del modello dalla sua presenza internazionale, anche per i fertili scambi che da sempre nutrono la cultura elvetica. Invece di definire un sistema chiuso ed esclusivo, si può però tentare di individuare alcune tematiche e alcuni casi di studio, dalla piccola alla grande scala, di certo non esaustivi ma capaci di tracciare un orizzonte di ricerca. Tutto ciò, in prospettiva, al fine di promuovere la conoscenza e soprattutto una valorizzazione consapevole della cultura del modello in Svizzera, che potrebbe portare a interessanti risultati.

Reliefs e Stadtmodelle. Il modello come strumento di conoscenza e identità

Una teorizzazione della cultura del modello architettonico in Svizzera non può prescindere da altre tipologie di plastici in scala. Tra questi vi sono innanzitutto quelli topografici, dispositivi tridimensionali di rappresentazione del mondo che la complessità geometrica e territoriale del paesaggio elvetico ha richiesto, stimolato, reso indispensabili e particolarmente ambiziosi.

La costruzione di reliefs delle montagne svizzere si sviluppò in particolare nel Settecento, con una grande specializzazione verso la fine del secolo successivo, quando l’avanzamento dei sistemi di misurazione e rappresentazione – unito allo sviluppo dell’alpinismo, della geologia, della fotografia e altre discipline – diede un notevole impulso al settore, capace di trascendere le forzose e poco intuitive rappresentazioni delle mappe tradizionali.1 Come queste ultime, oltre alle funzioni pratiche, il modello topografico ebbe però anche altri obiettivi o conseguenze, tra cui il compito di costruire un senso di identità nazionale, per un paese composto da differenti gruppi etnici, lingue e culture.2

Uno dei più antichi reliefs conservati è quello realizzato in oltre vent’anni di lavoro da Franz Ludwig Pfyffer von Wyher (1716-1802),3 tenente generale dell’esercito francese che a Parigi entrò in contatto con la prestigiosa scuola di modellisti risalente ai tempi del Re Sole.4 La sua opera, apprezzata anche da Napoleone,5 fu seguita e superata da figure quali Joachim Eugen Müller (1752-1833), Albert Heim (1849-1937), Xaver Imfeld (1853-1909), Carl Meili (1871-1919) e Eduard Imhof (1895-1986), tra gli altri.6

Nonostante il declino storico, dopo l’età napoleonica, di questo tipo di modelli come strumento di conoscenza del territorio,7 il loro ruolo pare ancora oggi prezioso. Ad esempio, per gli studenti di architettura la costruzione di riproduzioni (pur semplificate) di parti del territorio rappresenta un esercizio propedeutico alla comprensione del contesto elvetico, che è anche un primo «fisico» approccio alla concretezza dell’architettura e della pianificazione territoriale. In altri ambiti, ad esempio in quelli espositivo o turistico, la potenza comunicativa del modello topografico è invece confermata e addirittura aumentata oggi grazie all’interazione con contenuti multimediali.8

Molto diffusi in Svizzera sono anche i modelli che riproducono i centri urbani, la cui tradizione è secolare, in origine legata alla rappresentazione «fisica» del potere9 e poi ampliatasi in varie direzioni.10 Uno dei più significativi è lo Stadtmodell di Zurigo, concepito alla fine degli anni Sessanta, il quale riproduce i circa 55'000 edifici della città in scala 1:1000. Oltre che per la sua estensione (più di 100 mq), esso si distingue come simbolo del patrimonio collettivo e strumento operativo concreto. Visitabile gratis dal pubblico, lo Stadtmodell costituisce infatti un’attrazione non solo turistica ma civica, capace di rendere percepibile (e quindi più condivisa) la forma urbis, mostrando il valore del modello urbano come dispositivo di conoscenza e di costruzione di un’identità. Tale carattere civico si specializza poi in una funzione tecnica, dal momento che tale plastico – oggi integrato da un modello digitale – viene utilizzato dall’amministrazione comunale per testare l’inserimento di nuovi edifici nel contesto urbano.11

Il modello architettonico in Svizzera: una storia da scrivere

Se appare possibile assegnare ai modelli topografici e urbani un ruolo nel processo di presa di coscienza dell’identità e del territorio elvetico, è però alla scala della progettazione architettonica che la pratica del modello acquisisce in Svizzera una più ampia rosa di significati e scopi. Per l’architetto, infatti, tale «oggetto» riveste molteplici ruoli: costituisce, tradizionalmente, uno strumento di rappresentazione utile a esibire in tre dimensioni la versione in scala ridotta di un progetto (per un cliente, la giuria di un concorso, una mostra ecc.); oppure può essere uno strumento di verifica utile nelle varie fasi progettuali, dal concepimento di un’idea alla verifica ultima delle tecniche costruttive. Ma esso può divenire anche un dispositivo dotato di una forte autonomia rispetto al cantiere, un manufatto rispondente a una logica propria che lambisce in diversa misura lo statuto disciplinare dell’architettura o la riflessione artistica. Tali sfumature sono anche registrate dai diversi termini utilizzati per definire il «modello»: maquette, plastico, relief, mock-up eccetera.

Come già si è visto per i reliefs delle Alpi, anche per il modello architettonico entrano in gioco aspetti endogeni e impulsi dall’estero, che in Svizzera portano ancora oggi a forme ibride e diversificate. Domanda: esistono, tuttavia, dei fattori specifici che possono aver favorito la pratica del modello in Svizzera?

Alcuni paralleli sono perigliosi e perciò da avanzare timidamente, ma non per questo da escludere. Il tema della miniaturizzazione, ad esempio, è diffuso in varie forme nella cultura svizzera: si pensi ai settori dell’orologeria, della meccanica di precisione e del modellismo ferroviario; ai parchi in miniatura (vedi Swissminiatur, che pur essendo stato ispirato al parco olandese di Madurodam è divenuto un’istituzione tipicamente svizzera); la tradizione degli Chaletmodelle intagliati nel legno (la cosiddetta Hüselischnitzerei);12 e più in generale ai riflessi di una cultura artigianale diffusa, che si trova già sui banchi di scuola. Esiste un collegamento tra questo tipo di cultura artigianale/industriale/materiale/popolare/turistica e la pratica del modello architettonico?

Accostandoci alla pratica professionale, si devono invece considerare fattori più concreti, quali il livello degli onorari e l’organizzazione del lavoro, che rispetto ad altri paesi presentano standard più elevati e consentono così un’introduzione «ufficiale» e programmata della maquette nel programma di lavoro. Da questa condizione «privilegiata» dipende anche la diffusione di laboratori di modellistica interni ai maggiori studi di architettura, in parallelo alla presenza di modellisti specializzati – come quello fondato nel 1948 a Zurigo da Will Zaborowsky13 – in cui l’eredità della cultura artigiana tradizionale si fonde con gli strumenti informatici.

Ma una storia del modello architettonico in Svizzera non è ancora stata scritta, e nelle ricerche monografiche più recenti gli esempi citati sono limitati, per forza di cose, ad alcune emergenze. Varrebbe la pena, invece, compiere un’indagine ad ampio raggio per monitorare questo tipo di espressione materiale, concettuale, tecnica, scientifica e artistica nel corso dei secoli, e dall’inizio del Novecento in particolare, quando anche la pratica del modello fu investita dall’immensa rottura epistemologica prodotta dall’avvento delle avanguardie. Ad esempio, grazie all’assorbimento di pratiche come l’impiego dadaista del collage/assemblage, o l’utilizzo (sulla scia di Schwitters) di objets trouvés per ampliare l’immaginazione degli architetti con nuovi impulsi dati dalla quotidianità,14 la maquette venne «degradata» – al fine di «rompere con le abitudini linguistiche per negare ogni convenzione o ogni accademia»15 – acquisendo allo stesso tempo un valore autonomo, poetico e artistico, che conduce a un ribaltamento del concetto stesso di modellazione architettonica. Dal riprodurre un edificio esistente o prefigurato si giunse così a concepire l’opera a partire dalle suggestioni del modello stesso.

Da queste riflessioni vengono allora in mente molti possibili percorsi di ricerca. Ad esempio: in quale maniera una simile concezione dell’atto di modellare e del modello è penetrata in Svizzera dagli anni Venti in poi? Che tipo di ibridazione metodologica e culturale si è verificata tra la tradizione delle Écoles d’art e delle Kunstgewerbeschulen, e i metodi pedagogici comparsi in Europa? Si pensi all’influenza del Bauhaus in Svizzera, ma anche alla coeva penetrazione delle avanguardie russe tramite la rivista «ABC», che pubblicava i modelli prodotti presso lo Vchutemas di Mosca,16 così come le opere di Vantongerloo, di Naum Gabo, i Proun di El Lissitzky («illusioni di tensioni tra corpi interpretati plasticamente nello spazio infinito»)17 e Moholy Nagy.18

Queste e molte altre tracce porterebbero ad approfondire l’utilizzo del modello da parte di progettisti svizzeri, tra i quali ovviamente anche Le Corbusier, autore e «mandante» di centinaia di modelli in cui si mischiano l’eredità della sua formazione artigiana a La-Chaux-de-Fonds con gli stimoli del cinema, della fotografia e delle arti plastiche d’avanguardia.19 Oppure Max Bill, riferimento di grande interesse non soltanto, e forse non in primo luogo, per il suo effettivo utilizzo del modello nella progettazione architettonica (peraltro non eccessivo), quanto piuttosto per il suo approccio multidisciplinare e totalizzante al progetto, alle varie scale e nelle sue diverse tipologie. Bill, infatti, portò avanti una ricerca artistica a 360 gradi, dalla grafica all’architettura, dalla scultura all’arredo urbano, dalla pittura al design dell’oggetto, mostrando le potenzialità del salto di scala dell’opera in maniera coerente rispetto ai principi della Gestalt e della gute Form.20

Nei decenni successivi i significati della maquette sono poi aumentati confrontandosi con l’arte contemporanea e toccando un apice (provvisorio) negli anni Settanta, quando la teorizzata indipendenza dal cantiere – nelle sue versioni di architettura disegnata, cardboard architecture ecc. – portò all’esaltazione del modello concettuale in parallelo al potere del disegno, con conseguenze evidenti anche nel mondo del mercato dell’arte. Non è un caso che nel 1982 si sia tenuta presso il Centre d’art contemporain di Genève la mostra Maquettes d’architectes,21 che di fatto seguiva quella organizzata sei anni prima allo IAUS di New York, dal titolo Idea as Model.22 Il modello diventa allora un «feticcio da collezionista»,23 ma si conferma anche (più profondamente) come un dispositivo attraverso cui interrogare l’architettura al di là della costruzione.

Il legame tra arte contemporanea e maquette porterebbe molto più lontano, non solo per gli «sconfinamenti» di molti artisti (vedi il tedesco Thomas Demand) nel mondo del modello architettonico, ma anche per le plurime influenze che l’arte contemporanea – nelle sue componenti estetiche, culturali e non da ultimo commerciali – ha sul mondo dell’architettura, specie nella Svizzera tedesca. Un caso molto particolare è ad esempio quello di Peter Märkli, le cui maquettes – modelli di studio di piccolo formato, assemblati con materiali poveri e in maniera apparentemente approssimativa – sono il frutto di una ricerca che fonde una marcata tendenza all’astrazione geometrica con una riflessione sull’espressività della materia. Per certi aspetti, questi minuti «bozzetti» tridimensionali possono essere messi in relazione con i reliefs in gesso di Parigi dello scultore Hans Josephsohn, con cui egli collaborò a lungo e da cui apprese – fin da quando era studente all’ETH – l’idea di affrontare l’architettura anche con l’approccio dello scultore, arricchendo la propria opera con debiti materiali, concettuali e procedurali extra-disciplinari.24

Da registi a collezionisti. Il modello nell’opera di Herzog & de Meuron

Degli architetti svizzeri contemporanei, Herzog & de Meuron sono di certo tra i più rinomati per l’utilizzo quasi ossessivo della maquette come strumento progettuale. Tuttavia, per la coppia di architetti l’utilizzo del modello nasce in modo ben più originale.

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L’autore è grato a Mihail Amariei, Christoph Frank, Quintus  Miller, Federico Tranfa e Ruggero Tropeano per i preziosi suggerimenti.

Note

  1. Cfr. F. Gygax, Das topographische Relief in der Schweiz, «Wissenschaftliche Mitteilungen des Schweizerischen Alpinen Museums in Bern», 6, Bern 1937.
  2. Su questi temi si veda D. Gugerli, D. Speich, Topografien der Nation: Politik, kartografische Ordnung und Landschaft im 19. Jahrhundert, Chronos Verlag, Zürich 2002.
  3. A.E. Schubiger, Das Relief der Urschweiz des Generalleutnants Franz Ludwig Pfyffer von Wyer (1716-1802) und seine Stellung in der Geschichte der Topographie, «Gesnerus», 36, 1979, pp. 74-81; A. Bürgi, Der Blick auf die Alpen: Franz Ludwig Pfyffers Relief der Urschweiz (1762 bis 1786), «Cartographica Helvetica», 18, 1998, pp. 3-9.
  4. M. Quaini, Le forme della Terra, «Rassegna», 32/4, dicembre 1987, pp. 63-73; I. Warmoes, Le musée des Plans-Reliefs, Éditions du Patrimoine-Centre des monuments nationaux, Paris 2019.
  5. Cfr. Colonel Berthaut, Les ingenieurs géographes militaires, 1624-1831, vol. I, Paris 1902, p. 296 e sgg.
  6. M. Cavelti Hammer, Die Alpen auf Reliefkarten: Prunkstücke von Gyger bis Imhof, in W. Scharfe (a cura di), 8. Kartographiehistorisches Colloquium, Bern 3.-5. Oktober 1996. Vorträge und Berichte, Cartographica Helvetica, Murten 2000, pp. 121-125.
  7. M. Quaini, Le forme della Terra, cit., pp. 69-70.
  8. Si può citare la replica del relief del San Gottardo scavata nel granito (23 tonnellate, 6 x 3 metri) – esposta prima all’Expo di Milano nel 2015 e poi al Landesmuseum di Zurigo – cui sono stati sovrapposti contenuti virtuali su geografia, demografia, economia, società ecc.
  9. A.J. Martin, Stadtmodelle, in W. Behringer, B. Roeck (a cura di), Das Bild der Stadt in der Neuzeit 1400-1800, C.H. Beck Verlag, München 1999, pp. 66-72; B. Roeck, M. Stercken (a cura di), Schweizer Städtebilder. Urbane Ikonographien (15.-20. Jahrhundert), Chronos, Zürich 2013. M. Mindrup, The Architectural Model. Histories of the Miniature and the Prototype, the Exemplar and the Muse, MIT Press, Cambridge (MA) 2019, pp. 17-18.
  10. M. Bisping, Die Stadt im Kleinformat, «Kunst + Architektur in der Schweiz», 4, 2018, pp. 56-65.
  11. Adi Kälin, Wenn Zürich wächst, wächst Klein-Zürich stets mit, «Neue Zürcher Zeitung», 6 novembre 2019.
  12. F. Nyffenegger, Schweizvorstellungen zum Mitnehmen. Modellchalets und Chaletmodelle, «Kunst + Architektur in der Schweiz», 4, 2018, pp. 12-21.
  13. O. Elser, P. Cachola Schmal (a cura di), Das Architektur Modell. Werkzeug, Fetish, kleine Utopie, catalogo della mostra (Deutsches Architekturmuseum, Dezernat für Kultur und Wissenschaft, Frankfurt am Main, 25 maggio – 16 settembre 2012), Scheidegger & Spiess, Zürich 2012, p. 341.
  14. M. Mindrup, The Architectural Model…, cit., p. 236.
  15. G. Celant, Il progetto è un oggetto, «Rassegna», 32/4, dicembre 1987, p. 79.
  16. K.P. Zygas, Form Follows Form: Source Imagery of Constructivist Architecture, 1916–1925, UMI Research Press, Ann Arbor (MI) 1981, pp. 55-58.
  17. Ivan Tschichold, Lipsia: La nuova configurazione, «ABC – Contributi alla costruzione», 2, seconda serie, cit. in J. Gubler (a cura di), ABC architettura e avanguardia, Electa, Milano 1983, p. 128.
  18. Cfr. anche J. Gubler, Nazionalismo e internazionalismo nell’architettura moderna in Svizzera, Mendrisio Academy Press – Silvana Editoriale, Mendrisio – Cinisello Balsamo 2012.
  19. Tra gli studi recenti sul tema si segnala la tesi di laurea di M. A. de la Cova, Maquetas de Le Corbusier. Técnicas, objetos y sujetos, Ed. Universidad de Sevilla, 2016.
  20. Interessanti sono in questo senso gli anni iniziali di Bill. Cfr. A Thomas, Max Bill: The Early Years. An Interview, «The Journal of Decorative and Propaganda Arts», 19, 1993, pp. 99-119.
  21. A. von Fürstenberg, P.-A. Croset (a cura di), Maquettes d’architectes, catalogo della mostra (Centre d’art contemporain, Genève – Le Nouveau Musée, Villeurbanne, Lyon, giugno-ottobre 1982), Grafis Industrie Grafiche, Bologna 1982.
  22. La mostra si tenne nel 1976 ma il catalogo fu stampato solo nel 1981: K. Frampton, S. Kolbowski (a cura di), Idea as Model, Rizzoli International Publications, New York 1981.
  23. G. Celant, Il progetto è un oggetto, cit., p. 86.
  24. E. Brändle, P. Märkli & H. Josephsohn, in M. Mostafavi (a cura di), Approximations. The Architecture of Peter Märkli, Architectural Association, London 2002, pp. 54-61.
  25. R. Sachsse, Eine Kleine Geschichte der Architektur-Modell-Fotografie, in O. Elser, P. Cachola Schmal (a cura di), Das Architektur Modell, cit., p. 27.
  26. J. Herzog, in C. Bechtler (a cura di), Immagini d’architettura. Architettura d’immagini. Conversazione tra Jacques Herzog e Jeff Wall, Postmedia Books, Milano 2005, p. 11.
  27. Ibid. 27.
  28. J. Herzog intervistato da T. Vischer, in Herzog & de Meuron, Wiese, Basel 1989, p. 51.
  29. Cfr. Herzog & de Meuron, Architektur Denkform, 1988. Cfr. anche J. Herzog intervistato da T. Vischer, in Herzog & de Meuron, cit., p. 52.
  30. P. Ursprung, Exponierte Experimente. Die Modelle von Herzog & de Meuron, in O. Elser, P. Cachola Schmal (a cura di), Das Architektur Modell, cit., p. 52.
  31. M. Mindrup, The Architectural Model, cit., pp. 158-160.
  32. R. Zaugg, Herzog & de Meuron, Herzog & de Meuron. Eine Austellung, Cantz, Ostfildern-Ruit 1996.
  33. J.-L. Cohen, Models and the Exhibition of Architecture, in K. Feireiss (a cura di), The Art of Architecture Exhibitions, NAi Publishers, Rotterdam 2001, pp. 25-33.
  34. P. Ursprung (a cura di), Herzog & de Meuron: Natural History, catalogo della mostra Herzog & de Meuron: Archaeology of the Mind (CCA, Montréal, 23 ottobre 2002 – 6 aprile 2003), Lars Müller, Baden 2002.
  35. P. Ursprung, Exponierte Experimente, cit., pp. 52-53.
  36. D. Sudjic, Laboratory and Cabinet of Curiosities. The archive of Herzog & de Meuron in Basel, «Werk», 4, 2015.

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