«Spet­ta a noi dare il via al cam­bia­men­to»

A fine ottobre, il gruppo professionale Architettura (BGA) e il Consiglio svizzero dell’architettura hanno conferito il Premio Master Architettura della SIA. I rispettivi presidenti, Philippe Jorisch e Johannes Käferstein, commentano come i progetti presentati al concorso abbiano stupito la giuria, evidenziando la trasformazione che sta vivendo la professione dell'architetto.

Publikationsdatum
05-12-2022

TEC21: Quali riflessioni hanno spinto a rilanciare il Premio Master Architettura della SIA?

Johannes Käferstein: In origine, il premio era pensato esclusivamente per i lavori di master realizzati presso tre scuole universitarie svizzere, vale a dire l’Accademia di Architettura di Mendrisio e i due Politecnici federali, di Zurigo (ETHZ) e Losanna (EPFL). A partire dalla Riforma di Bologna, anche le scuole universitarie professionali (SUP) propongono un ciclo di studi master. Ed è proprio per questo che Harry Gugger, ex vicepresidente del Consiglio di architettura, già diversi anni fa, si era rivolto alla SIA con la proposta di riconcepire il Premio Master. Da allora, è trascorso un po’ di tempo, ma alcuni mesi fa il premio è stato conferito per la prima volta nella sua nuova forma.

Philippe Jorisch: Quella del 2016 è stata l’ultima edizione nel vecchio formato. Il BGA ha sempre voluto far rivivere il premio. Alcuni anni or sono, si era costituito in quest’ottica un gruppo di lavoro, incaricato di avviare una collaborazione con il Consiglio dell’architettura e di ripensare le modalità previste dal concorso. Il nuovo formato prevede che siano le scuole universitarie a selezionare i migliori progetti, sulla base di una percentuale ponderata a seconda del numero di lavori di diploma realizzati. Quest’anno sono stati inoltrati 33 progetti. La valutazione dei lavori è affidata a una giuria indipendente, i cui membri non fanno parte né del BGA, né del Consiglio di architettura né degli atenei. Per noi è importante che, in seno alla giuria, vi siano professionisti che lavorano attivamente in veste di architetti e che abbiamo già realizzato progetti di un certo spessore. È inoltra garantita una rappresentanza equa, sia per quanto riguarda le regioni linguistiche della Svizzera sia per quanto attiene alle fasce d’età. Noi della SIA eravamo presenti alla valutazione, ma senza disporre di alcun diritto di voto.

La partecipazione al Premio Master della SIA è aperta a tutte le scuole universitarie svizzere che offrono un master in architettura. I cicli di studio, tuttavia, sono molto diversi tra loro, a seconda della scuola frequentata. I progetti inoltrati possono effettivamente essere messi a confronto?

Käferstein: Con la Riforma di Bologna, le SUP hanno dovuto reinventarsi, ma è stata una grande chance. Di fatto, ora che la nostra professione sta vivendo una fase di profonda trasformazione, non possiamo soltanto accontentarci di reagire, bensì siamo a chiamati ad agire. Grazie al Premio Master, rivolto agli studenti di architettura di tutta la Svizzera, abbiamo a disposizione una piattaforma nazionale per lanciare il dibattito sulle qualità della formazione in architettura e sui profili dei diversi istituti di formazione. Il Premio, infatti, offre la possibilità di effettuare un confronto trasversale, sondando l’ampio spettro di tematiche insegnate e il ventaglio di saperi acquisiti. Inoltre, è giusto che, a cogliere la sfida, non siano soltanto le scuole universitarie, bensì anche le scuole universitarie professionali. Sono fermamente convinto che le SUP abbiano ormai raggiunto un livello e una consapevolezza tali da potersi confrontare con gli altri atenei, se dovesse riverlarsi altrimenti, dovremo rivedere alcune modalità.

Jorisch: Ad ogni modo, durante la valutazione della giuria, è apparso evidente che SUP e università possano essere messe a confronto e poste sullo stesso piano. È una bella soddisfazione. La valutazione si è tenuta in forma anonima. La giuria infatti non sapeva nulla in merito all’origine dei progetti in lizza.

I criteri erano definiti in modo chiaro. I lavori presentati invece sono stati sorprendentemente molto diversi tra loro. I temi affrontati dagli studenti riflettono le attuali sfide del mestiere?

Jorisch: Due criteri su sei, vale a dire l’innovazione e la gestione delle problematiche odierne, vertono sulla sostenibilità. In seno alla giuria, abbiamo discusso se tali criteri avessero un’influenza sui progetti inoltrati. Quello che è emerso con evidenza è che, tra i lavori in gara, solo una minima parte contemplava progetti architettonici di stampo tradizionale. Penso ad esempio alla progettazione di una scuola, di un museo ecc., insomma temi da elaborare nell’ambito di un classico concorso a procedura libera. Il ventaglio di progetti selezionati proponeva altre tematiche, tra queste quella del riutilizzo, ma anche riflessioni in merito a questioni sociali, soluzioni infrastrutturali legate alla crisi climatica o pensate per le regioni periferiche. A nostra grande sorpresa, tra i lavori presi in esame vi erano vere e proprie ricerche e analisi critiche. I progetti si confrontavano solo in minima parte con l’architettura nel senso stretto del termine, alcuni mettendo addirittura in discussione il costruire tout court. In alcuni lavori invece le importanti sfide di oggi erano collegate a un plusvalore culturale e tradotte in progetti architettonici.

Käferstein: Nei progetti si rispecchiano anche le diverse culture nonché le discussioni condotte nei rispettivi istituti e vertenti su svariate tematiche. A ciò si aggiunge il fatto che il lavoro di master esiste in due varianti, una forma contempla l’elaborazione di un compito formulato da un professore, l’altra invece prevede una tesi libera. Questa seconda variante è portata avanti, di regola, sull’arco di due semestri e tra gli studenti è quella che piace di più, ma è anche la più impegnativa. Le tesi libere sono un ottimo strumento per tastare il polso dei futuri architetti. Oggi, effettivamente, dobbiamo riflettere se una data costruzione apporti un reale contributo qualitativo alla nostra società e all’ambiente in cui viviamo.

I cicli di studio offerti dalle scuole universitarie svizzere sono in grado di tenere conto di tale evoluzione?

Käferstein: È proprio questa la grande sfida che le scuole devono affrontare. Abbiamo aspettato troppo a lungo, e spesso ci siamo limitati soltanto a reagire. Adesso spetta a noi dare il via al cambiamento. Ciò implica anche il fatto di ripensare la nostra didattica e i contenuti dell’insegnamento. Il rapporto tra docenti e studenti è già cambiato, ma possiamo contribuire a far sì che le persone in formazione svolgano un ruolo ancora più attivo.

Ma in che modo, concretamente?

Käferstein: È importante che nell’elaborare un lavoro di diploma gli studenti possano far confluire i propri interessi e siano mossi dalle proprie motivazioni. Così facendo saranno anche spinti ad assumere una responsabilità molto più grande rispetto al caso in cui il tema viene loro imposto e stabilito a priori. Inoltre, dobbiamo allargare gli orizzonti per quanto riguarda i risultati e le attese, e ciò vale tanto per gli studenti quanto per i docenti. Non da ultimo, bisogna incentivare il lavoro di squadra. Noi tutti sappiamo quanto complesso e sfaccettato sia attualmente l’intero processo che implica il costruire. Gli architetti sono importanti protagonisti di questo processo, ma non sono gli unici attori. L’immagine dell'architetto che lavora in solitaria è puro frutto dell’immaginazione, non è mai esistito.

Jorisch: Questa visione che potremmo definire demiurgica dell’architetto-creatore traspariva anche da alcuni tra i progetti selezionati. La giuria ha discusso, ponderando quanto questo approccio fosse effettivamente realistico e al passo con i tempi. È in ragione di tali considerazioni che si è deciso di scartare alcuni lavori anche se a livello contenutistico erano meritevoli. Al contrario, altri progetti avevano caratteristiche quasi diametralmente opposte: benché presentassero un’analisi dettagliata di un problema, erano troppo teorici, cioè affrontavano in modo solo sommario come passare concretamente all’azione. In taluni lavori mancava una classica dimostrazione delle abilità tecniche e delle capacità creative, in altri faceva difetto la comunicazione attraverso immagini e piani. Un altro aspetto che ci ha sorpresi è stato il fatto che la maggior parte degli elaborati verteva su possibili interventi nella sostanza edilizia esistente; piccoli interventi, non ostentazioni architettoniche, e ciò anche quando le opere erano pensate su larga scala e riguardavano regioni periferiche. Non ci aspettavamo una visione di questo tipo.

Quali competenze deve attestare chi termina la formazione?

Käferstein: Innanzitutto sapere pensare e agire in modo autonomo e responsabile. Ciò a prescindere che si frequenti un’università o una SUP. È proprio questa autonomia che ci si attende al termine di un ciclo di studi master. Il bachelor assicura una formazione di base. Il master invece spinge gli studenti a lavorare sul proprio senso di responsabilità, e li esorta a prenderne atto. Studiare attivamente, cercare temi di proprio interesse e approfondirli. È così che le giovani leve potranno apportare il proprio contributo a una cultura della costruzione di qualità.

Jorisch: Si tratta, non da ultimo, di formare dei professionisti capaci di riflettere e ponderare bene le cose. Di fatto, tra tutti i titolari di un master, a distanza di una decina d’anni, forse solo una minima parte lavorerà in uno studio e si occuperà di progettare opere e seguirne la realizzazione. Molti architetti decidono infatti di intraprendere altre attività, apportando il proprio contributo in una forma diversa. Ecco perché è così importante coltivare morbidezza e flessibilità intellettuale e saper affrontare le questioni contemporanee con la giusta apertura.

Premio Master Architettura della SIA

 

Con il Premio Master Architettura, la SIA e il Consiglio svizzero dell’architettura rendono omaggio ai migliori lavori di master realizzati dagli studenti di architettura. Nell’ambito del concorso, tutte le università e tutte le scuole universitarie professionali della Svizzera con un ciclo di studio master in architettura sono invitate a presentare i migliori elaborati conclusi nel semestre autunnale oppure nel semestre primaverile. La nomina dei lavori di diploma spetta alle rispettive scuole, dopodiché una giuria indipendente premia dai cinque agli otto progetti. Il Premio ammonta a un importo di 14 000 franchi. La valutazione dei progetti è affidata a una giuria indipendente che rappresenta tutte le regioni linguistiche e le diverse fasce d’età.

Per l’edizione 2022 la giuria era composta da: Andreas Bründler, Buchner Bründler Architekten, Basilea; Jérôme de Meuron, wespi de meuron romeo architekten, Caviano; Nicolas de Courten, Nicolas de Courten architectes, Losanna; Stefan Marbach, Herzog & de Meuron, Basilea; Christian Penzel, Penzel Valier, Zurigo; Mireille Bonnet, Atelier Bonnet, Ginevra; Lea Prati, Atelier Prati Zwartbol, Zurigo.

Nel complesso, i nove istituti partecipanti al concorso hanno selezionato 33 progetti, basandosi sui seguenti criteri:

  • soluzione architettonica;
  • inserimento nel contesto/approccio globale;
  • importanza regionale/su larga scala;
  • considerazione delle problematiche attuali in materia di sostenibilità (p. es. scelta dei materiali);
  • approccio innovativo nel gestire le attuali sfide (p. es. crisi climatica, sostenibilità sociale, riciclaggio);
  • contributo e relazione nei confronti dell’attuale creazione architettonica svizzera.

 

Il conferimento dei premi è avvenuto il 26 ottobre 2022 presso il Museo Svizzero di Architettura S AM di Basilea.

 

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