Spa­zio, luce e strut­tu­ra

Statica e architettura di tre palestre ticinesi

L’articolo analizza tre palestre con l’obiettivo di evidenziare i risultati della collaborazione tra architetto e ingegnere civile con particolare attenzione alla qualità dello spazio costruito e alle relazioni tra architettura, luce e struttura.

Publikationsdatum
23-04-2015
Revision
19-10-2015

«La struttura è creatrice di luce»1 L. Kahn

Il testo propone la lettura comparata di tre progetti:
- la palestra di Losone (Vacchini-Andreotti);
- il centro sportivo di Brugg (Vacchini-Fürst/Laffranchi);
- la palestra di Chiasso (Baserga/Mozzetti-Pedrazzini/Guidotti).

L’intento è quello di analizzare i tre progetti come una sequenza, credendo vi si possa individuare la rielaborazione di una ricerca progettuale che lega indissolubilmente l’una all’altra; una sorta di trilogia con un filo rosso che ha attraversato senza interruzioni l’aspirazione all’eccellenza, un arco che dura da vent’anni e caratterizza in maniera esemplare il valore della produzione architettonica ticinese.

Losone

Architettura: Livio Vacchini; ingegneria: R. Andreotti & Partners Locarno; palestra della caserma di Losone (1990 concorso – 1995-1996 realizzazione).

Si tratta di una palestra a tre campi, collocata alla sommità di un lieve rialzamento all’interno del recinto dell’ex-caserma militare di Losone. Il volume emerso misura 56.07 x 31.21 x 8 m di altezza. Tutto il programma funzionale (docce e spogliatoi) è collocato nello spazio ipogeo, sotto il piano di calpestio interno, collocato alla stessa quota del circostante piano di campagna. Per accedere alla palestra si scende con una rampa alla quota inferiore e si risale poi, emergendo all’interno dello spazio unitario racchiuso dal graticcio del tetto e dalle pareti vetrate a tutta altezza.

La copertura è un graticcio precompresso con 140 cm di spessore, sorretto dalla «parte perimetrale portante» spessa 70 cm e composta da pilastri (43 x 70 alla base e 43 x 43 alla sommità) realizzati con una sola gettata di calcestruzzo.

Nella descrizione del progettista l’archetipo della palestra è la forma neolitica del Dolmen: «Una parete piena che porta una soletta piena, pietra che porta pietra.» «La palestra di Losone - scrive Vacchini - è una costruzione priva di architravi. Le aperture nel muro perimetrale sono le massime consentite dalla statica. La luce penetra all’interno per tutta l’altezza dello spazio, comportandosi alla stessa stregua della struttura: luce e ombra si susseguono ad alternanze identiche. Il pavimento interno le raccoglie e le amplifica; il terreno all’esterno fa la stessa cosa. La luce mutevole del sole crea situazioni inattese e multiformi: l’immobilità, la ripetizione, il numero da una parte e la non misurabilità della natura dall’altra, dialogano in maniera sorprendente.»2

L’edificio si presenta come una costruzione misteriosa e senza tempo. «La densa cortina in beton che si ripete uguale su quattro facciate e la localizzazione nell’ambito del complesso militare della caserma inducono ad attribuire a questo manufatto insolito e apparentemente impenetrabile, un significato difensivo e di massima protezione.»3

La struttura della copertura, in calcestruzzo armato precompresso, è composta da un graticcio di travi incrociate perpendicolarmente sostenuto lungo i bordi liberi da colonne rastremate in altezza e incastrate nel volume interrato. I nuclei contenenti i depositi non raggiungono il livello della copertura e pertanto la stabilità globale della struttura è garantita dal colonnato perimetrale. Essendo il rapporto fra il lato lungo e il lato corto della sala ginnica pari a ca. 1.80, le travi nella direzione corta sono più rigide (L/21.6) di quelle disposte longitudinalmente all’edificio (L/39.4); per questo motivo esse si assumono l’onere di trasportare una maggior quantità di carico verso gli appoggi. Approssimativamente, in testa alle colonne del lato lungo della sala giunge un carico pari al doppio rispetto alle colonne disposte lungo il lato corto: nel complesso dunque l’80% ca. del carico agente sulla copertura scende lungo le colonne del lato lungo (il 40% per ciascuna facciata lunga), mentre il restante 20% ricade sulle colonne disposte lungo i lati corti (il 10% per ciascuna facciata corta).

Nonostante queste considerazioni, si noti come a livello formale non c’è nessuna differenza a livello di dimensioni e/o di disposizione delle colonne; le quattro facciate sono identiche. Interessante, a livello formale, è il trattamento riservato all’ordine degli elementi che sembrano fondersi in uno solo. Il graticcio di travi del coronamento viene lavorato lungo il perimetro estendendo solo le travi portanti fin sopra le colonne, di cui assumono larghezza e inclinazione.

Le pareti esterne del livello interrato vengono accennate quale basamento attraverso la formazione di un piano inclinato alla base delle colonne che raccorda il livello della sala ginnica con il terreno sistemato esterno di cui assume la pendenza. Uno scuretto orizzontale inserito al piede e in testa alle colonne segnala la suddivisione dei tre ordini strutturali.

Brugg

Architettura: Studio Vacchini, ingegneria: Fürst Laffranchi Bauingenieure; centro sportivo Mülimatt a Brugg (2005 concorso - 2008-2010 realizzazione).

Il complesso è formato da due triple palestre separate da un nucleo contenente le tribune telescopiche. L’edificio è costruito a ridosso di un terrapieno sopra il quale si trova la linea ferroviaria, passando in treno si ha una vista del piano di copertura che è una struttura pieghettata.

Il sito è caratterizzato dalla presenza del treno che passa dietro l’edificio a una quota superiore rispetto alla copertura. L’immagine dell’edificio percepita dai passeggeri è pertanto quella della copertura, fatto che giustifica l’attenzione dedicata al progetto della quinta facciata di questo manufatto. La copertura, una serie di travi accostate con sezione a V convoglia direttamente l’acqua piovana che scorre in vista lungo i piedritti fino a un canale asfaltato che ne organizza il deflusso. Il rapporto tra quota interna e il piano di campagna è complesso poiché il terreno a monte è più alto, la lunghezza dei piedritti è diversa: più lunghi nel prospetto principale, più corti in quello secondario (a monte).

Il piano di calpestio interno della palestra è situato a una quota superiore rispetto all’esterno. La quota dell’accesso è a valle mentre il piano sul quale è collocata la palestra è situato alla quota del terreno a monte, un piano più in alto. Questa particolare situazione definisce il livello dell’entrata alla quota inferiore e organizza una serie di percorsi di risalita per raggiungere la quota superiore alla quale è collocato il piano delle palestre. Il prospetto principale, a valle, permette così di garantire illuminazione naturale a un piano terreno che si affaccia sullo spazio della circolazione longitudinale.

Nel progetto di Brugg, a differenza di Losone, la struttura porta in un’unica direzione, trasversalmente all’edificio. Il carico della copertura viene ripartito esattamente a metà per ciascuna facciata disposta lungo il lato lungo. Il rapporto di lunghezza fra lato lungo e corto della struttura di copertura è pari a 1.45; nonostante sia strutturalmente più conveniente è in questo caso ininfluente in quanto la struttura della copertura convoglia il carico unicamente in direzione parallela al lato corto.

La struttura è composta da una serie di telai affiancati composti da cinque elementi prefabbricati e assemblati in cantiere attraverso l’accurato inserimento di cavi di precompressione; due piedritti e una trave formata da tre elementi. La raffinata struttura pieghettata risultante permette di superare l’importante luce di 52.6 m con altezza di trave di 2.59 m (L/20.3) e spessori di guscio ridotti al minimo, fino a 16 cm, possibili grazie alla tecnologia utilizzata per la produzione in officina con calcestruzzo autocompattante.

La spinta orizzontale generata dal funzionamento a telaio della struttura viene ripresa dal solaio interno che funge da piano di calpestio delle sale ginniche; in tal modo le reazioni alla base dei piedritti sono verticali e la struttura è fondata in profondità su pali verticali. A livello formale, la fusione fra l’elevazione e la copertura è risolta senza nessun artificio, ed è generata dalla purezza strutturale del nodo del telaio fra gli elementi, piedritto e trave, con sezione trasversale a V.

Chiasso

Architettura: Baserga e Mozzetti; ingegneria: Pedrazzini Guidotti; palestra doppia (2007 concorso – 2009- 2010 realizzazione).

Questo edificio organizza e interagisce con il contesto urbano circostante grazie allo zoccolo dal quale emerge la copertura del volume della palestra. «La nuova struttura – scrivono i progettisti – oltre a costituire una risposta concreta a precise esigenze scolastiche, riveste un ruolo primario dal punto di vista urbanistico e architettonico. Essa si inserisce nel contesto del campus scolastico e culturale, tessendo varie relazioni con gli elementi peculiari del luogo.

La proposta è caratterizzata dalla pianta quadrata del volume principale della sala ginnica e da uno zoccolo parzialmente emergente. Mentre la sala non privilegia un orientamento, denotandone il carattere pubblico del contenuto, lo zoccolo reagisce alle differenti situazioni e alle divergenze topografiche.»4

Nel caso della palestra di Chiasso l’altezza massima consentita avrebbe potuto essere molto maggiore rispetto a quella dell’attuale costruzione, gli architetti hanno scelto di interrare il più possibile il volume, limitandone l’altezza emersa, per non occupare in maniera eccessiva lo spazio del comparto.

La struttura della palestra di Chiasso ricerca, a livello della copertura, una simmetria perfetta. Un graticcio a pianta quadrata formato da 7 travi incrociate (luce 32.85 m, altezza 1.24 m; snellezza L/26.5) scarica il suo peso in maniera identica, nelle due direzioni, sulle 4 facciate del corpo emergente. Sia a livello strutturale che a livello formale le quattro facciate sono identiche. A differenza delle strutture precedenti la forma della struttura della copertura non viene espressa in facciata. In questo caso, lastre piene in calcestruzzo di importante altezza si occupano di convogliare il carico proveniente dalle travi del graticcio di copertura attraverso gli sbalzi ai sostegni a forma di forcella posti al centro della facciata. Questa soluzione libera completamente lo spazio al livello della città, favorendo le relazioni fra interno ed esterno e mirando alla trasparenza attraverso l’edificio. Il livello in cui è organizzato tutto il programma è interrato solo parzialmente a causa della presenza di acqua di falda; la copertura dello stesso si configura come vero e proprio zoccolo dell’edificio emergendo rispetto al piano della città per ca. 1 m.

Una lettura comparata dell’ordine compositivo (basamento, elevazione, coronamento) delle tre opere permette di evidenziarne le specificità: il basamento della palestra di Losone è costituito dalla collinetta artificiale all’interno della quale è costruito il volume che articola entrata, tecnica e spogliatoi; a Brugg il prospetto a valle dell’edificio poggia su una piattaforma asfaltata leggermente rialzata rispetto al prato che si collega con uno specchio d’acqua sottostante; a Chiasso il lavoro sulla quota del volume emerso – molto più ampio rispetto alla copertura dello spazio palestra – ha permesso ai progettisti di elaborare una serie di articolazione spaziali con il contesto urbano circostante. L’elevazione della palestra di Losone si compone di un elemento che risulta dalla fusione tra piastra e trave, che coincide con lo spessore della copertura; a Brugg la fusione tra il piano orizzontale e quello verticale origina una struttura a telaio; a Chiasso la tripartizione è più «classica»: un pilastro a forcella sorregge una trave-parete, la stessa soluzione è ripetuta su quattro lati uguali; la copertura dell’edificio è contenuta nello spessore della trave.

Le tre opere delle quali abbiamo proposto una rilettura comparata descrivono un arco che attraversa un ventennio della storia dell’architettura contemporanea ticinese e sembra incarnino in maniera esemplare una certa ricerca di eccellenza. L’aspirazione a compiere, con le opere realizzate, una ricerca caratterizzata dalla continua evoluzione. Un’aspirazione che ci piace pensare con le parole di Vacchini come connaturata alla storia stessa dell’uomo e dell’architettura, fin dai suoi primordi in una sequenza ininterrotta di esperimenti. Una sequenza di opere che si concatenano, raccogliendo in sé l’esperienza di quelle precedenti per tentare di distillarne un nuovo grado della ricerca.

Vacchini sosteneva che questa continuità attraversa la storia dell’uomo e dell’architettura: parlando del tempio di Stonehenge (archetipo della palestra di Losone) affermava che questo monumento costituisce un capolavoro all’inizio dell’architettura e che «da allora ogni opera significativa per la storia dell’uomo sarà tutte le opere possibili e, nel contempo, solo se stessa; la sua concretezza sarà la stessa storia dell’architettura».5

Note

  1. Louis I. Kahn: Statement on Architecture (discorso tenuto al Politecnico di Milano, gennaio 1967), «Zodiac», vol. 17, 1967, pp. 55-57.

  2. Memoria descrittiva fornita dal progettista.

  3. Roberto Masiero, Livio Vacchini, Opere e progetti, Electa, Milano 1999.

  4. Baserga Mozzetti, memoria descrittiva del progetto.

  5. Livio Vacchini, Capolavori, Allemandi, Torino 2007, p. 68.

Bibliografia essenziale

  • Losone: Roberto Masiero, Livio Vacchini, Opere e progetti, Electa, Milano 1999.

  • Brugg: «Detail», 06/2012, fib_betonbau in der Schweiz 2014, «TEC21», 40/2010

  • Chiasso: «Archi», 02/2012, «Casabella», 824/2013, «Detail» 11/2012, fib_betonbau in der Schweiz 2014, «werk+bauen und wohnen», 03/2012

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